venerdì 6 dicembre 2013

Lucento: ritorno al Medioevo


Lucento (Lusengh o Lusent in piemontese) è un quartiere di Torino nell'area nord-ovest della città, facente parte della V Circoscrizione insieme a Le Vallette, Borgata Vittoria, Borgata Lanzo-Rigola, Borgata Tesso, Borgata Ceronda, Madonna di Campagna, Parco Dora, Spina Reale, Continassa e dista 4 km dal centro di Torino. Il quartiere è delimitato a sud dal parco Carrara (la Pellerina), ad est da corso Potenza, ad ovest da corso Cincinnato e a nord da via Terni e confina con i quartieri Madonna di Campagna, Vallette, Parella e Campidoglio. A differenza di tutti i quartieri di Torino, Lucento possiede una bandiera a forma rettangolare divisa da due rettangoli, uno di colore blu e uno rosso oramai unicamente utilizzata come drappo della squadra di calcio del Lucento.

Lucento nacque come insediamento nel sedicesimo secolo (1500) quando il suo castello divenne residenza sabauda con una vasta area eadibita a riserva di caccia, anche se le tracce dei primi insediamenti abitativi di tipo agricolo risalgono all’epoca medioevale.
Nel 1706 Lucento fu teatro di battaglie tra le truppe francesi e quelle sabaude che ritardarono l'assedio di Torino avvenuto poi nel medesimo anno. Si pensa che il nome di Lucento abbia origine proprio da questo evento storico poiché le esplosioni ed i riflessi delle baionette al sole rendevano lucente l'area fin da esser vista da Superga. Nella metà dell'Ottocento Lucento fu inglobata dalla città di Torino, nell'ormai quartiere vennero costruite fabbriche e ad esse seguirono case, infrastrutture e servizi. Fu solo negli anni cinquanta dello scorso secolo che Lucento diventò morfologicamente unita al contesto metropolitano di Torino. Il boom edilizio continuò fino agli anni '80, dove molte fabbriche chiusero, in seguito da quartiere industriale Lucento divenne area residenziale. Ancora oggi è ben visibile la ciminiera delle acciaierie che svetta come ricordo di un passato industriale della zona. A sud di Lucento risiede solo l'acciaieria Thyssenkrupp Acciai Speciali Terni, ormai dismessa anch'essa dopo l'incidente avvenuto nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2007.

Numerose sono le aree verdi del quartiere: la principale è costituita dal Parco Carrara, più comunemente chiamato Parco della Pellerina, primo parco in ordine di grandezza della città di Torino, anche la sua area maggiore appartiene al quartiere Parella (vd. itinerario ). Altra area importante è il parco di via Calabria adiacente a quello della Pellerina, diviso in due dal canale della Ceronda, ultimato nel 1869 per derivare il corso dell’omonimo torrente dal letto originale e portare l’acqua fin qui da Venaria, in un percorso in gran parte sotterraneo; il canale è attraversato da una passerella, in cemento a mattoni, che collega parte del parco al nucleo originario di Lucento, superando i ‘ruderi industriali’ della città novecentesca: una pensilina di cemento armato, i binari divelti dal tempo delimitati da un guardrail rosso di ruggine (in un’atmosfera quasi da periferia americana) e il tutto sospeso su una scarpata di terra e cemento con spessi e neri tubi appesi a mezz’aria e sotto una strada larga che finisce in una galleria buia; è quanto resta di una stazione della variante della ferrovia Torino-Milano che passava, parallela alla strada per i camion, nelle basse di Dora, sotto corso potenza e e le vie Borgaro, Forlì e Pianezza, collegando in unico trincerone le sezioni della Fiat Ferriere prima di finire la sua corsa allo scalo Bonafous.
Nel quartiere sono presenti diverse strutture sportive tra cui la piscina comunale di corso Lombardia, il campo della squadra di calcio del Lucento sempre in corso Lombardia e il centro polisportivo con campi da calcetto e tennis in via Val della Torre. Sul territorio è situata anche una biblioteca civica in corso Cincinnato angolo corso Molise.
Le vie commerciali di Lucento sono: via Pianezza, via Borsi, corso Toscana, via Foglizzo, la continuazione verso Venaria di via Foglizzo che dopo corso Toscana cambia nome in strada Altessano, corso Lombardia, via Luini e via Val della Torre.


Lucento non possiede molti monumenti poiché alcuni di essi nel corso degli anni sono stati sostituiti da moderne costruzioni a causa dell'enorme richiesta di case, alcuni però sono ancora ben visibili.
Il castello di Lucento, ora sede di alcune imprese e precedentemente sede dell'Istituto Agrario Bonafus rientra all'interno delle residenze sabaude perché divenne proprietà di Emanuele Filiberto di Savoia nel 1574, rilevando i beni della famiglia Beccuti a Lucento, in realtà lasciati in eredità alla Compagnia di Gesù, applicando la norma dello statuto della città di Torino che impone agli ordini religiosi di alienare a favore di laici i beni ricevuti in lascito; il castello di Lucento, insieme a quello più noto del Valentino, è la sola residenza sabauda ancora esistente ubicata nella parte piana dell’area urbana torinese.
La prima attestazione documentaria in cui viene segnalata la presenza di questa costruzione nel territorio di Lucento è del 1335. Se incerta è la sua data di costruzione, anche se i recenti restauri sembrano datare la casaforte al XIV secolo, certa è invece la sua funzione difensiva.
La famiglia Beccuti, la cui proprietà del castello è attestata dal 1363, si impegna, in un atto comunale del 1397, a mantenere costantemente un custode sulla torre con funzioni di avvistamento e di allarme in caso di pericolo per la città.

Nel XVI secolo il duca Emanuele Filiberto di Savoia avvia un processo di accorpamento dei terreni della zona in cui è situato il castello al fine di realizzare un parco per la sua attività venatoria, e la struttura viene trasformata in una prestigiosa e pacifica residenza di campagna che da allora in poi sarà una delle mete preferite e maggiormente frequentate dal duca. Egli crea un imponente parco cintato, vi insedia gli animali selvatici necessari alle sue battute di caccia, giardini provvisti di cascate d'acqua, ponticelli e un labirinto e tenta di introdurre nuove colture, tra cui quella del gelso. Il complesso comprendeva un territorio più ampio dell'attuale parco Carrara fin verso il confine di Collegno e delimitato dalle bealere (in piemontese sono i canali di irrigazione dei campi) Saffarona a nord e Colleasca a sud.La cronaca dell’epoca riferisce che, durante il viaggio di trasferimento della Santa Sindone da Chambéry a Torino voluto dal duca di Savoia per abbreviare il pellegrinaggio di San Carlo Borromeo, allora vescovo di Milano, il sacro lino fece tappa nel castello di Lucento dove fu accolto dal duca in persona e da tutta la corte il 5 settembre 1578, e qui rimase sino al 14 settembre quando fu trasportato processionalmente con grande solennità a Torino nella nuova cappella ducale di San Lorenzo.

Nel 1586 Carlo Emanuele I di Savoia, succeduto al duca Emanuele Filiberto morto nel 1580, non manifesta interesse nei confronti del castello e della sua tenuta e ne cede la proprietà al cognato Filippo d’Este marchese di Lanzo in cambio dei possedimenti e della residenza del Valentino, mantenendo però i privilegi sulle sue acque e sui canali.
Il feudo di Lucento rimane ufficialmente appannaggio degli Este fino al 1654, quando viene donato da Carlo Emanuele II di Savoia alla madre Cristina di Francia, la quale successivamente lo cederà al marchese Federico Tana d’Entracque.
In realtà, però, i Savoia godranno dell’usufrutto della tenuta almeno sino al 1619 confermandone la funzione attribuitale dal duca Emanuele Filiberto, vale a dire di centro per le battute di caccia.
Nei primi anni del Settecento nel castello, sul lato verso la Dora, sorge un filatoio di seta. Durante l’assedio del 1706, la chiesa e il castello di Lucento fanno da cerniera fra il fronte nord, a sinistra della Dora Riparia, e il fronte sud-ovest, a destra del fiume, della linea di controvallazione degli assedianti franco-spagnoli. I Francesi ne fanno un punto forte nelle linee d’assedio perché la posizione, su di un ciglio dominante la riva sinistra della Dora Riparia, favoriva il controllo delle comunicazioni con la Francia. Il Castello è anche il luogo dell’ultimo focolaio di resistenza nel corso della battaglia con gli austro-piemontesi il 7 settembre 1706, prima della ritirata degli assedianti.
Acquistato nel 1834 dall’Ospedale San Giovanni, nel 1848 vede insediarsi un’altra manifattura, la tintoria di cotone stampato di Felice Bosio, che subentra al filatoio sfruttandone il movimento dei mulini; nel 1879 il complesso architettonico viene acquistato dalla Città di Torino per adempiere al lascito di Carlo Alfonso Bonafous e istituire una scuola per la formazione all’attività agricola di giovani poveri. Infine, diviene sede degli uffici della ditta Teksid.


Oltre al castello, l’altro edificio stotrico è la Chiesa diSan Bernardo e Brigida, che può essere considerata la parrocchia madre da cui sono nate le altre parrocchie della zona di Lucento e la cui prima cappella fu costruita nel 400 ad opera dei contadini che abitavano quello che ancora era solo un villaggio; La chiesa dei SS. Bernardo e Brigida, nella struttura attuale, venne edificata in esecuzione al testamento di Ribaldino Beccuti, feudatario di Lucento, in cui si ordinava la costruzione di una chiesa parrocchiale nel proprio territorio e fu consacrata il 20 maggio 1462. Il nuovo edificio sostituì la precedente cappella intitolata a Santa Brigida, non più sufficiente a soddisfare le esigenze di più ampi spazi conseguenti a una forte crescita della popolazione nei possedimenti della famiglia Beccuti. In questo periodo si verificò un grande sviluppo della comunità lucentina, così come di tutto il contado torinese.
Al 1605 datano i primi lavori di ampliamento: furono costruite le due navate laterali e la volta a botte sulla navata centrale. Nel 1654 la reggente Maria Cristina di Francia, che aveva il giuspatronato sulla chiesa, conferì l’incarico della ricostruzione dell’edificio all’architetto Amedeo di Castellamonte (1610-1683). Relativamente a quest’epoca si è conservata la parte anteriore della chiesa attuale, vale a dire il portico con le due prime cappelle con decorazioni a stucco. Nel 1658 la famiglia Tana subentrò ai Beccuti nel possesso del castello di Lucento e nel superpatronato della chiesa, che insieme alla casa parrocchiale furono nuovamente e gravemente danneggiate circa cinquant’anni più tardi durante la battaglia finale per la liberazione di Torino dall’assedio franco-spagnolo del 1706. Durante l’assedio, la chiesa e il castello di Lucento si trovarono a far da cerniera, fra il fronte nord a sinistra della Dora Riparia e il fronte sud-ovest a destra del fiume, della linea di controvallazione degli assedianti franco-spagnoli; in questo punto si era stabilito, inoltre, l’ultimo focolaio di resistenza nel corso della battaglia con gli austro-piemontesi il 7 settembre 1706.

In epoca successiva vennero svolti altri lavori: il prolungamento della chiesa, con la costruzione di due ambienti laterali, e la ricostruzione del coro, interventi resisi necessari a causa di un nuovo incremento della popolazione che all’epoca giunse a superare i mille abitanti.
Nel 1884, a causa di un’ulteriore crescita demografica, il Municipio di Torino deliberò un nuovo ampliamento dell’edificio prolungandone la navata centrale, costruendo le due cappelle laterali e portandolo in tal modo alla conformazione attuale. Tra gli altri lavori effettuati si annovera la costruzione della nuova canonica, il probabile rialzamento del pavimento della chiesa, gli interventi sulla facciata, la costruzione di un organo nuovo da parte dell’artigiano torinese Giuseppe Lingua; infine, la ricostruzione dei muri dell’orto della chiesa sulla fiancata destra; nel 1928 venne rifatta la casa canonica, che nell’arco di qualche anno fu ulteriormente ampliata con l’aggiunta di un altro corpo di fabbrica, e furono eseguiti i lavori di costruzione del nuovo campanile su progetto dell’ingegner cav. Franceschetti, con realizzazione dei fratelli Antonio e Filippo Gibbone. Negli anni successivi proseguirono gli interventi con il restauro del battistero della chiesa parrocchiale su progetto dell’architetto Cesare Filippi nel 1965, la manutenzione e ristrutturazione dell’impianto di riscaldamento della chiesa e della casa parrocchiale tra il 1965 e il 1973: infine, il restauro e la pulizia dell’organo di Giuseppe Lingua. Gli ultimi restauri sono del 2001

Nei pressi della chiesa si trova una stele commemorativa ai caduti del 1706, che, ignorata dalla maggior parte degli stessi abitanti di Lucento, si trova in via Foglizzo al numero 4, pietra che commemora i caduti durante l'assedio del 1706. Nel 2006, nella rotonda su cui confluiscono le vie Verolengo, Foglizzo e Pianezza, è stata collocata una scultura commemorativa (in acciaio inox) 1706. Canto per una data realizzata dall’artista Luigi Nervo, originario del quartiere, per celebrare il tricentenario della vittoria dei piemontesi contro l’esercito francese, che strinse d’assedio la città per 117 giorni, prima di essere definitivamente respinto. L’opera trae spunto da un disegno dello stesso artista per un dramma sullo stesso evento, intitolato appunto “Canto per una data”: ultima fatica che Luigi Nervo fece insieme ai ragazzi del Centro di addestramento diurno disabili, “un adattamento teatrale dove la storia si concede alcune licenze poetiche e, in un susseguirsi di cambi scena, si svolge un ardito parallelismo storico tra la guerra di Troia raccontata da Ulisse e le vicende dell’assedio del 1706 così come le ricordava da Maria Bricca pescivendola in Lucento nonchè profonda conoscitrice dei sotterranei dell’attuale Circoscrizione 5.”
Sempre nei pressi della chiesa e della scultura 1706, si erge il Palazzo Principessa Isabella che, costruito nella metà dell'800, ospitò fino al 1977 una scuola materna e, dopo un abbandono di circa dieci anni, venne restaurato nella metà degli anni novanta ed riqualificato come centro culturale e congressi.

Il disastro della Thyssen Krupp sembra ricordare il Medioevo e indelebili rimangono infatti la brutalità e l’atrocità dell’incidente: poco dopo l’una di notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, sulla linea 5 dell’acciaieria di Torino, sette operai vengono investiti da una fuoriuscita di olio bollente, che prende fuoco. Alle 4 del mattino muore il primo operaio; nei giorni che seguiranno, dal 7 al 30 dicembre 2007, moriranno le altre sei persone ferite in modo gravissimo dall’olio bollente. I sindacati e le testimonianze degli altri operai accorsi sul posto dell’incidente denunciarono immediatamente l’inadeguatezza delle misure di sicurezza nello stabilimento che era in via di dismissione, facendo emerge il fatto gravissimo che da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle misure di sicurezza e nei corsi di formazione.Sebbene all’inizio La ThyssenKrupp nega di avere alcuna responsabilità e mostra fin dal primo momento un atteggiamento piuttosto ostile alla magistratura e all’opinione pubblica, Le indagini si chiudono in un tempo relativamente breve, la procura chiede il rinvio a giudizio per sei dirigenti dell’azienda tedesca e il giudice dell’udienza preliminare accoglie le tesi dell’accusa: il presunto reato è omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso.
Il primo luglio del 2008 la ThyssenKrupp ha versato quasi 13 milioni di euro alle famiglie dei sette operai uccisi – con l’impegno di queste a non costituirsi parte civile – e sono state emesse condanne più o meno gravi all’amministratore delegato della ThyssenKrupp, al responsabile dello stabilimento di Torino, al responsabile della sicurezza e ai membri del comitato esecutivo.
Oggi lo stabilimento di Torino della ThyssenKrupp non esiste più. È stato chiuso nel marzo del 2008 con un accordo tra la ThyssenKrupp, i sindacati, le istituzioni locali e i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, in anticipo sulla data prevista.
A sei anni dall'incendio alla Thyssenkrupp di Torino le famiglie dei sette operai morti quella notte aspettano la decisione della Cassazione su quelli che considerano i responsabili del loro inferno personale.


Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

http://it.wikipedia.org/wiki/Lucento 

mercoledì 27 novembre 2013

Barca e Bertolla: SPA/Salus (e Prosperitas) per Aquam


Il destino dei quartieri Barca e Bertolla è da sempre legato all'acqua;  il nome Barca, che si sviluppa verso i confini con Settimo, è dovuto all’antica presenza nell’area di barcaioli e traghettatori prima della costruzione del ponte Amedeo VIII. La struttura urbanistica del quartiere è molto varia ed articolata su più borgate (Scarafiotti, Biasoni e Baraccone), con la presenza di case basse, palazzi, cascine, capannoni industriali, piccole aziende, laboratori artigiani ed officine. Su Strada Settimo si trova l’Abbadia di Stura, risalente al 1146 rappresenta la costruzione più antica della Circoscrizione, ma che tuttora versa in condizione di totale abbandono.
Il quartiere di Bertolla si estende invece in prossimità del confine con il comune di San Mauro, ma il destino comune di questi due quartieri di Torino è da sempre legato alla Stura, fiume posto al di fuori delle mura dell’antica Torino, che nasce dal Pian della Mussa e che è sempre stato un corso d’acqua dalle vigorose correnti che, nel tratto limitrofo cittadino dei quartieri di Barca e Bertolla, si dividono in molti bracci, ricongiungendosi e separandosi più volte.

Borgata Bertolla, situata nel tratto di confluenza tra la Stura e il Po, è luogo noto per la caratteristica attività dei lavandai o lavandieri che, dalla fine dell’Ottocento e in modo organizzato dai primi del Novecento, si occupavano di lavare i panni per tutti gli abitanti di Torino. Chi viveva, infatti, in città, non aveva la comodità dell’acqua all’interno delle abitazioni, e un’ordinanza comunale del 1934 vietava lo sciorinare dei panni nei rivi cittadini e l’asciugatura degli stessi per le vie della città al fine di evitare che questa assumesse un aspetto poco decoroso. Così tutte le famiglie erano costrette a dare da lavare tutta la biancheria: lenzuola, tovaglie, indumenti, e quant’altro. La zona di Bertolla, caratterizzata da molti canali (bealere) che servivano d’acqua i vasti campi coltivati a mais o a foraggio per il bestiame, divenne il quartiere dei lavandai: qui si sfruttava la ricchezza d’acqua e la possibilità di usare gli spazi di campagna come asciugatoi naturali, per sviluppare la redditizia ma faticosissima attività di lavanderia. Si lavò a mano fino al dopoguerra, ma i lavandai di Bertolla continuarano ad andare nelle case della città a ritirare la biancheria da lavare sino a pochi anni fa.
Inoltre, è stato allestito un museo, in Strada Bertolla 113, vicino alla Parrocchia di S. Grato, in cui sono raccolte testimonianze fotografiche e materiale dell’epoca che raccontano l’attività dei lavandai. Ogni anno, nella prima quindicina di settembre, il gruppo personaggi storici sfila in costume per le vie del quartiere Bertolla per tenere vivo il ricordo della storia della borgata e per far assaporare agli appassionati e ai nostalgici un po’ di passato.


Il nostro itinerario tra Barca e Bertolla inizia proprio sul ponte Amedeo VII che sancisce quasi un passaggio dalla città, come centro urbano, ai due quartieri che seppur non si distaccano fisicamente dalla città, conservano una natura più paesana e rilassata. Il ponte Amedeo VIII attraversa la Stura sulla direttrice della Strada di Settimo e fu costruito nel 1933 dall’impresa Defilippi su progetto di Mario Dezzutti, sostituendo un precedente ponte sul quale passava, fin dal 1884, la linea tranviaria Torino-Settimo. Presenta cinque campate e misura 138 metri di lunghezza e 20 metri di larghezza e rappresenta un tipico esempio di ponte in cemento armato a travi raccordate, degli anni Trenta.

Superato il ponte si percorre per un breve tratto strada Settimo, da sempre l’arteria più trafficata del quartiere in quanto storicamente sulla direttiva che portava da Torino verso Vercelli e poi Novara e Milano; ma la si abbandona presto, girando prima in via della Magra e poi in via Anglesio per inoltrarsi nel quartiere e raggiungere (al civico 25) lo spazio verde dove nell’estate del 2011 si è realizzato il Cantiere Barca: maturato nel programma per lo spazio pubblico situa.to, a cura di a.titolo e Maurizio Cilli, il progetto è seguito e condotto da artisti, antropologi e architetti: i cosiddetti traceurs, cioè coloro che “tracciano e intessono” trame nelle maglie dello spazio pubblico. Nel caso specifico a Barca Giulia Majolino, Alessandra Giannandrea e Francesco Strocchio hanno analizzato ed esplorato le griglie dell’area: una zona in passato caratterizzata da un molo con imbarcazioni per l’attraversamento del fiume e l’ingresso in città, ma anche quartiere che, nella sua storia recente, data la marginalità, ha vissuto disagi sociali, ma con il grande potenziale oggi dei suoi abitanti, ossia vecchi residenti, immigrati dal Mezzogiorno e extracomunitari.

Dopo un anno di lavoro preparatorio, scandito da laboratori scolastici e attività di quartiere, dal 21 al 26 giugno è stato all’opera Raumlabor, collettivo tedesco interdisciplinare noto per la progettazione urbana di architetture temporanee. “Il team ha mutuato immediatamente l’area verde antistante il centro per la terza età in una sorta di falegnameria, fabbrica dei desideri e start-up di “nuove committenze”. Nasce infatti una scritta di risulta che rappresenta l’identità del Cantiere Barca e, mentre delle assi diventano una pedana-palcoscenico per delimitare un’area di azione per ragazzi, un proprio spazio e confine, dei materiali di scarto servono per la creazione di sedute utili per la siesta pomeridiana. Non ultimi, il desiderio di giocare “a misura di bambino” genera delle minute porte da calcio trasportabili, e l’esigenza di colore coinvolge l’artista tedesca Jana Gunstheimer nell’interpretare pittoricamente colonne, mattoni e saracinesche della struttura.
Quello che poteva sembrare un non luogo oggi è uno spazio di relazione tout-court. Ma la volontà e la speranza di vivere il proprio quartiere sicuramente soggiaceva; ci voleva forse solo una barca, un quesito per interrogarsi sul senso di appartenenza, per vedere un lembo di verde nel cemento diventare un’agorà
.”

Tornando indietro per via Anglesio si incontra via Vittime di Bologne che termina in strada San Mauro dopo aver attaversato una zona con edifici variegati che comprendono villette e edifici di ogni stile, palazzi popolari con tettoie e fioriere di lamiera colorata fino alla moderna chiesa di San Giacomo Apostolo (via Damiano Chiesa 53).


Sulla strada di San mauro, l’altra direttrice della zona, si notano dsulla sinistra prima un vecchio arco di ingresso in mattoni con ufficio postale (moderno) e anche una casale alla peruviana (al 123); in via della Verna e in Torre Pellice prosperano gli orti della zona che si lasciano alle spalle per percorrere strada comunale di Bertolla per entrare nel cuore paesano dell’altro nucleo storico e abitativo della zona: al 74 si incontra la scuola materna aperta nel 1900 grazie a una sottoscrizione, e, dopo una curva, la parrocchia (al 113) e un bar. 

La chiesa di San Grato, nata come cappella rurale nel XVIII secolo, fu ampliata nel secolo successivo per divenire chiesa succursale dell’Abbadia di Stura nel 1853: fin dal medioevo, tutto il territorio torinese posto oltre la Stura, rientrava sotto la giurisdizione dell’Abbadia di Stura. La borgata di Bertolla aveva comunque una sua chiesa che, nata come cappella rurale nel XVIII secolo, fu ampliata nella prima metà del secolo successivo ed eretta a chiesa succursale nel 1853. Il nuovo edificio di culto, molto probabilmente, inglobò la cappella settecentesca che costituì il presbiterio della chiesa. Dopo circa un trentennio dalla sua costruzione, la chiesa si rivelò insufficiente per le esigenze della borgata, pertanto dal 1885 si iniziarono i lavori di ampliamento che furono portati a termine nel 1900. Sul finire degli anni ’50 il sistema territoriale legato all’Abbadia di Stura fu smembrato per far fronte al sempre più imponente sviluppo urbano e il 3 gennaio 1960 la chiesa di Bertolla divenne ufficialmente l’odierna parrocchia di San Grato.

Il centro sociale di Bertolla non è pero il sagrato della chiesa ma piazza Monte Tabor, uno spiazzo come ce ne sono in campagna, ma una sorpresa all’interno di una città. Come nelle frazioni montane, per le piccole case familiari attorno alla piazza quasi non c’è distinzione tra strade e cortili di case.

Proseguendo sulla sinistra della piazzetta, via Gran san Bernardo attraversa alcuni orti privati congiungendosi al sentiero che corre lungo il canale derivatore, la corsia d’acqua che parte dal ponte diga e riprende il Po dopo il salto nelle turbine della centrale idroelettrica dell’impianto Po Stura-San Mauro dell’Azienda Elettrica Municipale, oggi IREN – qui visibile dall’altro lato.

Il canale derivatore delimita a nord la riserva naturale speciale Meisino e Isolone di Bertolla, istituita per tutelare le zone umide presenti attorno alla confluenza nel Po della Stura di Lanzo. Al suo interno è incluso il parco del Meisino, uno dei più grandi parchi della città di Torino, con un'estensione di 450.000 m² (45 ettari), collocato nella zona nord-est della città tra un'ansa del fiume Po, via Agudio il Ponte Sassi, corso Casale e la strada del Meisino. Il parco viene chiamato del Meisino dal nome Piemontese che indica la zona compresa nell'ansa del Po come “terra di mezzo”.
L'area oggi tutelata dalla riserva naturale era un tempo soggetta a ricorrenti allagamenti causati dalle piene del Po. Il problema fu risolto 1952 dalla posa di un'ariginatura in muratura, la quale aveva l'obiettivo primario di creare, assieme alla diga del Pascolo, un invaso per la produzione di energia idroelettrica. La prima realizzazione del parco del Meisino, che data 1988 e fu curata dalla sesta circoscrizione, fu messa in forse da una proposta di una variante al piano regolatore di Torino che avrebbe comportato la realizzazione di una grande quantità di fabbricati residenziali nell'area. Tale variante fu però accantonata anche per l'opposizione di varie associazioni ambientalistiche e la legge regionale 28 del 1990 istituì nell'area la Riserva Naturale Speciale del Meisino e dell'Isolone Bertolla, che venne quindi incluso nel sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po.
L'isolone di Bertolla è l'unico esempio di garzaia urbana presente in Italia. I pioppeti dell'isolone, in via di rinaturalizzazione, sono utilizzati per la nidificazione da una vasta colonia di aironi cinerini. Anche il resto della riserva presenta un notevole interesse ornitologico, potendosi osservare circa 100 diverse specie di uccelli, tra cui lo svasso e il tuffetto; mentre tra i canneti che circondano il bacino della diga del Pascolo nidificano il germano reale e la gallinella d'acqua. Il parco del Meisino, a cavallo tra i quartieri di Barca, Bertolla e Madonna del Pilone, è sfruttato dagli abitanti della città di Torino come luogo di passeggiate e di allenamenti podistici e al suo interno vi sono alcune strutture sportive, tra le quali un centro ippico, campi da calcio e da beach volley e campi da bocce. Talvolta il parco viene anche utilizzato per manifestazioni competitive (es. Royal Half Marathon), ed è sempre aperto 24 ore al giorno con la possibilità di praticarvi un interessante birdwatching urbano.






venerdì 22 novembre 2013

Regio Parco: tabacchi, trincee e anime sante

Regio Parco è un quartiere semiperiferico che fa parte della VI Circoscrizione di Torino, collocato nella zona nord-est della città di Torino nei pressi della confluenza della Stura di Lanzo nel fiume Po, delimitato a nord da via Botticelli e dal fiume Stura di Lanzo, a est dal fiume Po, a ovest da corso Giulio Cesare e a sud da via Cimarosa. Talvolta viene ricordato insieme ai quartieri Barca e Bertolla dai quali è diviso dal fiume Stura.

Per ripercorre la storia del quartiere Regio Parco bisogna risalire alle origini del suo nome che appare curioso per indicare un quartiere operaio. Una volta, dove adesso ci sono palazzi popolari, sorgeva un castello. Infatti, intorno alla fine del 1568 Emanuele Filiberto volle espandere le sue residenze oltre le mura verso nord, e acquistò da diversi proprietari terrieri 81 giornate di terreno boscoso, successivamente trasformato in parco, in un'aerea compresa tra le confluenze dei fiumi Dora e Stura nel Po. Il luogo fu dapprima chiamato Viboccone, con riferimento al preesistente e popoloso Vicus bocconis a cui si appoggiarono i servizi "logistici ed ecologici" della tenuta del Regio Parco in seguito venne eretto attorno al 1530 il castello del Viboccone detto anche “Palazzo di Delizie” ad opera dell'architetto milanese Croce. L'interno del castello era ornato da affreschi opera del pittore casalese Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. Tutto l'insieme del castello era delimitato da scaloni, portici, colonne e sovrastato da una grande cupola. Il castello fu poi distrutto dai francesi nel 1706, durante l'assedio di Torino del 1706 mentre stava già andando in rovina. Il Regio Parco torinese ebbe comunque una notevole importanza nello sviluppo delle residenze di piacere in Italia. Della "delizia" non resta che il nome Regio Parco, che ha dato nome al quartiere.


A seguito della distruzione del Regio Parco e dell'annesso Palazzo delle delizie, la zona fu lasciata in completo abbandono. Dal 1829 al posto del parco si decise la costruzione di quello che è ora il cimitero monumentale di Torino e al posto del palazzo delle delizie si iniziò a costruire nel 1758 la Regia Fabbrica dei Tabacchi poi completata nel 1760. La fabbrica doveva contenere in un unico luogo sicuro "la piantagione, il semenzaio e pendaggio delle foglie di tabacco" nonché la lavorazione (tritatura e pestaggio) affinché si riducesse la foglia in macinato da fumo o in polverina da fiuto.


La lavorazione del tabacco, era strettamente controllata e rappresentava l’iniziativa diretta dello Stato. Doveva quindi essere specchio della magnificenza del re e dell'efficienza del potere centrale. Il progetto del complesso industriale fu affidato all'architetto Giovanni Battista Feroggio. Si decise che la palazzina delle delizie, al centro del nuovo edificio, diventasse la cappella, affiancata da due grandi cortili per la semina e il pendaggio, delimitati dai fabbricati per la lavorazione e per l'alloggio degli operai. L'edificio nel 1840 divenne una vera e propria fabbrica di tabacchi con annessa una cartiera. Successivi ampliamenti ebbero luogo tra il 1855 e il 1858 con la chiusura del cortile centrale con due maniche e con l'estensione della zona delle tettoie e dei depositi. In seguito, al fine di permettere la sistemazione della centrale elettrica, si dovette provvedere all'abbattimento della cappella che sorgeva all'ingresso principale. La predominante presenza femminile è stata una particolare caratteristiche di questa fabbrica: i dipendenti erano in gran parte operaie che provenivano quasi tutte oltre che da Regio parco, anche dai vicini quartieri Barca e Bertolla. Alla fine della II guerra mondiale, le operaie della manifattura tabacchi furono protagoniste di un episodio glorioso, perché tagliarono i copertoni dei camion respingendo così le brigate nere fasciste che avevano occupato la fabbrica per rappresaglia contro una colletta raccolta a favore delle milizie partigiane. Oggi la Manifattura dopo un lungo periodo di crisi ha definitivamente chiuso i battenti nel 1996, ma è allo studio un progetto di riqualificazione per destinare l'area a strutture universitarie. La direttrice storica di sviluppo della zona è ancor oggi costituita dalla antica strada delle Maddalene, presso quello che è stato l'ingresso principale della Regia Fabbrica dei Tabacchi.


Il nostro percorso a Regio Parco inizia proprio in corso Novara, 135 in corrispondenza dell’ingresso principale in stile neoclassico del sopraccitato Cimitero Monumentale di Torino, precedentemente chiamato Generale e ora conosciuto con il nome di Cimitero Monumentale per le numerose tombe storiche ed artistiche che si possono visitare. Al suo interno si trovano anche il Tempio Crematorio e il Luogo del Ricordo ove possibile la dispersione delle ceneri e sono presenti aree di sepoltura riservate alle comunità ebraica ed evangelica, a ordini religiosi e a corpi militari.

Il Monumentale è effettivamente un museo a cielo aperto: la “Città del silenzio” ospita personaggi celebri e numerose testimonianze d’arte, come i bronzi di Celestino Fumagalli, autore del genio alato, la statua in rame collocata inizialmente sulla Mole, abbattuta da una tromba d’aria nel 1904 ed ora esposta al Museo del Cinema. Scrittori, statisti, storici, politici, artisti, calciatori, eroi: sono numerosi i personaggi che hanno tracciato la storia e la cultura non solo della Città ma dell’intero Paese e che oggi riposano nei cimiteri cittadini. Nella guida storico-artistica “Le nostre Radici”, l’amministrazione comunale ha reso loro omaggio, evidenziando al lettore le opere d’arte che arricchiscono i cimiteri cittadini e l’ubicazione delle “sepolture degli Illustri” che vi dimorano; discreti leggii collocati in prossimità delle sepolture offrono una breve biografia dell’illustre e le principali note d’interesse per il visitatore.

Si può uscire dal Cimitero su corso Regio Parco e percorrere il corso, delimitato sulla sinistra dalle botteghe dei marmisti e dei fiorai verso nord; subito dietro incombono le strutture abbandonate dello scalo Vanchiglia, nascoste solo in parte dagli alberi e dagli orti recintati; dopo è quasi campagna e anche la Chiesa di San Gaetano da Thiene che si scorge in lontananza rimane come sospesa in un non luogo, priva di piazzetta o belle case intorno al sagrato.

Nell’Ottocento infatti la popolazione del borgo Regio Parco utilizzava per i servizi religiosi la chiesa dedicata al Beato Amedeo IX di Savoia, edificata nel 1765 all’interno della Regia Manifattura Tabacchi. Nel 1883 la Direzione della Manifattura fece presente alla Curia che non intendeva più far entrare degli estranei e quindi avrebbe dovuto chiudere la cappella. Si decise di costruire una nuova chiesa dedicata a San Gaetano da Thiene in onore del Cardinal Gaetano Alimonda, Arcivescovo di Torino tra il 1883 e il 1891 affidando il progetto al marchese Ferdinando Scarampi di Villanova insieme all’ing. Lorenzo Rivetti. I lavori, seguiti personalmente dal parroco don Michele Mossotto, cappellano della Manifattura dal 1886, iniziarono nell’agosto del 1887, la chiesa venne consacrata il 6 agosto 1889 e inaugurata dal Cardinale il 7 agosto 1889. La chiesa, lunga 54 metri, larga 22 e alta 18, con un campanile alto 40 metri, è un esempio di architettura eclettica di fine Ottocento; è’ singolare che la chiesa volga le spalle al borgo del Regio Parco, ma al momento della costruzione l’espansione urbana era prevista sull’asse del corso Regio Parco. I successivi ampliamenti del cimitero, la costruzione dello scalo Vanchiglia e la completa apertura della via Bologna modificarono le direttrici dello sviluppo urbano lasciando ampie zone inedificate appunto davanti alla chiesa.
 
All’interno del complesso parrocchiale, si trova anche l'Hammam di Alma Terra, che ha riaperto dopo due anni di chiusura: è stato il primo aperto in Italia, l'8 marzo 1995, nel Centro Interculturale Alma Mater di via Norberto Rosa 4a, e a lungo unico Hammam femminile funzionante in Italia.

Alla sua destra, via alla Chiesa dà accesso al reticolo di poche vie del borgo più antico, cresciuto a fine ottocento per fornire un'abitazione a parte dei lavoratori della fabbrica del tabacco di corso Regio Parco; oggi nel mezzo del borgo si trova l’isola pedonale all’angolo con via Maddalene con un bar pasticceria, la vineria e la pavimentazione rinnovata in porfido, dove da una parte si vede il campanile della chiesa e dall’altra l’ingresso principale della Manifattura Tabacchi; proprio di fronte alla fabbrica, che oggi ospita studi televisivi ed eventi estemporanei legati all’arte e alla fotografia (l’ultimo: Photissima 2013 nell’ambito di Artissima/Paratissima), su quella che era piazza Regio Parco, e oggi piazza Abba, si trovano i luoghi dell’educazione e della formazione inizialmente destinati ai figli delle tabacchine: l’asilo Umberto I  e la scuola elementare Abba.

Per numerosi figli delle tabacchine torinesi il percorso educativo si è sviluppato effettivamente lungo un itinerario che si dipanava in tre edifici strettamente collegati alla Manifattura del Regio Parco: l'incunabolo, che all'interno della Manifattura assolveva alle funzioni di nido; l'asilo Umberto I e la scuola elementare Giuseppe Cesare Abba che, adiacenti allo stabilimento, caratterizzavano il panorama del borgo. L'asilo del Regio Parco, fra quelli della Federazione degli Asili Suburbani, fu il primo ad essere costruito, nel 1880. L'edificio rimodernato nel 1912, veniva descritto come uno degli asili più belli della città. L'asilo aveva per scopo l'istruzione morale, religiosa, fisica ed intellettuale dei bambini, di età non minore di due anni e non maggiore di sei. Ai bambini ricoverati all'interno veniva distribuita una minestra ed erano ammessi gratuitamente i bambini poveri o comunque di modesta condizione economica, nati o residenti nel comune di Torino. A centovent'anni dalla sua costruzione, l'asilo accoglie ancora oggi numerosi bambini.
Il 29/05/1878 il Comune di Torino delibera l'acquisto di un terreno posto nell'area del Regio Parco, di fronte alla Manifattura Tabacchi più precisamente nel luogo dove sorgevano i giardini del Viboccone, per la costruzione di un edificio scolastico. Inizialmente l'edificio era piccolo, ma sufficiente a soddisfare le esigenze della popolazione del borgo e degli operai della Manifattura. La scuola, non avendo ancora una denominazione specifica, era semplicemente chiamata "SCUOLA ELEMENTARE RURALE DEL REGIO PARCO"; questo fino al 1921, anno in cui la Commissione Municipale, preposta alla Toponomastica, la dedicò a GIUSEPPE CESARE ABBA, valoroso soldato e cronista della spedizione dei Mille e i primi documenti della scuola, rinvenuti dagli archivi, sono datati 1905, dimostrando che proprio in quell'anno la scuola iniziò la sua attività. Man mano che la popolazione cresceva, aumentarono le esigenze e la struttura venne a mano ampliata fino a raggiungere negli anni Venti la strututtura su due piani come la si vede oggi.

Continuando il percorso da via Paroletti si attraversa via Bologna con un brusco salto – in avanti – nel tempo: dopo infatti le case a raggiera di via Gottardo 275 il villaggio rurale costruito dallo IACP nel secondo dopoguerra, ma promosso già all’inizio degli anni Quaranta, probabilmente in seguito alla riuscita prova dell’insediamento per lavoratori agricoli inaugurato poco tempo prima nella borgata di Testona. Non attuato a causa della guerra, il progetto fu ripreso nel 1946 con l’intenzione di realizzare nove casette, occupando un lotto a ventaglio, concesso gratuitamente dal Comune, delimitato dalle vie Ancina, Cravero, Pergolesi, Bologna e Gottardo. Analogamente alla tipologia adottata a Testona, gli edifici tendevano a riprodurre in piccola scala il modello dei casali di campagna, tanto da essere caratterizzati da un porticato scandito da arcate di ispirazione razionalista, deputato tuttavia ad assolvere semplicemente una funzione di coerenza stilistica rimanendo di fatto compresso sulla facciata. All’interno le costruzioni furono articolate in quattro alloggi, ognuno dei quali dotato di cucina, due camere, servizi e orto. In seguito alla cessione di parte del terreno alla gestione INA-casa, il progetto fu però ridimensionato, cosicché accanto alle sole cinque casette eseguite sorsero nel 1956 dieci fabbricati a tre piani fuori terra, mentre all’ingresso dell’insediamento fu sistemata l’area per il mercato rionale. Tramontata definitivamente la nostalgia ruralista enfatizzata dal fascismo, sotto la pressione dell’impellente necessità di abitazioni innescata dal boom economico, le casette furono poi demolite, permettendo all’Istituto per le case popolari di ricavare spazi per l’impianto di edifici più ampi.

Via Gottardo segue la linea dei binari e costeggia per un lungo il tratto il ”trincerone”, ovvero la vecchia trincea ferroviaria, dismessa da anni, fra via Sempione e via Gottardo, che da dimora di topi e tossicodipendenti, è stata ripulita recentemente da una cooperativa e nel suo futuro sembra esserci la Metropolitana (linea 2) con la possibilità di realizzarvi in superficie un parco lineare, tra gli interventi previsti dalla variante 200 insieme ai progetti per il recupero dello scalo Vanchiglia. 
A destra, via Corelli raggiunge il maggior complesso di case della zona (23 grandi condomini di sette o più piani)  compreso appunto tra via Corelli, via Pergolesi, via mercadante e corso Taranto, che da’ il nome al rione. Tra questi si scorgono a fatica una chiesetta di legno della parrocchia della Resurrezione (via Perosi 1),  recuperata e aperta come centro di accoglienza e aggregazione per gli abitanti del complesso di edilizia pubblica, e una piazzetta commerciale con mini portico e una cupola di acciaio e vetro con palco usato per gli eventi del gruppo di promozione locale.

Si approda quindi su Corso Taranto, l’altra importante arteria di Regio Parco, che vede al civico 80 la  sfaccettata e poligonale casa INCIS costruita nel 1975 come progetto architettonico innnovativo, il centro interculturale al n° 160 nato nel 1996 con “l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini, sia nativi sia migranti, opportunità di formazione interculturale oltre a occasioni di incontro, dialogo e confronto su temi e questioni di interesse comune, le cui attività sono supervisionate da un Comitato Scientifico. Fra gli obiettivi prioritari del Centro Interculturale vi è la formazione realizzata attraverso percorsi formativi atti a produrre cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti delle persone"; infine nella sua parte terminale le tettoie del mercato semicoperto costruito nel 2006 che conducono a Piazza Sofia, che fino al 1912  era una barriera per il dazio per chi arrivava da Milano o Vercelli.

Dopo piazza Sofia si apre nuovamente e respira in in quelli che restano i suoi due grandi spazi verdi: il parco dell’Arrivore e il parco della Confluenza.  Il nuovo Parco dell’Arrivore, inaugurato il 7 ottobre 2009 dal Settore Grandi Opere del Verde Pubblico della Città nell’ambito del grande progetto “Torino Città d’Acque”, è situato sulla sponda destra del torrente Stura, in un’area di grande valenza naturalistica e paesaggistica completamente riqualificata. Gli elementi paesaggistici ed ecologici su cui si è ricostituita l’identità paesaggistica di questo ambito di territorio fluviale sono il fiume e la vegetazione delle sue sponde, un “corridoio ecologico” molto frequentato dall’avifauna e con la presenza di 140 orti urbani regolamentati, l’area umida, un residuo di naturalità e bio-diversità in un contesto ecologicamente riqualificato, l’orlo del terrazzo naturale, verso la via Botticelli, che costituisce una balconata panoramica verso tutta l’area del Parco e le visuali verso l’arco alpino e la collina torinese, che rappresentano orizzonti paesaggistici di grande valore scenico, rafforzati in alcuni casi da specifici punti di interesse panoramico (come la Basilica di Superga).

Fin verso la metà degli anni ’60 del secolo scorso le rive dello Stura, spiaggia della Barriera di Milano e Regio Parco, erano meta di scampagnate domenicali, cosa che favorì il sorgere di iniziative locali di ristoro e trattorie. Si affiancarono anche altre attività artigianali legate all’uso del suolo e delle acque: lavandai e renaioli. In seguito, le attività si trasformarono completamente ed inizio’ un uso intensivo del bacino della Stura con il sorgere di numerose cave, a cui seguì una caotica industrializzazione. Ancora visibile è l’impianto della draga tramite la quale dal greto del torrente si estraevano materiali inerti per costruzione e pavimentazioni stradali.
Al progressivo abbandono, per esaurimento, delle cave di inerti, fece seguito un maggior degrado dell’area e delle sponde che favorì inevitabilmente il conseguente insediamento di attività abusive.
Nei primi anni Ottanta del Novecento, la Circoscrizione, con le associazioni e  i cittadini del quartiere, grazie alla collaborazione della Brigata Alpina Taurinense, diedero il via alla pulizia della zona della Confluenza, fino alla creazione del parco nel 2009.

Per una merenda sfiziosa o anche solo un caffè con un pasticcino, la sosta è nel borgo della Manifattura Tabacchi alla Pasticceria Saporito in Via Maddalene 43.

Per il percorso completo e ulteriori informazioni:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

giovedì 14 novembre 2013

Aurora: Balôn, palloni e altri mercati


Il secondo itinerario in Aurora inizia dalle Porte Palatine, ancora oggi uno dei monumenti simbolo di Torino e uno degli esempi meglio conservati di porta urbica edificata all’inizio della nostra era; la porta di accesso al "castrum" romano risale al I secolo d.C. ed è uno degli esempi meglio conservati di porta romana. Usata anche dopo la caduta dell'impero romano, la Porta conservò nel tempo la funzione di palazzo-fortezza. Tradizione vuole che nel 773 vi abbia soggiornato Carlo Magno, dopo la vittoria sui Longobardi alle Chiuse: pare che vi abbiano dimorato anche Carlo il Calvo ed altri imperatori e re. Nel corso del Medioevo l'edificio cambiò diverse volte nome: nel secolo XI viene chiamato Porta Turrianica e nel seguente Porta Doranica, poi Porta Vercellina e Porta Palatii. Nel 1724 divenne un carcere, e le torri presero il nome di Torri del Viceriato. Nel 1860 il palazzo delle torri fu ceduto al municipio, il quale lo restaurò abbattendo anche le rovine vicine. La Porta cambiò ancora il nome, divenendo via via Porta Romana, poi Comitale, Doranea e finalmente Palatina.

Da un punto di vista architetonico, si tratta di una robusta costruzione in laterizio, dalla facciata scandita da due ordini di finestre, alternate da trabeazioni e lesene, fiancheggiata da due torri poligonali a sedici lati alte trenta metri. Nella facciata si aprono quattro fornici, due maggiori per il transito dei carri e due minori per il passaggio dei pedoni. Tutto l'interturrio è segnato orizzontalmente da una fascia marmorea inserita per motivi estetici, o forse per porvi un'iscrizione. Dietro la facciata si appoggiava un edificio a pianta quadrata (la statio), del quale si vedono solo le fondamenta, che ospitava il corpo di guardia. A fianco della Porta si erge un poderoso tratto di mura romane con sopraelevazione medievale. Davanti alla porta si trovano oggi copie delle statue di Cesare e Augusto.

Si capisce quindi da subito che le Porte Palatine rappresentavano la fine del centro urbano e l’imbocco del contado e non a caso il toponimo del quartiere (Aurora) va ricondotto a un'antica cascina posta indicativamente al centro del quartiere (all'angolo fra gli odierni corso Giulio Cesare e corso Emilia), nel luogo, per l'esattezza, dove oggi sorge Casa Aurora. L'edificio, che nelle carte topografiche ottocentesche risulta come cascina l'Aurora, fu trasformato dapprima in un opificio tessile (nel 1869) e, nel secolo successivo, ospitò il Gruppo Finanziario Tessile (GFT), azienda produttrice di abiti pronti; nel 1984 l'intero complesso fu ridisegnato dal celebre architetto Aldo Rossi e proprio da allora è noto come Casa Aurora.


In effetti questa parte del quartiere è a cavallo tra il centro urbano, la cui vita è da sempre basata su scambi commerciali e sociali, e quelli che un tempo erano i sobborghi ma oggi fanno parte a pieno titolo della cerchia urbana; fulcro del commercio in zona è da sempre stato il Mercato di Porta Palazzo che si svolge in tutti i giorni feriali sull’ottagonale Piazza della Repubblica, vero cuore dell'area di Porta Palazzo e spesso conosciuta con il medesimo nome, tralasciando la sua vera denominazione; questa ospita dal 1835 il maggior mercato quotidiano cittadino e nell'arco di tre secoli ha visto sorgere numerosi padiglioni e strutture adibite alla funzione mercatale e, a partire dal 1996, è stata oggetto di una radicale riqualificazione con l'ammodernamento delle strutture esistenti, il rinnovo dell'arredo urbano e la realizzazione di un nuovo sottopasso stradale che ne ha migliorato la percorribilità. A gennaio del 2012 è stato inaugurato un nuovo cantiere che interessa il palazzo dell'Isolato Santa Croce, che permetterà un recupero architettonico della facciata juvarriana.


Con quasi 50 000 m² di estensione, circa 1.000 bancarelle mobili e un'affluenza stimata di circa 100.000 persone Porta Palazzo è considerato il mercato più grande d'Europa. I generi trattati sono molteplici: prodotti ortofrutticoli, alimentari, ittici, caseari ma anche carne, fiori, abbigliamento e vari articoli di uso domestico. Gestito in una buona percentuale da cittadini extracomunitari ma anche da una consistente parte di commercianti italiani, esso rappresenta un vero e proprio crocevia di etnie e culture, nonché tappa ormai immancabile di numerosi turisti.


Spicca sull’area l'antica Tettoia dell'Orologio in stile art nouveau, costruita in ghisa, ferro e vetro. Nell'ultima ristrutturazione degli anni Novanta il padiglione IV è stato rinominato Antica Tettoia dell'Orologio. Simbolo del mercato di Porta Palazzo per eccellenza, fu realizzata nel 1916 e rappresenta un tipico esempio di struttura metallica dell'epoca. Ubicata nell'area nord-est della piazza, è dedicata al solo commercio di prodotti alimentari; all'interno ospita 88 punti di vendita numerati, suddivisi in ampie corsie, mentre all’esterno ospita i banchi dei contadini  - che coltivano i propri prodotti in collina e nella prima cintura agricola della città - e da qualche anno anche un interessante banco che vende ortaggi tipicamente asiatici coltivati a Carmagnola (TO) a soddisfare la richiesta sempre crescente degli immgrati cinesi che vivono in città.
Ubicati nell'area sud di piazza della Repubblica, furono costruiti nel 1836 su progetto dell'ingegner Barone, il Padiglione II che ospita il mercato del pesce, con 18 punti di vendita, e il Padiglione V  che ha 53 punti di vendita e contiene (come l'antica Tettoia dell'Orologio) rivendite di carne e di generi alimentari. Insieme a questi mercati, ogni giorno vengono allestiti su strada 756 punti di vendita mobili, sui tradizionali carrettini, che diventano ben 796 il sabato.

Nell'area mercatale, è stata rifatta una nuova pavimentazione della piazza in pietra di Luserna e dove in precedenza sorgeva il mercato dell'abbigliamento, si è costruito l'edificio, in vetro traslucido e di chiara impronta contemporanea, denominato PalaFuksas (dall'architetto Massimiliano Fuksas che l'ha progettato) ma che ancora aspetta una definitiva destinazione d'uso. Realizzato su progetto di Massimiliano e Doriana Fuksas tra il 1998 e il 2001, l'edificio è stato edificato a seguito della demolizione del preesistente Mercato dell'Abbigliamento, realizzato nel 1963. L'attuale struttura, dalla forte connotazione contemporanea, è caratterizzata dall'ampio utilizzo di vetro e metallo brunato, che sottolinea la convivenza di architetture eterogenee sviluppate nell'area durante gli ultimi tre secoli. Essa conserva, al suo interno, due delle più antiche ghiacciaie sotterranee della piazza, rinvenute durante gli scavi. All'interno, un ardito sistema di rampe metalliche consente di percorrere tre dei cinque piani che ospitano locali commerciali, un ristorante e parcheggi sotterranei. L’edificio, nominato Centro Palatino, è stato inaugurato il 25 marzo 2011 e ospita al suo interno 32 negozi, un bar e un ristorante con terrazza all’ultimo piano.


L'Isolato Santa Croce, ovvero la zona compresa tra piazza della Repubblica, via Milano, via della Basilica e via Egidi, ospitava il Palazzo dei Cavalieri che, dal 1575 al 1884, fu la prima sede dell'Ospedale Mauriziano. Nel 1729, l'architetto di corte Filippo Juvarra coinvolse l'Isolato Santa Croce nella grande ristrutturazione già avviata per la confinante piazza, mentre, con l'avvento del dominio francese, l'Ospedale Mauriziano venne chiuso. Al ritorno dei Savoia fu riaperto ma nel 1884 l'Ordine Mauriziano trasferì l'ospedale presso l'attuale struttura di corso Stupinigi (l'attuale corso Turati). Nel 1888 l'ormai vetusto edificio dell'ex ospedale fu venduto alla Ditta Bancaria Fratelli Marsaglia, che si occupò del suo recupero con il progetto dell'ingegner Rivetti, che prevedeva la realizzazione di una galleria commerciale intitolata al nuovo sovrano Umberto I. Terminata nel 1889, la galleria si sviluppa su una pianta a forma di croce, sfruttando i volumi che un tempo costituivano le corsie dell'ospedale. Essa collega la retrostante via della Basilica con piazza della Repubblica e il suo storico mercato; al suo interno si può ammirare la pregevole copertura in vetro e metallo, nonché la storica Farmacia dell'Ordine Mauriziano, che ivi ha sede dal 1575.
 
Oltre al mercato di porta Palazzo, l’altra anima commerciale della zona è il Balôn, ovvero lo storico mercato delle pulci di Torino nato verso la fine del Settecento, anche se originariamente ubicato nei pressi dell'attuale piazza Emanuele Filiberto. Il mercato del Balôn prende il nome dall’omonima zona alle spalle di Porta Palazzo. A metà dell’Ottocento il luogo era frequentato dai rigattieri torinesi; oggi è il posto ideale per scoprire le botteghe che propongono prodotti e manufatti di ogni specie. Il sabato è il giorno del mercato che diviene il cuore pulsante di quest’area legata alla tradizione popolare. 

La seconda domenica del mese 250 bancarelle, 50 negozi, bar e ristoranti  danno vita invece al Gran Balon, da 28 anni mercato dell'antiquariato minore della Città di Torino. Nelle vie Lanino, Mameli, Canale Carpanini, Borgo Dora e Cortile del Maglio antiquari, rigattieri, operatori dell'ingegno espongono con cura le loro merci, mobili, ceramiche, libri, abbigliamento, vintage, prodotti di artigianato. All'interno del Cortile del Maglio manufatti e prodotti in materiale cartaceo si fondono col vintage e creano particolari ed interessanti esposizioni che attirano un pubblico di appassionati.
Inoltre tutti i giovedì sera fino a dicembre viene organizzato in via Borgo Dora il Baloné: antiquariato, rigatteria, bancarelle dell'usato, creatività, giovani stilisti, riciclo, ambientazioni usate, gioielli etnici, mostre fotografiche e d'arte, laboratori ed esibizioni.


L'etimologia del toponimo Borgo del pallone è molto antica ed è riconducibile a molteplici interpretazioni tra cui anche al termine piemontese "balon" che significa, appunto, "pallone".
Tuttavia, sin dall'epoca medievale quest'area era nota come burgum ad pillonos, da cui potrebbe essere derivato, storpiandolo, il nome Borgo del pallone. Secondo quanto riportato da una carta topografica francese risalente al periodo dell'Assedio di Torino del 1706, il Borgo del Pallone risultava già allora tradotto in Faubourg de balon. Questa testimonianza, tra l'altro, smentirebbe la più diffusa e fantasiosa interpretazione sull'origine del nome, che la vorrebbe ricondurre al primo decollo di una mongolfiera, evento accaduto parecchi decenni più tardi nella vicina Francia.
Un'altra ipotesi, di matrice prettamente popolare, sarebbe invece più recente e riconducibile all'inizio del Novecento, facendo derivare il toponimo dall'abitudine degli operai delle vicine concerìe che si ritrovavano a scommettere i loro pochi guadagni presso uno sferisterio e una bocciofila, di cui oggi rimane la sola facciata nella vicina via Cigna, recante scritto "Giuoco Bocce". L'origine del nome potrebbe essere connessa al detto piemontese degli operai "Andoma a gieughe al balon" (ovvero: "andiamo a scommettere sulla partita di pallone elastico"). 


Nell'estate del 2012 in corrispondenza di piazza Borgodora, come a riprendere uno dei possibili rimandi etimologici del quartiere, è stato posizionato un aerostato che, ancorato con un cavo di acciaio, effettua voli turistici fino a 150 metri di altezza, dando la possibilità di godere di un vasto panorama sulla città e divenendo il nuovo simbolo di questo storico quartiere.

A ridosso di Borgo Dora, troviamo un’altra città nella città: la Piccola Casa della Divina Provvidenza, meglio conosciuta come il Cottolengo, dal nome del suo fondatore aperta nel1832 per ospitare malati con handicap fisici e mentali; la prima sede, che diede il via all'opera di carità, fu aperta il 17 gennaio 1828 a Torino, in via Palazzo di Città, che si trovava nel palazzo della Volta Rossa e operava sotto il controllo della Congregazione del Corpus Domini, e fu chiamata il Deposito de’ poveri infermi del Corpus Domini; nel 1831 il Deposito fu chiuso d'autorità per la contingente epidemia di colera e il Cottolengo, com'era noto il sacerdote e sempre più spesso il suo ricovero, dovette riparare in Borgo Dora. Qui il 27 aprile 1832 aprì la Piccola casa della divina provvidenza sotto gli auspici di San Vincenzo de' Paoli e la direzione di Lorenzo Granetti (1801-1871). L'istituto accoglieva epilettici, dementi e sordomuti e ben presto si formò anche un gruppo di giovani donne che si presero cura degli ospiti della casa e coadiuvarono don Cottolengo nella sua attività caritativa. In seguito si consacreranno alla vita religiosa, fondando più congregazioni femminili e nel 1838 fu fondata una scuola per infermiere professionali.


Il numero dei ricoverati (che Cottolengo chiamava "buoni figli") iniziò presto ad aumentare, e con esso le spese della struttura. La Casa attraversò fasi di gravissimo indebitamento, ma il canonico fondatore e i suoi successori non si arresero mai. Usando di donazioni, lasciti ed inattese prebende, il consolidamento fu perseguito attraverso l'acquisto di terreni ed edifici. Alla morte del suo fondatore, nel 1842, l'istituto contava già 1.300 ricoverati. Col passare del tempo, la Casa divenne una piccola città. Quando i "buoni figli" superarono il migliaio, si vissero momenti difficili: i locali non bastavano, così come le provviste alimentari. Ma Torino si dimostrò generosa e sensibile anche in queste circostanze. Nel 1936 fu aperta una Scuola-convitto professionale per infermiere religiose. Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti causarono la distruzione di quattro reparti e la morte di circa 100 persone. Dal 1975 nella Scuola-convitto per infermiere opera anche personale laico.


A breve distanza dal Cottolengo, operava nell’Ottocento un altro dei Santi ‘sociali’ di Torino: San Giovanni Bosco che nella zona di Valdocco crea nel 1846 il suo primo oratorio radunando circa 300 ragazzi su di un prato e sotto una tettoia appoggiata a casa Pinardi, nei pressi del Rondò della Forca, all’epoca quasi completamente circondata da prati, piccole officine e laboratori artigianali.
Il complesso di Valdocco, che costituisce la Casa Madre e il centro spirituale dell’Opera Salesiana, ospita anche la Cappella Pinardi e la Chiesa di San Francesco di Sales. Intorno proliferano le attività gestite dai Salesiani prettamente dedicate ai giovani, quali scuole dell’obbligo e professionali e oratori. 
Nel 1864 Don Bosco pose la prima pietra del Santuario di Maria Ausiliatrice: realizzato come atto di riconoscenza all’Ispiratrice della sua Opera e per diffondere la devozione dell’Ausiliatrice, venne consacrato nel 1868 e conserva oggi le sue spoglie. Eretto su progetto dell'ingegnere Antonio Spezia nella seconda metà del XIX secolo, ha una facciata in stile rinascimentale sul modello palladiano della chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia, con un timpano, retto da quattro colonne, sul quale sono poste le statue dei martiri Solutore, Avventore e Ottavio mentre a lato del timpano sono le statue di San Massimo e di San Francesco di Sales.
Sull'architrave sotto il timpano si legge la scritta: "Maria auxilium christianorum ora pro nobis" e sotto il rosone la statua in marmo di "Gesù tra i fanciulli". Tra le colonne, a destra e a sinistra della fascia centrale, due altorilievi rappresentano "S. Pio V annuncia la vittoria di Lepanto" e "Pio VII incorona Maria". Nel 1867 la cupola venne ornata da una statua dorata della Madonna opera di Camillo Boggio.Infine, nel 1920 sulla rotonda di fronte alla chiesa venne collocato il monumento a don Bosco, di Gaetano Cellini.

Poco più a nord, stretto tra il Cottolengo, palazzine residenziali degli anni ’30 e la Dora, si trova il cimitero di San Pietro in Vincoli progettato nel 1777 dall'architetto Francesco Dellala di Beinasco su iniziativa di Vittorio Amedeo III, a seguito della disposizione normativa che vietava, per motivi igienici, la pratica delle inumazioni presso le chiese: fu così che si diede avvio alla costruzione di un'opera che rappresentava il primo cimitero costruito fuori dalla cinta muraria cittadina. Il cimitero si presenta con una tipologia a corte e porticato coperto su 3 lati. Sulla facciata, in stile neoclassico, compaiono 2 ordini di lesene: la prima presenta capitelli con ghirlande mentre l'altra raffigura teschi alati; sul timpano del pronao è rappresentato l'angelo della morte. Lo spazio centrale è adibito ad ossario, circondato da 44 pozzi adibiti a sepoltura comune per le salme dei non abbienti mentre sotto i portici (quindi al coperto) ci sono 72 tombe private, distribuite tra lapidi e busti, dove venivano seppelliti i nobili (famiglie Saluzzo di Paesana, Alfieri di Sostegno, Vernazza ecc.). Attorno al cimitero vennero riservate un'area per i non battezzati ed i morti suicidi ed un'altra per gli impiccati e gli esecutori di giustizia. All'ingresso del cimitero compariva una piccola cappella funeraria al cui interno vi era una statua di stile neoclassico denominata La morte velata, in pratica una figura di donna con volto coperto da un velo che le conferiva l'aspetto di un fantasma con sembianze femminili. Tale statua fu realizzata nel 1794 dallo scultore Innocenzo Spinazzi in commemorazione della prematura morte (1792) della principessa russa ventottenne Varvara Belosel'skij, moglie di Aleksandr Michajlovič Belosel'skij-Belozerskij, ambasciatore russo presso la corte sabauda. Nel 1975 la Velata fu trasferita su decisione dell'ufficio tecnico del comune di Torino nei sotterranei della Mole Antonelliana a causa del degrado in cui versava la cappella e il cimitero di San Pietro, ma la leggenda vuole che di notte il suo fantasma passeggi ancora intorno al cimitero, e che qui porti i suoi inconsapevoli amanti.

Con la costruzione del cimitero monumentale a partire dal 1829 il cimitero di San Pietro in Vincoli cadde in uno stato di disuso e pochi anni dopo fu chiuso al pubblico. Nel 1852, a seguito dello scoppio della polveriera del vicino arsenale militare il cimitero subì gravi danni e nel 1854 venne decisa la sua abolizione come cimitero dei giustiziati.  Per lungo tempo oggetto di vandalismo, profanazioni e teatro di messe nere, nel 1988 venne radicalmente ristrutturato. Gran parte dei resti dei cadaveri (tranne le cripte del prato centrale che sono state sigillate) sono stati trasferiti al cimitero monumentale e attualmente l'area del cimitero è adibita a luogo di eventi culturali.

Ritornando sul lungo Dora si incontrano due storiche bocciofile torinesi: il Fortino in strada del Fortino, 20/b e il Circolo Ricreativo Mossetto in lungo Dora Agrigento, 16.
A.S.D. Fortino, è nata nell'anno 1922 quando un gruppo di amici, amanti del gioco delle bocce, creò questa bocciofila che si è sempre distinta nell'organizzazione di gare, incontri e manifestazioni ad altissimo livello sportivo e sociale. La struttura, appena rimodernata dal Comune, è un complesso sportivo boccistico a livello Internazionale e l'attività sportiva della squadra bocce è presente nelle Categorie B/C/D. La bocciofila dispone di un punto ristoro e di un servizio bar, dieci campi da bocce, di cui quattro coperti. Il Circolo Ricreativo Mossetto nasce nel 1947, fondatore l'ingegnere Giovanni Mossetto, come circolo ricreativo "Ferrovieri Torino Nord" (dopolavoro ferroviario ferrovia Ciriè Lanzo). La struttura è sede di gare a livello nazionale ed internazionale. Dispone di undici campi da bocce (di cui sei coperti), servizi bar ristoro, sala riunioni e area verde.

Ci si allontana un po’ alla Dora e sembra di essere sulla Sprea, in una delle Kultur Haus berlinesi che uniscono la formazione culturale a occasioni ludiche e sociali: il Cecchi Point in Via Antonio Cecchi, 17. L’HUB Multiculturale Cecchi Point nasce nel 2011 grazie al contributo per la ristrutturazione di varie fondazioni. L’Associazione Il Campanile Onlus, che si occupa dal 1997 di educativa sul territorio nella Circoscrizione 7 e che ha sempre svolto le sue attività nello spazio del Cecchi Point, è il capofila del progetto. Nel 2012 l'HUB multiculturale ha conosciuto un consolidamento della sua struttura, attraverso una maggiore coordinazione e sincronizzazione delle attività e dei progetti svolti all'interno del centro, ed attraverso l'allargamento della rete, sia quella interna, con l'adesione di nuovi soggetti e il maggiore impegno e investimento da parte di alcuni soggetti già presenti, sia quella esterna, attraverso il contatto con enti e associazione che in qualche modo portano iniziative simili a quelle che il centro porta avanti. Grazie alla versatilità degli spazi della struttura, l’HUB offre proposte diversificate (Cecchi Mangia, spettacoli, conferenze, feste, mostre, doposcuola, laboratori, ecc) che incentivano una maggiore frequentazione del centro stesso.


Per ritornare in borgo Dora, si può percorrere il Ponte Carpanini, costruito nel 2004 su progetto dell’arch. Giorgio De Ferrari e ing. Francesco Ossola e nato per sostituire l'ottocentesco ponte a tre campate Principessa Clotilde, irrimediabilmente danneggiato dall'alluvione dell'autunno 2000, all’interno nel più ampio intervento di riqualificazione di Borgo Dora. Esso è costituito da un'unica campata lunga 43 metri e larga 12 e su di esso hanno sede due corsie veicolari, una ciclabile, a due sensi di marcia, e un percorso pedonale, lungo il quale una gradinata / seduta in legno, che si protende verso il fiume, offre la possibilità di godere di una suggestiva vista panoramica.
La struttura portante in acciaio - interamente saldata (oltre 10 chilometri di saldatura), del peso di 700 tonnellate è costituita da due travature longitudinali collegate superiormente, il cui impatto visivo è attenuato dai giochi d'ombra della particolare forma romboidale delle sezioni. I bastioni delle spalle sono rivestiti in pietra naturale proveniente dai materiali recuperati dalla demolizione del vecchio ponte. In caso di piena il ponte si solleva di circa un metro grazie all'azione di martinetti idraulici collocati entro vani interrati ricavati nelle spalle. Nel movimento di sollevamento il ponte porta con sé due paratie verticali che tamponano i varchi dei parapetti in corrispondenza degli accessi stradali, garantendo la sicurezza idraulica delle aree circostanti.


Ritornati nel borgo si incontrano sulla destra il Sermig, nell’ex-Arsenale militare di Torino, e subito dopo l’ex-caserma Cavalli che, ristrutturata recentemente, ospita da settembre 2013 la Scuola Holden di scrittura e storytelling diretta da Alessandro Baricco.
Il Servizio missionario giovani (spesso indicato con la sigla SERMIG, da "SERvizio MIssionario Giovani") è un gruppo fondato a Torino il 24 maggio 1964 da Ernesto Olivero insieme ad un gruppo di giovani, con il desiderio di sconfiggere la fame nel mondo tramite opere di giustizia, promuovere lo sviluppo, vivendo la solidarietà verso i più poveri. Nato inizialmente come gruppo missionario con l'intento di cooperare con vari missionari sparsi nel mondo, successivamente il Sermig ha iniziato ad occuparsi anche della povertà presente in Torino, allargando nel contempo la sua opera ad altri luoghi in tutto il mondo. Dal 3 agosto 1983 la loro sede è l'ex arsenale militare di Torino, ribattezzato Arsenale della Pace, una superficie di quarantamila metri quadrati che migliaia di giovani, di donne e uomini, con il loro lavoro gratuito e i con contributi volontari, hanno trasformato in una casa di accoglienza per i poveri, offrendo rifugio per la notte, pasti, cure sanitarie, sostegno a persone che vogliono cambiare la loro vita; una casa di formazione per i giovani (Università del Dialogo per l'educazione alla convivenza tra culture, alla pace e per affrontare i grandi temi dell'esistenza; scuola per artigiani restauratori, laboratorio del suono per il perfezionamento musicale); una casa dove "ognuno può ritrovare silenzio e spiritualità, se stesso e il respiro del mondo".

La Scuola Holden è una scuola di scrittura e storytelling fondata nel 1994 da Alessandro Baricco, Antonella Parigi, Dalia Oggero, Marco San Pietro, Alberto Jona, che trassero l'intitolazione da Holden Caulfield, protagonista del romanzo Il giovane Holden di J.D. Salinger. L'idea era quella di creare un percorso di studi inedito per obiettivi, contenuti e metodi didattici. Vi si insegna a produrre oggetti di narrazione per la pagina, per il cinema, il teatro, la radio, il fumetto, il web e tutti i campi in cui si può sviluppare la narrazione.
L'8 ottobre 2012, in occasione della lezione inaugurale del Biennio in Scrittura e Storytelling 2012/2014 tenuta dallo scrittore Jabbour Douaihy, il preside Alessandro Baricco insieme a Carlo Feltrinelli annunciò che nel 2013 la Scuola Holden sarebbe rinata in una forma diversa (Holden Reborn) con l’aumento del numero degli di studenti (da 60 all'anno a 400), e la variazione dell'offerta didattica articolata in sei college: Scrivere, Filmmaking, Acting, Series, Real World e Crossmedia.
Per accogliere i nuovi aspiranti storyteller è cambiata anche la sede: dalla storica palazzina di corso Dante 118 all'ex Caserma Cavalli e l’inaugurazione della nuova sede ha avuto luogo il 14 settembre 2013.


Il percorso in Aurora si conclude vicino a dov’era iniziato, all’interno del Cortile del Maglio, ovvero in una piazza quadrata, di quaranta metri per quaranta, racchiusa da quattro maniche perimetrali con al centro il grande maglio che domina la scena del cortile coperto e tuttìintorno loxcali, spazi commerciali, studi di design e agenzie di comunicazione.
Il Cortile del Maglio fa parte di un grande complesso architettonico di Borgo Dora che costituiva  l'Arsenale Militare. Già alla fine del ‘500, costituì la prima fabbrica delle polveri e raffineria. Alla fine del XVIII secolo, dopo esser divenuto proprietà dei Savoia, fu ricostruito su progetto del colonnello Antonio Quaglia. Nel 1852 fu quasi raso al suolo da un’esplosione che coinvolse anche alcune abitazioni del borgo. Dopo il tragico avvenimento, Vittorio Emanuele II decise di trasferire la Regia Fabbrica delle Polveri in una località più idonea, lontana dal centro abitato e lo stabilimento di Borgo Dora fu invece destinato ad ospitare alcune delle lavorazioni del Regio Arsenale di Torino dove si concentrarono la produzione e la riparazione di affusti di artiglieria e carreggi.
L’edificazione dell’Arsenale di Borgo Dora, ufficialmente denominato Arsenale delle Costruzioni di Artiglieria di Torino, fu seguita e diretta dal Genio Militare, che nel 1867 iniziò a fabbricare l’edificio in stile neomedioevale con un porticato e una torretta. Gli alberi metallici inclinati che sostengono l'ampia copertura esaltano l’antico maglio, importante reperto storico che permette a questo spazio suggestivo di tramutarsi facilmente in sede di svariati tipi di eventi: spettacoli teatrali, saggi di danza, concerti, mostre, fiere e altro ancora.
Da qualche anno, linfa e vitalità al rione di Borgo Dora derivano inoltre dal famoso mercatino natalizio nell’area del Cortile, sempre più intensamente di anno in anno, le prime settimane di dicembre, richiama in zona numerosi turisti e curiosi.

Per una pausa gastronomica quasi dentro il mercato, il consiglio è il ristorantino marocchino Le Gran Maghreb all’angolo nord di Piazza della Repubblica (civico 24) nei pressi dell’altorielievo dedicato a Francesco Cirio: il posto giusto per assaggiare un ottimo couscous di verdure o un tagine di pollo con olive verdi e citrons confits a stretto contatto con famiglie e singoli avventori maghrebini; poco distante sulla piazza al n° 30 – nei pressi del mercato coperto dei contadini sotto la Tettoia dell’Orologio – si trova la grande panetteria e pasticceria marocchina Mouharba che produce, oltre a ottimo pane arabo, deliziosi pasticcini della tradizione nordafricana e mediorientale a base di mandorle, pistacchi, datteri e frutta secca.

Per rimanere nella tradizione occorre spingersi a Borgodora che offre una trattoria (Valenza – Via Borgodora, 39 ) e un circolo ricreativo (Mossetto – Lungo Dora agrigento, 16) per sfamarsi senza grandi soddisfazioni con una cucina popolare modesta e per palati non troppo raffinati.
 
Un dolce ricordo di Borgo Dora? Un gelato equo-solidale alla Gelateria Popolare (via Borgodora, 3)  oppure un'inebriante bacca di vaniglia del Madagascar (o altre profumatissime spezie) da Edith Eloise Jeomazawa nel suo Atelier Madagascar in via Borgodora, 21.