Vanchiglia (in piemontese Vanchija) è uno dei quartieri storici di Torino, situato tra il quartiere centro e la confluenza dei fiumi Po e Dora Riparia, appartenente alla VII circoscrizione, delimitato a nord dal fiume Dora Riparia (LungoDora Siena), a est dal fiume Po (lungoPo Antonelli), a sud da Corso San Maurizio, a ovest da Corso San Maurizio - confluenza in Corso Regina Margerita.
Durante il Medioevo, questa zona si trovava al di fuori delle cinta murarie della cittadella, a pochi passi dalle porte romane decumana e Fibellona (l'attuale Piazza Castello); l'urbe terminava immediatamente al di là dei Giardini Reali voluti da Emanuele Filiberto I di Savoia nel XV secolo, attraverso un bastione militare il cui nome, d'origine incerta ma intuibile, fu chiamato Contrada del Cannon d'oro (zona di Via Montebello); quest'area rimase fortificata fino all'arrivo di Napoleone Bonaparte all'inizio dell'Ottocento, che fece abbattere il bastione, rendendo quindi il terreno più instabile e dando successivi problemi alla futura costruzione della Mole Antonelliana, attuale simbolo di Torino. Parimenti, tale Contrada inglobò successivamente anche l'altra più adiacente al Palazzo Reale (XVII secolo), e parallela alla via di Po (la attuale e celebre Via Po), e chiamato Contrada della Posta o Contrada dell'Ippodromo (attuale inizio di Via Rossini e Via Verdi), poiché vi erano le regie scuderie ippiche, costruite tra il XVII e XVIII secolo, spesso utilizzate per il trasferimento di merci e comunicazioni, oggi rivalutate nei due edifici denominati, appunto, Cavallerizza Reale. Tuttavia, tutte queste Contrade furono poi unificate nell' unico Centro storico di Torino, mentre Vanchiglia fu circoscritta verso tutta parte a nord-est di Corso San Maurizio, un prestigioso viale da poco aperto e alberato da Vittorio Emanuele I nel 1818, e dedicato al santo del III secolo protettore della casata.
Il borgo Vanchiglia si sviluppò quindi verso le rive dei fiumi Po e Dora maggiormente tra il XVIII e il XIX secolo, costituito soprattutto da casette fatiscenti, su terreni paludosi e viottoli melmosi, in cui l’acqua del fiume filtrava senza posa, tanto da venir denominata la Contrada del moschino (moscerino), ma anche Contrada dle pules (Contrada delle pulci), e cioè l'attuale zona di via Bava e via Napione. Nelle misere casette vi abitavano, in un'atmosfera maleodorante e insalubre, soprattutto pescatori, lavandai, barcaioli, artigiani e contadini. Fu solo nel 1872 che il sindaco Felice Rignon dispose l’abbattimento di tutto il Borgo, fortemente preoccupato della grave precarietà igienica (vi era stata da poco un'epidemia di colera).
Il piano urbanistico di rivalutazione di tutto il Borgo era comunque in atto già da circa dieci anni, con l'Unità d'Italia e l'incipiente prestigio della città sabauda. Nel 1862-1866 sorse infatti la bella chiesa di Santa Giulia, opera neogotica di Giovanni Battista Ferrante e voluta dalla marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo. Il Borgo proseguì quindi nella forma odierna in seguito all'imponente ristrutturazione urbanistica che ha avuto luogo a cavallo della rivoluzione industriale in Piemonte alla metà del XIX secolo. Ma la tardiva urbanizzazione di una zona così vicina al centro città non deve stupire, perché rimaneva sempre una zona paludosa ed insalubre. Altro elemento che ha ritardato la piena urbanizzazione è il fatto che fosse considerata una zona estremamente fertile, tanto che ancora nel 1852 il cronista Davide Bertolotti la descriveva in questi termini:
« ...i prati maggiormente produttivi di Torino sono quelli che trovansi nella regione così detta di Vanchiglia: imperroché colà si scaricano le acque che trasportano l’immondizia della città, le quali mentre fecondano mirabilmente quelle terre, diffondono all’intorno effluvj nocivi all’umana salute. E nella regione di Vanchiglia appunto manifestaronsi i primi casi di colera allorché questo micidiale morbo invase la nostra città, dove però, Dio mercé, poco si diffuse e in breve spazio si spense... »
Rispetto ad altri quartieri di Torino, Borgo Vanchiglia ha conservato per decenni una forte caratterizzazione di quartiere popolare, ben definibile sia socialmente che politicamente.
È indicativo il fatto che sia l'unico quartiere di Torino che preveda un termine (Vanchigliese) utilizzato sia per indicare i suoi abitanti, sia -come aggettivo- per indicare qualunque elemento sia originario della zona. Recentemente la favorevole posizione centrale, e la vicinanza alla sede dell'Università di Torino ha portato ad una graduale trasformazione in quartiere residenziale.
È indicativo il fatto che sia l'unico quartiere di Torino che preveda un termine (Vanchigliese) utilizzato sia per indicare i suoi abitanti, sia -come aggettivo- per indicare qualunque elemento sia originario della zona. Recentemente la favorevole posizione centrale, e la vicinanza alla sede dell'Università di Torino ha portato ad una graduale trasformazione in quartiere residenziale.
Negli ultimi anni, Borgo Vanchiglia si è affermato come uno dei poli propulsivi della creatività torinese. Alle botteghe artigiane ancora presenti si sono affiancate realtà artistico-culturali di diverso ambito: architettura, design, scultura, pittura, teatro, musica, cinema, video, fotografia, letteratura, grafica, illustrazione, comunicazione, suono, multimedia.
In Via Artisti operano dal 2007 due società di produzione cinetelevisive, la Baby Doc Film e la iK Produzioni , che stanno dando vita al movimento cinematografico de I Vanchigliesi. Nel 2004 nasce in Vanchiglia "Design Gang", studio di progettazione che si occupa di prodotto, comunicazione, allestimento d'interni, didattica e ricerca, composto da persone provenienti da ogni angolo d'Italia. Dal 2006 la "Fondazione Artevision " ha spostato la sua sede in Vanchiglia, come scuola di fotografia e sede organizzativa di eventi artistici quali l'"Internazionale D'Arte LGBTE" e il "Turin Photo Festival" dal 2011. Nel 2009 ha preso forma LOV / Vanchiglia Open Lab, network in progress, spontaneo e indipendente, che raccoglie studi, laboratori, attività, di Borgo Vanchiglia, che operano nei settori dell’arte, della cultura e della creatività.
Nel panorama artistico-culturale si inserisce a pieno titolo il Teatro della Caduta, inaugurato nel 2003 in via Bava, 24 che, con i suoi 45 posti è il più piccolo teatro in attività a Torino e fra i più piccoli in Europa.
Anche l’intervento di ristrutturazione urbana dell’area pedonale di Via Balbo, tra Via Guastalla e Via Buniva, è andato nella direzione di ripensare lo spazio pubblico per renderlo davvero tale con la valenza artistica di ampi e coloratissimi murales naif del progetto Murarte: lo spazio residuale di passaggio è stato riqualificato come centro di una rete che unisca i diversi soggetti sociali che operano nelle vicinanze: il sopracitato Teatro Della Caduta, il centro sociale Askatasuna, l’associazione Giardino per tutti, l’asilo nido ‘Il giardino delle fiabe’ e la scuola elementare Fontana, la chiesa di Santa Giulia e l’oratorio.
Il nostro percorso a Vanchiglia inizia in Largo Montebello, a ridosso di corso Regina Margherita, aperto verso la metà dell'Ottocento all'incrocio tra via Santa Giulia, che lo taglia da est ad ovest, e di via Montebello (anticamente detta del Canon d'oro, al pari del largo) da nord a sud.
Il nome deriva dal comune in provincia di Pavia in cui il 20 maggio 1859, nel corso della seconda guerra d'Indipendenza, i sardo-francesi ebbero la meglio sulle truppe austriache; Largo Montebello è particolarmente fascinoso sia per l’allure parigino che qui sembra respirare, sia per la sua forma perfettamente tonda, sia per i palazzi che vi si affacciano. Notevole, ad esempio, quello in mattoni paramano al numero 31, dove una lapide ricorda i caduti partigiani di Vanchiglia. Sulla facciata del civico 38 è invece apposta una targa che ricorda come in quella casa abbia abitato Eugenia Barruero, la celebre maestrina dalla penna rossa raccontata da Edmondo De Amicis in Cuore. Nel centro, un giardino con uno scivolo, un altro gioco per l'infanzia e tante panchine per chi qui vuole sostare, rinfrancarsi in luogo che sa di altro.
Il nome deriva dal comune in provincia di Pavia in cui il 20 maggio 1859, nel corso della seconda guerra d'Indipendenza, i sardo-francesi ebbero la meglio sulle truppe austriache; Largo Montebello è particolarmente fascinoso sia per l’allure parigino che qui sembra respirare, sia per la sua forma perfettamente tonda, sia per i palazzi che vi si affacciano. Notevole, ad esempio, quello in mattoni paramano al numero 31, dove una lapide ricorda i caduti partigiani di Vanchiglia. Sulla facciata del civico 38 è invece apposta una targa che ricorda come in quella casa abbia abitato Eugenia Barruero, la celebre maestrina dalla penna rossa raccontata da Edmondo De Amicis in Cuore. Nel centro, un giardino con uno scivolo, un altro gioco per l'infanzia e tante panchine per chi qui vuole sostare, rinfrancarsi in luogo che sa di altro.
La piazza principale di Vanchiglia è piazza Santa Giulia, sede di un noto mercato e della chiesa parrocchiale (dalla quale prende il nome): la Chiesa di Santa Giulia, che fu fatta costruire dalla filantropa Giulia di Barolo alla metà del XIX secolo su progetto del 1862 dell'architetto Giovanni Battista Ferrante, in stile neogotico.
Già dal 1844, su idea di Alessandro Antonelli , si predispose la ridisegnazione dell'assetto urbano di Vanchiglia, ma per vedere il progetto di una chiesa bisognerà attendere il 1862: in precedenza, Antonelli aveva semplicemente suggerito al comune la necessità di costruire una chiesa nuova per Vanchiglia, che aveva come parrocchiale di riferimento la chiesa della Santissima Annunziata in Via Po; dal 1862 la marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo finanziò la costruzione della chiesa, intitolandola alla santa che portava il suo nome. La marchesa di Barolo non vide l'opera completata: morì due anni prima la fine dei lavori (1866).
La chiesa fu uno dei primi edifici torinesi ad essere realizzata in stile neogotico, seguita poi da numerosi altri edifici di culto e civili fino a fine secolo. La facciata è tripartita, con tre rosoni, dei quali il più grande è quello che caratterizza la navata centrale. Nella lunetta che sovrasta il portale, un bassorilievo di Giuseppe Albertoni raffigura la Fede. I coniugi Falletti di Barolo sono altresì raffigurati dall'Albertoni in due statue, poste presso i due ingressi della chiesa; la marchesa Giulia , nondimeno, venne qui sepolta nel 1899.
La Fetta di Polenta, situata in corso San Maurizio all'angolo con via Giulia di Barolo, è uno dei palazzi più bizzarri dell'architettura torinese. È alta 27 metri , lunga 27 metri su via Giulia Di Barolo, larga 5 metri su corso San Maurizio ed appena 0,70 metri sul terzo lato. Opera degna dell’originalità dell’ingegnere Alessandro Antonelli (1798-1888), l’edificio fu realizzato nel 1840 su un esiguo appezzamento triangolare, quasi una scommessa per lo scarso spazio a disposizione. Fallite le trattative per ampliare l’area con l’acquisto della proprietà adiacente, Antonelli aveva voluto infatti dimostrare di essere comunque in grado di costruire una casa, recuperando in altezza ciò di cui non disponeva in larghezza. Il fabbricato, poi sopraelevato nel 1881, risulta pertanto slanciato in verticale su una base ristretta, caratterizzato all’interno da ambienti adattati a tali peculiarità, persino con l’inserimento nella parte più stretta di stanze triangolari che richiesero la realizzazione di appositi arredi. A tale andamento sono d’altra parte perfettamente conformati i prospetti sulle vie, scanditi da finestre in aggetto di inconsueta forma allungata e da leggere lesene, mentre il cornicione dell’ultimo livello è inglobato nel balcone, non essendo possibile appesantire l’esile struttura con ulteriori elementi.
Dipinta in esterno di giallo, la costruzione, vero e proprio spaccato volumetrico a base triangolare, fu così denominata “fetta di polenta”; l’edificio innalzato in seguito sul terreno contiguo in parte ha mitigato la singolarità del palazzo. Fra le più interessanti opere prodotte dall’urbanizzazione di zona Vanchiglia, la “fetta di polenta” resta una magistrale prova della tecnica che il progettista avrebbe portato alle sue estreme conseguenze nella celebre Mole a cui sarebbe rimasto legato il suo nome. In questo edificio ebbe sede il Caffè del Progresso, rifugio di carbonari e cospiratori nel periodo preparatorio dell'unità d'Italia.
Due dei più celebri vanchigliesi sono certamente Fred Buscaglione, la cui abitazione era nella popolare Via Bava al numero 26 bis, e Italo Calvino, che ha vissuto invece in Via Santa Giulia, 80 in una palazzina che sembra un residence per vacanze, sospeso tra città e non, che si affaccia direttamente sul Po, oltre il quale si distende il Parco Michelotti; il legame tra il quartiere e i suoi artisti, è stato quanto mai vivo in Calvino che ha immortalato i suoi anni torinesi, il fiume e la collina ne I giovani del Po, La nuvola di smog e in altri suoi racconti.
Forte connotazione architettonico-artistica è quella dell’edificio di Via Bava, 40 progettato da Ezio Luzi, che presenta un bizzarro cortile con colonne a mattoni incrociati, quasi fossero strutture in mattoncini Lego, e pareti laterali con pannelli colorati, illustrazione curiose, piastrelle lucide e molto verde.
All’incrocio tra Via Vanchiglia e Corso Regina Margherita, al n° 33 del corso, sono tuttora in funzione i bagni e lavatoi municipali: un impianto edificato nel 1908 su progetto di Camillo Dolza (1868-1946), ingegnere presso l’Ufficio Lavori pubblici del Comune, all’insegna di stilemi desunti dall’art nouveau intrisi di reminiscenze che sembrano richiamare l’opera dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì (1852-1926).
Colorata e imponente presenza del quartiere è il C.S.O.A. Askatasuna dal 1996, emblema del filo storico del quartiere dalla connotazione popolare alla vicinanza all'università. Il centro è sempre stato punto di riferimento di numerosi collettivi, sede del comitato di quartiere e della Ludoteca Popolare che da anni animano il borgo. Da sempre è uno dei motori della musica underground e indipendente della città.
La dimensione popolare e l’alto tasso studentesco del quartiere sono chiari anche nella presenza delle tante osterie, più o meno storiche, che rappresentano, un po’ come per gli altri quartieri popolari di Torino come San Paolo e Cenisia già visitati e bloggati, un‘ottima soluzione gastronomica durante il percorso.
Tra le tante si segnalano l’Osteria Ala (in Via Santa Giulia, 24 – chiusa la domenica) che dal 1950 mantenendo intatta la sua tradizione di sapori casalinghi e genuini, offre un mix di piatti che partono dalla tradizione culinaria toscana per arrivare alla più classica "cucina della nonna" e concludersi nei piatti della migliore tradizione nazionale con una scelta variegata di piatti di terra e mare che cambiano in base ai giorni della settimana e alla stagioni rimanendo in una fascia di prezzo sotto i 20 euro, l’Osteria La Gaia Scienza (in Via Guastalla, 22 – chiusa il lunedì) un classica piola di borgata che presenta in unn ambiente d’antan tutto legno e ferro battuto i sapori più tipici della cucina piemontese e nazionale, a partire dal carrello con i tradizionali antipasti piemontesi a buffet, l’Osteria In Vino Veritas (in Via Giulia di Barolo, 50/A – aperta solo alla sera ) ; una rustica e genuina trattoria con sapori che ben cociliano calabria, puglia e piemonte. Se si mangia dentro si è completamente circondati dai vini (come rivela il nome del locale) e l'atmosfera non è male; se si sta nel dehors, non sembra quasi di essere a Torino, nello spazio pedonale di Via Giulia di Barolo a breve distanza da Piazza Santa Giulia e la movida di Vanchiglia.Tanti vini e contenute ma interessanti proposte culinarie che spazio tra il Nord e il Sud italia, come rivelano già subito i taglieri di salumi e/o formaggi. Ricco e abbondamente l’Antipasto misto dell'osteria (tanti e diversi formaggi - di varia stagionatura e provenienze geografiche - serviti con confettura e miele, salumi, olive piccantine, frisella con pomodoro e crostone con paté di capperi) a 12 euro, Orecchiette (rigorosamente fatte in casa fresche ogni giorno) pasticciate con pomodoro, basilico, provola e ricotta dura a scaglie (8 euro), Polpette di carne al sugo della Nonna (7 euro) e Patate al forno (4 euro); il pane è buono, grissini confezionati e molto carina l'idea del caffè con la moka portata in tavola. Infine l’ultima aperta Osteria Vanchiglia (in Via Vanchiglia, 16 – chiusa la domenica a pranzo): un posticino semplice, famigliare, veloce, giovane e poco costoso che si spera non possa che crescere e migliorare.
Per una scelta gastronomica altrettanto low-cost ma più consapevole ed ecosostenibile La Locanda Leggera (in Via Napione, 32 - chiusa la domenica), dove gli ingredienti venduti sfusi al Negozio Leggero accanto sono trasformati in colazioni, pranzi e brunch (il sabato) che restano gustosi ma leggeri (in tutti i sensi): l’acqua è gratuita, il wi-fi è free e l’atmosfera calda e raccolta. I prezzi sono piacelvomente economici, pur essendo i prodotti a km0 e di qualità elevata con un occhio di riguardo anche agli avventori vegani e vegetariani.
Per i cali di zucchero e gli amanti della Trinacria dolce, la tappa è d’obbligo alla Pasticceria Primavera (Via Sant’Ottavio, 51) verace e storica pasticceria siciliana che offre tutti i prodotti tipici dell’isola e un ottima granita siciliana servita con le tipiche e sempre freschissime brioscie col tuppo.
Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 345 a pag. 354
il nome dell'architetto è Elio (Luzi) non Ezio, e l'edificio in via Eusebio Bava è al civico 44 non al 40. In ogni caso il tuo è un bellissimo blog sui quartieri della città che ho letto ed apprezzato tutto. Graze.
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