mercoledì 10 luglio 2013

Cit Turin: il gusto del Liberty


Cit Turin (in piemontese Piccola Torino) è uno dei quartieri storici di Torino, i cui confini sono Corso Inghilterra, Corso Francia, Corso Vittorio Emanuele II, Corso Ferrucci e fa parte, insieme a S.Paolo e Cenisia, della Circoscrizione 3; è l'unico quartiere di Torino che abbia il nome esclusivamente in lingua piemontese, perché in piemontese il nome Turin è maschile.



Il quartiere si è sviluppato alla fine del XVIII secolo ma gli insediamenti nella zona hanno origini ben più antiche, tanto che nei confini del quartiere sono stati ritrovati reperti di una necropoli d'età preromana.L'etimologia del nome è controversa. La spiegazione più convincente è quella che associa il nome al fatto che l'attuale quartiere fosse il primissimo borgo fuori dalle mura della città in epoca medioevale, lungo la via Francigena. Essendo un'unità amministrativa indipendente ma praticamente attigua alla città, avrebbe assunto il nome di "piccola Torino".
Altre teorie si rifanno al progetto urbanistico del '700 che prevedeva questo borgo come del tutto autosufficiente rispetto alla città. Un'altra spiegazione collega il toponimo alle dimensioni del quartiere (che resta il più piccolo della città) ma la spiegazione non è storicamente accettabile, in quanto nel passato il quartiere centro era diviso in contrade di dimensioni notevolmente più piccole dei confini di Cit Turin.


Cit Turin è da sempre considerato un quartiere residenziale di prestigio: la presenza di lussuosi palazzi d'epoca, di uno dei più rinomati mercati della città, di vie commerciali di pregio ed infine, più recentemente, la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia e della neonata linea metropolitana, hanno reso questo quartiere uno dei più ricercati e costosi.
La piazza principale, cuore sociale e commerciale del quartiere,  è denominata Giardini Martini ma, in pratica, è universalmente nota come Piazza Benefica. La "Benefica" era un istituto di carità che si occupava di orfani che aveva sede (fino agli anni '50 del secolo scorso) proprio su questa piazza: qui al mattino dal lunedì al sabato si tiene uno dei mercati più chic e trendy della città.
Nel quartiere sono presenti numerosi edifici in stile Liberty, Déco e Neogotico in prevalenza ad opera del noto impresario Cav. Carrera. Il Liberty a Torino è riconducibile alla stagione artistica della Belle Époque compresa tra la fine dell'Ottocento e le prime due decadi del Novecento che ha interessato il capoluogo piemontese, coinvolgendo varie discipline artistiche tra cui le arti applicate e, prevalentemente, l'architettura: quest'ultima ha risentito, nelle sue maggiori opere, dell'influenza della scuola parigina, di quella belga e di incursioni eclettiche e neogotiche. Il crescente successo di questa corrente stilistica ha valso al capoluogo piemontese il titolo di capitale italiana del Liberty, tanto da far percepire ancora oggi cospicue testimonianze architettoniche di quest'epoca.



Il Liberty trovò nell'architettura il suo maggior successo, lasciando ai posteri una delle testimonianze più durature. Il suo grande aspetto innovativo non fu tanto nella contrapposizione al Neogotico e all'eclettismo ottocentesco, quanto in una maggiore considerazione delle arti applicate come suo punto di forza, poiché confidò, grazie anche al crescente sviluppo industriale, in una produzione su vasta scala di un'arte che nella sua emblematica bellezza fosse accessibile alla maggior parte del tessuto sociale dell'epoca. Tuttavia, quest'iniziale vocazione populistica del Liberty andò sempre più scemando, evolvendosi in un crescente trionfo di motivi floreali, nervature filiformi e ardite decorazioni metalliche di chiara ispirazione vegetale, divenendo presto privilegio delle più alte classi sociali. In questo Torino, come le principali città europee, seppe accogliere le lusinghe di questo nuovo stile e farne vero e proprio status della nuova borghesia industriale locale e straniera, che nel capoluogo piemontese insediò numerosi stabilimenti.



Torino nel ventennio a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, si lasciò piacevolmente travolgere da questa nuova corrente stilistica. Già a partire dagli anni settanta dell'Ottocento Torino, recentemente depredata del lustro di capitale, si impegnò a ritrovare presto un ruolo che la vide porsi al centro di un rinnovamento, che favorì anche una crescente sensibilità a recepire gli stimoli provenienti dalle maggiori capitali europee, divenendo fulcro di cultura internazionale e di avanguardia artistica. Un decisivo contributo venne anche dall'industria che, coinvolta in primo piano nel processo di rinnovamento del capoluogo piemontese, fu in grado di offrire un solido supporto a beneficio di quelle maestranze necessarie per la piena affermazione di questa nuova corrente stilistica in Italia e che valsero a Torino il titolo di capitale italiana del Liberty. A seguito delle edizioni dell'Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna, Torino vide il crescente proliferare di questo nuovo stile in ambito prevalentemente architettonico, con contributi dei maggiori autori dell'epoca come Raimondo D'Aronco e il torinese Pietro Fenoglio.


Il maggiore protagonista del Liberty torinese fu indubbiamente Pietro Fenoglio, che si dedicò per circa tredici anni alla realizzazione di oltre duecento progetti tra ville, palazzi ed edifici industriali, molti dei quali concentrati nell'area di corso Francia e vie adiacenti. L'opera di Fenoglio è caratterizzata dai colori pastello, dalle decorazioni che alternano soggetti floreali a elementi geometrici circolari e dal largo uso di cornici in litocemento, accostato all'eleganza decorativa, talvolta ardita, del ferro e del vetro, facendone materiali privilegiati.
Tra le sue opere più note si possono citare: il Villino Raby (1901), la celebre Villa Scott (1902) e, soprattutto, la sua opera più nota e apprezzata: Casa Fenoglio-Lafleur (1902), considerata il più significativo esempio di Liberty in Italia.



Il Villino Raby (o Palazzina Raby) fu progettato da Pietro Fenoglio, in collaborazione con Gottardo Gussoni. Nel 1901 l'edificio fu commissionato come abitazione privata da Michele Raby; fortemente rimaneggiato nel corso degli anni, il villino è stato sede di una scuola privata negli anni ottanta e dal 2004 è stato acquistato dall'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Torino (OMCeO), che si è occupato di una attenta ristrutturazione e che l'ha eletto a propria sede ufficiale. Il Villino Raby rappresenta un valido esempio di commistione di due correnti di questo stile, prendendo esempio dalla scuola belga e da quella francese. Il progetto originale di Pietro Fenoglio fu più volte modificato in corso d'opera con l'ausilio del collega Gussoni, interessando prevalentemente le parti in ferro battuto, le balaustre e l'ampio bow-window che giustifica la notevole variazione d'altezza rispetto al resto della struttura. L'influenza di Gussoni si avverte, inoltre, nella ridondante presenza di numerosi elementi decorativi in litocemento che riconducono alle sue tipiche caratteristiche progettuali neobarocche, facendone un esempio paragonabile alla più celebre Villa Scott ma assai differente dalla vicina Casa Fenoglio-Lafleur.
L'edificio si basa su una planimetria asimmetrica sviluppandosi in modo assai articolato e ricco di differenti corpi di fabbrica. Accanto al grande bovindo presente nel prospetto principale si possono notare l'ingresso e la veranda con terrazzo, che è collegato al giardino sottostante dalla breve rampa.


Casa Fenoglio-Lafleur è il vero emblema della stagione del Liberty torinese. Progettata nel 1902 dall’ingegner Pietro Fenoglio come sua abitazione privata, rappresenta una delle più manifeste testimonianze della stagione del Liberty italiano, in grado di competere con le maggiori espressioni di rilevanza internazionale. In realtà Fenoglio e la sua famiglia non abitarono a lungo l’edificio che venne presto venduto all’imprenditore francese Lafleur. Egli lo abitò fino alla sua morte e gli eredi cedettero la proprietà alla nota organizzazione filantropica torinese La Benefica, che ospitò per alcuni anni i suoi "giovani derelitti". Risparmiata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, l'intera struttura vide un periodo di decadenza, fino a quando fu oggetto di frazionamento per essere nuovamente venduta a privati che si sono occupati di un attento restauro conservativo. Attualmente è sede di alcuni studi professionali e residenze private.
L'edificio si sviluppa su tre piani fuori terra, più il piano mansardato: Fenoglio progettò l’edificio come propria abitazione concependola, secondo il gusto francese dell’epoca, come "casa-studio" e ciò favorì la massima libertà di espressione del proprio talento creativo, celando un probabile intento di realizzare anzitutto un vero e proprio modello estetico, nel pieno della gloriosa stagione del Liberty torinese. Sebbene la struttura sia connotata da un’impostazione piuttosto tradizionale tipica di un’abitazione alto borghese, l'edificio è un ottimo ed equilibrato esempio di uso combinato di materiali. L’apparato decorativo è decisamente ricco ed estremamente coerente con i più ricorrenti stilemi Liberty fitomorfi, che si ritrovano diffusamente in tutto l’edificio ma abbondantemente nel decoro del rosone superiore e nel caratteristico modulo angolare. Quest’ultimo costituisce l’elemento di connessione delle due ali dell’intero edificio ed è impreziosito da un pronunciato bovindo con vetratura policroma che esibisce un sinuoso intreccio in ferro battuto. L’andamento ondivago è piacevolmente riproposto nell’elegante linea dell’edicola in vetro che sovrasta il terrazzino, che pare citare esplicitamente le sinuosità parigine di Hector Guimard.


Degne di nota, in via Piffetti due esempi databili 1908, opera di Giovanni Gribodo; mentre di Giovan Battista Benazzo sono Casa Tasca (1903), che ostenta decori floreali, motivi geometrici circolari e ricche decorazioni in ferro battuto per ringhiere e finestre. All'angolo di via Vassalli Eandi con via Principi d'Acaja, vicino alla Casa Ina di Fenoglio, si può notare un degno esempio dell'architetto Annibale Rigotti: Casa Baravalle (1902). Riconoscibile per le pareti azzurre, è caratterizzata da decorazioni geometriche e da forme estremamente sobrie, quasi a voler anticipare il rigore che prevarrà nel successivo stile Déco.
Di Gottardo Gussoni sono invece i due palazzi di via Duchessa Jolanda, chiari esempi di tardo Liberty databili 1914, nonché gli edifici nella retrostante via Susa, che ripropongono la medesima impostazione: il cortile centrale e il basso fabbricato al fondo, sormontato da una torretta merlata. Il Liberty di Gussoni fu però sempre più caratterizzato da un eclettismo che poi sfocerà in un Neogotico vero e proprio, tanto da diventare uno degli architetti preferiti dal Cav. Carrera.
 

Parallelamente al naturalismo esasperato del Liberty si sviluppò la corrente del Neogotico che fu stile prediletto per la realizzazione di edifici religiosi, avvalendosi del forte richiamo allegorico di ispirazione medievale. Tuttavia il suo eclettismo influenzò anche l'architettura civile e anche a Torino vi sono esempi di tale contaminazione, come la Casa della Vittoria (1918-20) di Gottardo Gussoni: uno degli edifici più imponenti e rinomati del Neogotico che sorge al civico 23 di Corso Francia, sposando reminescenze medievali con le sue linee architettoniche sinuose e i dragoni rampanti che ornano il portone d’ingresso.



Sempre nel medesimo quartiere è degno di nota anche l'operato dell'architetto Giuseppe Gallo, a cui si deve il progetto della Chiesa dedicata a Gesù Nazareno affacciata su piazza Martini. Ulteriori esempi di edifici in stile Neogotico sono evidenziabili in prossimità del vicino quartiere San Donato con il gruppo di case di via Piffetti, famose per i ferri battuti, le caratteristiche sfingi e le decorazioni a coda di pavone.



 
Oltre a Corso Francia, l’altra via del Liberty torinese in Cit Turin è Via Cibrario: si lascia il coté più residenziale degli edifici tra corso Francia e Via Cibrario e si approda ad un’arteria decisamente più animata e commerciale attraversata quasi per intero dallo storico tram 13.
Al civico 9 Casa Padrini, progettata nel 1900, condivide alcune soluzioni comuni ad altre abitazioni della prima produzione di Pietro Fenoglio, quali la scala interna a pianta irregolare e i motivi floreali dipinti sulla facciata. L’edificio di civile abitazione a cinque piani, situato nell’isolato fra le vie Cibrario, Piffetti  e l’antica ferrovia di Rivoli, fu commissionato dai fratelli Padrini a Pietro Fenoglio (1865-1927). Il massiccio volume del fabbricato viene ingentilito dal disegno della facciata scandita da cinque file di aperture e dall’inserimento di paraste. Risalente alla prima produzione liberty di Fenoglio, l’edificio è inoltre impreziosito da delicate pitture a motivi floreali sopra all’imponente bifora del balcone d’angolo e tra i balconi aggraziati dell’ultimo piano, dove esplodono nel fregio dipinto i contrasti cromatici tra sfondo, corolle, racemi, un motivo in seguito ripreso dallo stesso Fenoglio e ingentilito da colori più tenui nella palazzina Rossi Galateri (1903).



 
Al n° 22 Casa Bellia costruita nel 1908-1909 da Eugenio Mollino, l’abitazione asseconda il ritorno alla tradizione neoclassica nella facciata principale, mentre nelle flessuose decorazioni in ferro dei balconi, sul lato secondario, persistono motivi naturalistici liberty.  Il palazzo, inserito in un grande lotto rettangolare, fu ricavato da un edificio preesistente, oggetto di diversi ampliamenti sin dalla fine del XIX secolo. La casa venne fatta costruire nel 1908 da Alberto Bellia su progetto dell’ingegnere Eugenio Mollino (1873-1953), cui si deve anche l’edificio al numero civico 26, all’angolo con via Schina (1901).
Nel 1909 fu aggiunto l’imponente bow-window angolare a pianta poligonale con terrazza distribuito su tre livelli; esso è caratterizzato da sette grandi finestre ornate da elementi decorativi floreali e fregi geometrici che continuano le decorazioni delle facciate. L’affaccio su via Cibrario segna un ritorno alla tradizione neoclassica ed è più austero rispetto al lato su via Saccarelli, dove sopravvivono reminiscenze liberty, già sperimentate con modi analoghi nell’edificio di via Cibrario 26, nelle ringhiere in ferro battuto decorate da flessuosi racemi e, soprattutto, nelle sagome sinuose e aeree dei balconcini al terzo piano.



 
Al 33 bis troviamo Casa Noro Borione, progettata nel 1906, che appartiene alla tarda attività di Angelo Santoné, con le novità liberty per aggiornare con elementi decorativi naturalistici e sobri finestre e balconi. La casa a quattro piani fu progettata, su commissione del geometra Giovanni Noro e di Agostino Borione, come rivela il nome, dall’ingegnere Angelo Santoné (1853-1908), ormai al termine della lunga e fortunata carriera che lo vide artefice di molte abitazioni nelle zone Centro, Crocetta e San Salvario.
Le ampie finestre e i balconi, incorniciati da decorazioni litocementizie, scandiscono con misurata regolarità la facciata, resa più leggera dai flessuosi ornati in ferro battuto che prendono il sopravvento nei balconi via via che si sale di piano. Il paramento murario, trattato con laterizio a vista, si oppone cromaticamente alle plastiche decorazioni delle finestre, caratterizzate da tralci carnosi. La volontà del progettista di aggiornarsi sugli stilemi della breve stagione liberty emerge dalla scelta di motivi geometrici e fitomorfi per le eleganti ringhiere dei balconi, probabilmente ispirate ai ferri battuti delle case Rey e Macciotta, progettate nel 1904 da Pietro Fenoglio (1865-1927), il quale lavorerà per i costruttori Noro e Borione, nella casa in via Peyron 14 (1908).



Ai n° 61 e 63, gli edifici progettati nel 1909 e 1910 da Pietro Fenoglio, note come Case Rama presentano elementi decorativi vicini più al gusto Sezession che agli ornati floreali del liberty francese; l’edificio al numero 65, progettato dall’ingegner Giuseppe Maria Giulietti nel 1912, appartiene ormai al tardo liberty. Le case ai numeri civici 61 e 63 vennero commissionate all’ingegnere Pietro Fenoglio (1865-1927) da Eugenio Rama, rispettivamente negli anni 1909 e 1910; l’abitazione al numero 65 venne progettata dall’ingegnere Giuseppe Maria Giulietti nel 1912.
Gli edifici, costruiti come differenti case di civile abitazione, si presentano come un unico grande volume caratterizzato dalla stessa intenzione progettuale. Nella casa al numero 61 l’interessante bow-window all’angolo con via Morghen si sviluppa a partire dal primo piano e culmina con un terrazzino; il disegno della facciata, superato lo zoccolo commerciale, è scansito dalle aperture delle finestre, definite da cornici decorate con motivi e disegni floreali, mentre il paramento murario è percorso da forme fitomorfe dipinte e plastiche ed è caratterizzato dalla policromia data dall’alternanza dei mattoni a vista e del litocemento. Le tensioni verticali delle paraste sono ribadite dalla saldature delle modanature delle finestre, dove compaiono elementi plastici decorativi di gusto Sezession, accentuate dai rilievi in cemento a pendaglio sotto il tetto. I balconi sfalsati assecondano lo schema di alleggerimento verso l’alto, grazie alle ringhiere in ferro battuto; il medesimo materiale ricorre negli inserti del portone in legno scolpito, nel lampadario dell’androne, nelle ringhiere. La casa al numero 65 fu progettata nel 1912 dall’ingegner Giuseppe Maria Giulietti, documentato tra il 1910 e il 1915. In seguito all’esposizione torinese del 1911 che decretò il declino del liberty, il gusto estetico si orientò nuovamente verso il gusto eclettico, in corrispondenza del momento di crisi personale di Fenoglio ormai in procinto di abbandonare la sua attività progettuale ben avviata. Nell’edificio al numero 65 morì lo scrittore torinese Guido Gozzano (1883-1916), come recita la lapide a sinistra del portone d’ingresso.


 
Altri importanti edifici di epoca più recente presenti nel quartiere sono il Palazzo di Giustizia, intitolato al magistrato Bruno Caccia, barbaramente ucciso dalla mafia nel 1983, ha una superficie di quasi 60 mila metri quadri. L’edificio richiama le componenti del tessuto urbano della città storica, delineando uno sviluppo orizzontale contenuto nell’altezza, ritmato da elementi compositivi che creano un insieme armonico con il costruito circostante 



e il grattacielo Intesa Sanpaolo, che sarà la sede dell'omonimo gruppo bancario e, una volta ultimato, sarà l'edificio più alto di Torino dopo la Mole Antonelliana. La sua area è di circa 160 x 45 m compresa tra corso Inghilterra, corso Vittorio Emanuele II, via Cavalli e il parco pubblico Nicola Grosa. Dovrebbe fare coppia con il previsto grattacielo FS del complesso della nuova stazione di Porta Susa, dall'altro lato di corso Inghilterra.
Il progetto dell’archistar Renzo Piano è stato presentato al Comune di Torino nel mese di novembre 2007 ma in seguito a divergenze interne alla giunta e riguardanti l'altezza dell'edificio in relazione alla sua vicinanza al centro storico della città, è stato modificato portando l'altezza definitiva da circa 200 a 167,25 m: 25 centimetri in meno rispetto alla costruzione più alta della città e simbolo della medesima, la Mole Antonelliana.


Anche a Cit Turin la sosta gastronomica non può che essere trendy-chic: la scelta è tra Papille (in Via Principi d'Acaja, 37) in zona mercato di Piazza Benefica: un chic self-service boutique dove
la location la fa da padrona: tanti spazi tutti arredati in modo molto elegante, a metà tra il vintage e il trendy chic. A pranzo poi dà sicuramente il meglio di sé con un bancone a vetrina da cui è possibile scegliere tra vari piatti freddi e caldi tutti molto sfiziosi a metà tra tradizione e etnicità; 2/3/4 scelte a 7/8/9 Euro; noi abbiamo assaggiato un ottima insalata di quinoa, tabulè con cuscus di riso, prosciutto cotto senapato, tomini freschi al verde e con salsa ai peperoni, zucchine alla menta e cavolo verza all'indiana, dolci buoni (cheesecake con frutta fresca e torta con mandorle e cocco e salsina allo yogurt e sesamo) a 3,50 euro, pane e acqua gratuiti e a volontà. Possibilità di acquistare prodotti (food e non food) disseminati qua e là nel locale. Nella stagione estiva aperto dalle 07:30 alle 21:00 con possibilità di consumare colazione, pranzo, apertivo o anche solo una fetta di torta con bevanda;



dal coté pizza si può provare la diafana ed essenziale Bakery Pizzeria & Restaurant (in Via Avigliana, 47/A): un locale che non ti aspetti in una tranquilla via del quartiere, uno spazio davvero piccolo che ospita qualche tavolo, quadri di artisti contemporanei alle pareti (a rotazione), gestione attenta e accogliente e soprattutto una pizza davvero buona: l'impasto è quello della tipica pizza napoletana, morbida con il cornicione alto ma accostamenti non scontati: la mia preferita è la Guancho con salamino piccante, gorgonzola e cipolla di Tropea marinata; digeribile e davvero gustosa.


Per una pausa a base di golosità siciliane da Sicily in via Cibrario, 17/E oppure un cafè au lait e qualche gourmandise dal sapore tutto parigino al Cafè Le Sourire di Corso Francia, 35/D.

Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 197 a pag. 208

http://it.wikipedia.org/wiki/Cit_Turin
http://it.wikipedia.org/wiki/Liberty_a_Torino

 

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