martedì 29 ottobre 2013

Crocetta: la 'città dei ricchi' tra liberty, arte e cultura

Il secondo percorso in Crocetta incomincia all’insegna dell’arte contemporanea presso la GAM lasciando alle spalle il monumento dedicato a Vittorio Emanuele II , primo re d'Italia, all'incrocio tra corso Vittorio Emanuele II e corso Galileo Ferraris. Il nomumento voluto e pagato a spese proprie dal suo figlio re Umberto I, in bronzo e granito, è opera dell'architetto Pietro Costa. Fu eretto tra il 1882 ed il 1899 tra molte difficoltà e contrasti con il municipio di Torino evenne inaugurato il 9 settembre 1899 a venti anni dalla morte del re con grandi festeggiamenti il giorno dell'inaugurazione: corso Vittorio Emanuele II e via Roma furono illuminati a festa. La statua del re si innalza maestosa su alte colonne doriche. Nei gruppi scultorei collocati alla base del monumento sono rappresentati: l'unità, la fratellanza, il lavoro e la libertà. Per la sua altezza (39 metri) viene popolarmente chiamato "il re sui tetti" oppure, dai torinesi, "Barba Vigiu".

La Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, in via Magenta 31, fu fondata attorno al 1891-95 e ospita oggi le collezioni artistiche permanenti dell'Ottocento e del Novecento. La collezione di Arte Moderna, da parte della città di Torino, ebbe inizio fin dalla fondazione del Museo Civico nel 1863, prima città in Italia a promuovere una raccolta pubblica di arte moderna. Tale collezione era custodita con le raccolte di Arte Antica in un edificio presso la Mole Antonelliana. Dal 1895 al 1942 fu esposta in un padiglione in Corso Siccardi (ora Corso Galileo Ferraris) che rimase distrutto durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale. Nello stesso luogo, iniziò la costruzione dell'edificio progettato da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti che venne inaugurato nel 1959. La collezione di Arte Moderna venne spostata nei due piani della nuova costruzione, per volere del direttore Vittorio Viale. Negli anni Ottanta il palazzo fu dichiarato inagibile e riaprì dopo una lunga serie di restauri nel luglio1993. 


Ad oggi il patrimonio della galleria si compone di oltre 45.000 opere tra dipinti, sculture, installazioni e fotografie. Sono ospitati importanti rassegne e mostre monografiche ed è disponibile una ricchissima videoteca; dal 2009, inoltre, la collezione è stata riorganizzata non seguendo più la successione cronologica delle opere esposte bensì una trama logica di quattro concetti, all’interno dei quali personalità di vari ambiti culturali propongono una scelta ragionata di opere della collezione.
 
A breve distanza dalla GAM e dall’Unione Industriale, sita in via Vela, in Corso Galileo Ferraris 32 si trova dal gennaio 2001 la sede dello Juventus Football Club.
Nella sua storia, la Juventus ha avuto diverse sedi. La prima è stata quella di via Montevecchio nel 1898. Dopo brevi parentesi in via Piazzi 4 (1899), Via Gazometro 14 (1900-1902), via Pastrengo (1903-1904), via Donati 1 (1905-1906), via Carlo Alberto 43 (1919-1921), via Botero 16 (1921-1922), si cominciano a trovare sedi più durature: la prima, dal 1923 al 1933, al campo sportivo di corso Marsiglia, dove la squadra giocava in quegli anni. Per quasi un decennio (1934-1943) la sede sociale si spostò poi in via Bogino 12 per passare, dal 1944 al 1947, in corso IV Novembre 151 (l’attuale Circolo della Stampa). Dopo tanti cambiamenti, dal 1948 ad oggi la Juventus ha avuto solo altre quattro "case". Dal 1948 al 1964 la sede di piazza San Carlo 206, poi, nel 1965, il trasloco in Galleria San Federico 54 dove gli uffici rimasero per dieci anni, fino al 1985 quando, per ragioni di spazio, fu scelta la palazzina di piazza Crimea 7.  Nel gennaio 2001 l'azienda, in espansione anche a livello numerico, si trasferì nell'attuale sede.

Muovendosi in direzione di corso Montevecchio si incontra sulla sinistra al numero 27 di corso Stati Uniti, il Palazzo Ceriana-Mayneri, costruito da Carlo Ceppi nel 1884 e realizzato secondo una personale ed elegante interpretazione dell'architetto che incontrava grande fortuna presso la committenza dell'epoca. Il palazzo, contraddistinto dal portale su cui poggia un'ampia balconata, ospita al suo interno il Circolo della Stampa ed è sede di importanti convegni. 


Svoltando su Corso Montevecchio, uno dei più signorili del quartiere, si incontra il monumento a Galileo Ferraris (1847-1897), scopritore del campo magnetico rotante; la statua fu realizzata nel 1903 da Luigi Contratti (1868-1923) e posta nel 1928 all’angolo del corso dedicatogli. Il basamento è ornato con una sfinge alata e una fanciulla, allegorie dell’enigma della natura e della verità della scienza. Poco dopo sulla sinistra, al n. 35, una palazzina in mattoni e con le ringhiere grigie opera degli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Origlio D’Isola (celebri con il binomio Gabetti & Isola) si differenzia dalle altre altre in stile liberty ed revival eclettico come il palazzo Pellegrini al n° 38. 



L’edificio artisticamente e architettonicamente più rilevante di corso Montevecchio è sicuramente Casa Maffei al n° 50: progettata nel 1904 dall’ingegnere Antonio Vandone di Cortemiglia, resta una delle migliori sintesi della cultura liberty, in cui "l’originale riflessione volumetrica che scandisce il plasticismo della facciata esalta le sinuose evoluzioni del gusto floreale."
Commissionato da Giovanni Maffei, uno dei più importanti agenti di cambio della città, il palazzo fu costruito fra il 1904 e il 1906 su progetto dell’ingegnere Antonio Vandone di Cortemiglia (1863-1937), significativo protagonista della stagione liberty torinese, trovando collocazione fra le palazzine signorili che allora sorgevano isolate nella porzione urbana compresa fra gli attuali corsi Stati Uniti e Montevecchio, al confine della zona di ville incentivata dalla lottizzazione delle piazze d’armi ottocentesche. Sebbene connotato da un impianto architettonico tradizionale, l’edificio si distingue per l’organizzazione tridimensionale della facciata scandita da un basamento bugnato su cui si dispiega l’alternanza di elementi in aggetto, collocati simmetricamente intorno al bow-window che evidenzia l’ingresso. Il tessuto ornamentale del prospetto è inoltre variegato da fluenti ferri battuti che legano i balconi, opera del maestro ferraio Alessandro Mazzuccotelli (1865-1938), al quale si deve anche il cancelletto interno al portone, mentre lo scultore Giovanni Battista Alloati (1878-1864) eseguì il fregio di bassorilievi con l’allegoria dello svolgersi della vita attraverso le fasi del giorno, raffinata testimonianza della cultura simbolista che permeò la poetica liberty. Espressione del concetto di opera d’arte totale, la casa Maffei resta non solo l’opera più riuscita di Vandone, ma anche una delle migliori sintesi della coeva temperie stilistica.

Questa, oltre ad essere prestigiosa area residenziale, è anche la zona degli studenti, che qui sono numerosissimi per la presenza di due celebri istituti superiori, il Liceo Galileo Ferraris (corso Montevecchio, 67) e l’Istituto Commerciale Germano Sommeiller (corso Duca degli Abruzzi, 20) i cui i edifici sono stati entrambi realizzati negli anni 20 in uno stile razionalista tipico del regime fascista, e il Politecnico di Torino, che da solo conta circa 20.000 studenti; la costruzione della nuova sede del Politecnico di Torino inizia nel 1950 dopo un ampio dibattito che ha animato architetti e ingegneri torinesi per tutta la prima metà del Novecento sulla localizzazione della Regia Scuola Politecnica sui terreni precedentemente occupati dallo Stadium (l’enorme stadio costruito per l’Esposizione del 1911, capace di 40.000 posti a sedere, fu demolito nell’immediato dopoguerra). 



Il progetto è redatto dall’Ufficio tecnico d’ateneo, coordinato da una commissione di docenti - in particolare dall’architetto milanese Giovanni Muzio (1893-1982), che ricopre la cattedra di composizione architettonica alla Facoltà di architettura - e dall’ufficio di progettazione della Fiat. L’esito è un complesso «scolasticamente funzionalista» - così come definito dagli storici Agostino Magnaghi, Mariolina Monge e Luciano Re - dall’impianto assiale, rigido nell’articolazione dei percorsi e gerarchico nella distribuzione degli spazi. Negli anni ottanta e novanta, per ottenere nuovi spazi ormai urgenti, si realizzano l’ampliamento verso corso Castelfidardo e la «finestra urbana» lungo la manica su via Peano, volume trasparente di collegamento verticale tra i piani. Con il Piano regolatore generale del 1995 si dà inizio al raddoppio del Politecnico, progettandone l’ampliamento oltre il fascio ferroviario divenuto viale della Spina (masterplan dello studio Gregotti Associati): la sede storica di corso Duca degli Abruzzi diventa parte di un vero proprio campus urbano, la Cittadella Politecnica (vd. itinerario 2 Cenisia).
Come già anticipato, in origine quest'area era adibita a scopi diversi tra cui quella di adunate militari. Sino al 1909, dopo Piazza San Carlo, Piazza Vittorio Veneto e San Secondo, la nuova Piazza d'Armi era compresa nell'area dell’attuale isola pedonale, comprendendo anche lo spazio occupato attualmente dal Politecnico dove, nel 1910, venne costruito il gigantesco Stadium. Quest'imponente impianto sportivo polivalente, capace di ben 70.000 spettatori, ospitò anche vari circhi e un’esibizione di Buffalo Bill e venne poi abbattuto alla fine degli anni Quaranta.



Nella zona antistante il Politecnico, vengono quindi tracciate le tre nuove direttrici, ovvero: Corso Duca d’Aosta, Corso Trento e Corso Trieste. Qui tra il 1903 e il 1937 viene realizzata la prestigiosa area residenziale che comprende prestigiosi edifici progettati dai maggiori protagonisti dell’architettura dell’epoca (Pietro Fenoglio, Giuseppe Momo, ...), caratterizzati da stilemi architettonici eclettici, neogotici e Liberty. Quest'area, racchiusa tra Corso Einaudi, Corso Duca degli Abruzzi, Corso Montevecchio e Corso Galileo Ferraris, fu resa pedonale il 9 agosto 1974 dalla giunta del sindaco Giovanni Picco.



In quest’isola incantata, apparentemente distante dal rumore e dai problemi della città, su corso Trento al n.13 trova spazio insieme alle residenze private anche l’Educatorio della Provvidenza, oggi centro di incontro culturale e sede di varie realtà formative e culturale, compreso un teatro, poco dopo all’11 il Villino Turbiglio, progettato da Ferdinando Cocito nel 1914, bizzarro edificio tra case nordiche in mattoni e condomini alla francese, prima del largo incrocio signorile con Corso Einaudi. Su questo incrocio si concentrano alcuni tra gli edifici più rilevanti del quartiere: villa Frassati in corso G. Ferraris 70 con la facciata neobarocca e il fastigio neobarocchi, villa Verrua all’angolo opposto della strada, conosciuta anche anche come "Cascina Rignon" (il ‘Verrua’ dal 1907), nella quale a fine Ottocento venne abbattuta l'ala rurale  che chiudeva ad Ovest il recinto della corte rustica, lasciando inalterata la palazzina civile e la recinzione dotata di significativo portale d'ingresso. A chiudere il cerchio, villa Gamna, opera 1905 del torinese Michele Frapolli, che riflette virtualmente la casa a crescent di due isolati a sud all’incrocio con Corso Re Umberto (vd. itinerario 1 Crocetta). 


Sull’asse di Corso Einaudi si incontra prima l’edificio di culto principale del quartiere, la Chiesa di Beata Vergine delle Grazie, costruita su progetto dell'arch. Ferrari d'Orsara nel 1887 nel gusto neo-medievale di fine Ottocento e bombardata due volte: il 20 novembre del 1942 e l’8 agosto del 1943 con danni ingenti alla copertura e agli infissi, e spostandosi a sinistra ci si inoltra nel centro commerciale a cielo aperto della zona: il Mercato della Crocetta, nato nel lontano 1927, ma solo un anno più tardi, il 23 febbraio 1928, trasferito dal corso Peschiera all’area compresa tra le vie Cassini, Marco Polo e il vicolo Crocetta, assumendo così la posizione centrale che occupa ancora oggi. Il suo successo ebbe inizio già nel dopo guerra supportato dalle interessanti proposte dei commercianti che richiamarono sempre più l’attenzione dell’alta società torinese. La sua fama in continua crescita raggiunse l’apice negli anni ‘70-’80, attirando nuovi clienti da tutto il nord Italia e dalla vicina Francia. Oggi il mercato Crocetta è un punto di riferimento per la moda e per gli accessori ma ha perso un po della sua allure di un tempo; ospita ormai da qualche anno la seconda domenica del mese un mercato dedicato con varie proposte anche nell’ambito del Vintage.



Abbandonando il mercato e passeggiando lungo via De Gasperi il quartiere riassume sembianze residenziale e commerciali più modeste, disseminato di negozi e bar dei quali quello architettonicamente più rilevante è quello nel palazzo di inizio novecento allo spigolo smussato con via Piazzi; vicino in via Colombo 31 ha sede il teatro Gioiello, particolarmente attivo negli ultimi anni tra spettacoli di cabaret, varietà e improvvisazione teatrale.



Il carattere residenziale del quartiere si fa ancora più modesto spostandosi verso via Pigaffetta, dove ai n.44 e 48, si incontra il nucleo delle case operaie della Martini & Rossi, costituito da tre corpi di fabbrica: il complesso per i dipendenti della Martini e Rossi fu realizzato tra il 1888 e il 1902 su progetto dell’ingegnere Camillo Riccio, il quale optò per edifici di dimensioni contenute improntanti a un’estrema semplicità. L’ingegnere noto per alcune realizzazioni di gusto eclettico nutrite di motivi stilistici desunti da rinascimento e barocco, oltreché per la realizzazione della Galleria del Nazionale fra la piazza del Conservatorio e corso Vittorio Emanuele II. Per le case operaie, egli scartò la soluzione dei grandi caseggiati a ‘caserma’, preferendo la tipologia dei fabbricati isolati, disposti perpendicolarmente alla strada e separati da cortili longitudinali. Innalzati su tre piani fuori terra, gli edifici sono strutturati in due alloggi per piano, ognuno dei quali composto da due o tre vani con servizi igienici interni, ad eccezione del livello strada che presenta locali da adibire a botteghe e negozi. Le facciate, modulate dall’alternanza di finestre e balconi, sono caratterizzate da una decorazione sobria con cornici intorno alle finestre e bugne graffite all’ultimo piano, prive di orpelli ornamentali analoghi a quelli che negli anni successivi sarebbero stati inseriti nelle case popolari, benché in genere filtrati attraverso un’opportuna stilizzazione. Sebbene circoscritto nell’agglomerato urbano, l’insediamento della Martini e Rossi può essere ritenuto un precoce esempio di quel filone di edilizia aziendale in cui confluì l’amalgama di propensioni paternalistiche e ragioni di controllo sociale che costituiva l’eredità morale dei villaggi operai.

A breve distanza l’altro importante edificio di culto del quartiere, la Chiesa di Santa Teresa di Gesù Bambino, detta Santa Teresina costruita nel 1958 con un tetto a linee spezzate e campanile a ciminiera, oggi ben evidente anche dal vialone della Spina davanti alla fontana Igloo di Mario Merz (vedi itinerario 2 in San Paolo).


Anche il complesso di case STAP (Società Torinese per Abitazioni Popolari) è tra i testimoni dell’origine popolare di questa parte del quartiere. Progettato nel 1903 da Pietro Fenoglio e Mario Vicarj, il complesso fu costruito per la cooperativa fondata nell’anno precedente su iniziativa del deputato e consigliere comunale Tommaso Villa; all’esterno sono caratterizzati da una commistione di moduli decorativi neoromanici e stilemi di gusto liberty.
Il complesso fu realizzato fra il 1903 e il 1907 per i soci della STAP, fondata nel 1902 su iniziativa dell’avvocato Tommaso Villa (1832-1915) deputato e consigliere comunale, appoggiato da esponenti di primo piano dell’imprenditoria e della vita culturale cittadina. A redigere il progetto furono gli ingegneri Pietro Fenoglio (1865-1927) e Mario Vicarj (1853-1927), in collaborazione con il celebre igienista Luigi Pagliani (1847-1932), tutti membri del consiglio direttivo. Ubicato su un terreno ricavato dall’antica cascina Crocetta, l’insediamento è costituito da tre corpi di fabbrica a quattro piani fuori terra, articolati in alloggi da due a quattro vani, con criteri igienici (luce, verde, servizi interni) da esempio alle successive generazioni di edilizia economica. Esternamente prevale un linguaggio di ispirazione neoromanica tipicamente piemontese fondato sull’impiego del mattone a vista in alternanza ad ampie fasce bianche, secondo un’impostazione che trova un riferimento immediato nell’esperienza dell’ingegnere Riccardo Brayda (1849-1911), nonché analogie con l’attività svolta dallo stesso Fenoglio nel campo dell’architettura industriale. I tondi ceramici, le mensole in litocemento e le decorazioni floreali avvalorano invece il richiamo a stilemi di matrice liberty, ribadito pure dai motivi che caratterizzano i ferri battuti dei balconi e delle scale, cosicchè le abitazioni popolari appaiono esclusive anche nella ‘città dei ricchi.’



Per una pausa gastronomica in zona, nella sua parte più modesta e popolare, l’indirizzo è via Cristoforo Colombo, 63: Trattoria L’OSTU; Il locale è quello classico da trattoria, con l'unica presenza (un po' stonata) di videogames/poker che poco si addicono al tipo di locale. I piatti proposti, tipici da osteria, sono buoni e serviti in dosi giuste; rapporto qualità-prezzo è ottimo in particolare a pranzo con menù a 7 euro comprendente un primo, secondo e acqua, ma anche con la scelta alla carta (nella quale è prevista una buona scelta di antipasti, primi, secondi, contorni e dolci) si resta sotto ai 15 euro a testa. Perfetto per una veloce, economica e soddisfacente pausa pranzo.
Se si vuole invece fare una scorta ‘golosa’ per la colazione, a poca distanza il laboratorio della Panetteria Pasticceria Luyss in Via Giovanni da Verrazzano, 26: friabili, croccanti e leggere soprattutto le fette biscottate per avere un dolce e sano souvenir della Crocetta!


1 commento:

  1. Non solo un affascinate e ben strutturata descrizione dell itinerario ma anche e soprattutto affascinante lettura di un significativo angolo della storia torinese. Ben fatto👍

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