La Falchera (Farchera in piemontese) è un quartiere della VI circoscrizione di Torino, situato nell'estrema periferia nord della città e delimitato a nord e nord-est dalla Tangenziale Nord, a est e sud-est dalla ferrovia Torino-Milano (Stazione Torino Stura), a ovest dal raccordo autostradale Torino-Caselle e a sud dalla ferrovia Torino-Milano e dal torrente Stura di Lanzo. Sorta in un territorio a vocazione originariamente agricola e pastorizia (come testimoniano le molte cascine presenti in loco), la Falchera confina con i comuni di Mappano (lato nord) e Settimo Torinese (lato est) e con i quartieri di Villaretto (lato ovest) e Pietra Alta (lato sud). Per quanto riguarda la sua urbanizzazione, la zona risulta suddivisa in tre borgate (Borgo Vecchio, Falchera Vecchia e Falchera Nuova), che da Strada Provinciale di Cuorgnè si sviluppano in direzione est. Il versante ovest, dal canto suo, ha conosciuto una minore espansione urbanistica e architettonica (per lo più lungo Strada della Barberina) e presenta ampi tratti di territorio a tutt'oggi non urbanizzati.
Prima del secondo dopoguerra, il centro abitato del quartiere si sviluppava principalmente lungo Strada Provinciale di Cuorgnè, nella zona oggi nota come Borgo Vecchio, che contava un piccolo numero di case rurali, alcuni esercizi commerciali (botteghe artigianali, negozi di generi alimentari, un'osteria), una scuola elementare (la vecchia scuola di Ponte Stura, costruita nel 1898) e alcuni vecchi cascinali, fra i quali le cascine Gli Stessi (ormai demolita per far posto alla Falchera Nuova), le Ranotte (fra viale Falchera e via Tanaro), la Taschera (lungo Strada Cuorgnè) e la Falchera (anch'essa lungo la provinciale di Cuorgnè). Proprio a quest'ultimo edificio, risalente ai primi del Settecento e di proprietà della famiglia Falchero, deve il nome l'intero quartiere. Grazie all'ubicazione lungo la strada provinciale, il Borgo Vecchio era un punto sia di transito sia di sosta per quei commercianti che, con i loro carretti, portavano le merci dal basso Canavese ai mercati della città. Lungo la provinciale, inoltre, passava l'antica Canavesana (detta anche Tramway Torino-Leinì-Volpiano a vapore) che, dal 1883 al 1929, collegava la cintura nord di Torino al resto della città.
Al di là del Borgo Vecchio, vi erano poi altri edifici siti sia ad est sia ad ovest della strada provinciale, in particolar modo nel quadrilatero formato dalla ferrovia Torino-Milano, via Cuorgnè, strada Barberina e strada dell'Antioca e, a est, nell'area circostante le cascine Ranotte e Gli Stessi. In particolare quest’ultima, anche nota come Gli Istesi o cascina della Mensa Arcivescovile di Torino, di origine settecentesca e ancora attiva alla fine degli anni sessanta, venne abbattuta nei primi anni settanta per far posto al nuovo quartiere. A pochi passi dalla cascina, invece, si stendeva un boschetto molto fitto e al suo interno un piccolo specchio d'acqua, chiamato da tutti "laghetto", dal quale spesso si attingeva l'acqua per dissetarsi; nei medesimi anni, tuttavia, al posto del laghetto venne costruito il Centro Commerciale di Falchera Nuova, ancora oggi presente lungo via degli Abeti.
All'indomani della seconda guerra mondiale, di fronte alle necessità di "incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori", il Comitato di Attuazione dell'INA-Casa acquistò l'area a nord della ferrovia, ampiamente non urbanizzata, e sotto la direzione dell'architetto e urbanista Giovanni Astengo realizzò un quartiere ex novo, a tutti noto come la Falchera (oggi Falchera Vecchia). Costruito su terreni agricoli ai bordi dei confini comunali oltre la Stura, il nuovo quartiere fu progettato per essere un’unità satellite di 1.446 alloggi, del tutto autosufficiente (condizione rafforzata dalla posizione periferica rispetto alla città): la concretizzazione delle teorie sull’unità di vicinato, in quel periodo al centro dell’ampio dibattito che occupava gran parte della pubblicistica architettonica e urbanistica italiana. Il piano dell’insediamento fu redatto dagli architetti Giovanni Astengo (capogruppo), Sandro Molli Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco e Aldo Rizzotti, già autori della proposta di sviluppo urbano di Torino lungo una direttrice nord-sud presentata nel 1947 nel Piano regionale piemontese. I blocchi residenziali, di altezza massima pari a tre piani fuori terra, erano disposti secondo una linea spezzata che generava una serie di corti aperte e che cercava la massima esposizione a sud delle facciate. Il piano definiva anche il tipo di muratura (laterizio a vista) e di copertura (a falde in coppi) degli edifici, richiamando i miti della tradizione locale come delle coeve esperienze nordeuropee, rielaborati in chiavi diverse dai vari professionisti, oltre agli stessi autori del piano, chiamati a progettare i singoli blocchi, tra gli architetti più riconosciuti e attivi del periodo: Ettore Sottsass Sr., Gino Becker, Augusto Romano. Tradizionali erano anche le tecniche costruttive, dettate – tra l’altro – da principi di economia di realizzazione. Il piano, consegnato nel 1951, venne successivamente fatto rientrare all’interno di un piano di ricostruzione approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1954. Il carattere autonomo del quartiere, enfatizzato nel progetto iniziale dalla presenza di negozi, bar, uffici, un cinema, scuola, chiesa, si tramutò presto però in emarginazione dalla città, di cui doveva essere avamposto nel suo sviluppo verso nord.
Attorno alla piazza, sul lato est, venne inaugurata successivamente nel 1957 la Parrocchia di San Pio X, con annesso l'ampio oratorio a tutt'oggi esistente, e negli anni furono realizzati diversi servizi quali, ad esempio, la scuola materna e la scuola elementare Antonio Ambrosini. Culturalmente avanzato, il progetto non incontrò però il gradimento di coloro che vi si insediarano visti i problemi di collegamento con la città e l’impossibiltà (vista l'effettiva carenza di strutture e servizi) di praticare l’autosussistenza. Dal punto di vista urbanistico, i nomi delle vie furono curiosamente ispirati al mondo delle piante, escludendo rispetto a questa logica solo il viale e la piazza centrali (viale Falchera e piazza Giovanni Astengo), oltre all'area sud-est del quartiere (quella circostante le cascine Ranotte), di impianto parzialmente ante-bellico. Quest'ultima area, in effetti, non fu interessata dal Piano INA-Casa e con l'andare degli anni si è sviluppata in maniera diversa rispetto al resto della Falchera Vecchia, essendo composta, fra l'altro, anche di alcune villette a schiera e di condomini di più recente costruzione (il tratto finale di via Tanaro, ad esempio, risale ai primi anni novanta).
Altro intervento storico architettonicamente significativo in zona fu la costruzione delle case operaie SNIA Viscosa: primo villaggio operaio di Torino, parte del grande stabilimento per la produzione di fibre sintetiche della Società Nazionale Industria Applicazioni Viscosa (SNIA Viscosa) voluto dal finanziere biellese Riccardo Gualino. La Snia, già Società Italiana di Navigazione Italo-Americana, fondata nel 1917 da Gualino con Giovanni Agnelli e diventata poi la più importante produttrice di filati sintetici in Italia, avviò nel 1924 la costruzione del nuovo insediamento produttivo alle porte di Torino, nei pressi della programmata autostrada per Milano, che comprendeva fabbriche e uffici, e le abitazioni per gli operai.
Sintesi tra le aspirazioni paternalistiche dei villaggi operai di fine Ottocento e i principi di organizzazione scientifica del lavoro, il progetto iniziale prevedeva la costruzione di 11.000 vani, destinati ad accogliere 15.000 tra operai e dipendenti diversi, dislocati in edifici distinti, lontani dalla città. In corso d’opera il villaggio fu poi drasticamente ridimensionato: il numero di vani scese a 576, per circa 800 dipendenti secondo il progetto dell’ingegnere Vittorio Tornielli, che vide la realizzazione di sedici case disposte a scacchiera di quattro piani ciascuna, con quattro alloggi di dimensioni minime per piano. Ambizioso nei suoi intenti, nella realtà il villaggio Snia scontò duramente la mancanza di attrezzature primarie (i servizi agli abitanti consistono in una chiesa, un asilo, un lavatoio e pochi negozi per la vendita dei generi di prima necessità) e soprattutto il forte isolamento rispetto al resto della città. Una separazione comune anche al quartiere Falchera Vecchia, di qualche anno successivo.
Sintesi tra le aspirazioni paternalistiche dei villaggi operai di fine Ottocento e i principi di organizzazione scientifica del lavoro, il progetto iniziale prevedeva la costruzione di 11.000 vani, destinati ad accogliere 15.000 tra operai e dipendenti diversi, dislocati in edifici distinti, lontani dalla città. In corso d’opera il villaggio fu poi drasticamente ridimensionato: il numero di vani scese a 576, per circa 800 dipendenti secondo il progetto dell’ingegnere Vittorio Tornielli, che vide la realizzazione di sedici case disposte a scacchiera di quattro piani ciascuna, con quattro alloggi di dimensioni minime per piano. Ambizioso nei suoi intenti, nella realtà il villaggio Snia scontò duramente la mancanza di attrezzature primarie (i servizi agli abitanti consistono in una chiesa, un asilo, un lavatoio e pochi negozi per la vendita dei generi di prima necessità) e soprattutto il forte isolamento rispetto al resto della città. Una separazione comune anche al quartiere Falchera Vecchia, di qualche anno successivo.
Nei primi anni settanta, a seguito del costante aumento demografico in città, il quartiere della Falchera venne ampliato nei suoi confini settentrionali, realizzando così un nuovo nucleo urbano a tutti noto come Falchera 2 o Falchera Nuova. Caratterizzata da edifici parzialmente a schiera (di 4 piani) e parzialmente a torre (di 10 piani), disposti in maniera lineare e dalle facciate rosse o bianche, la Falchera Nuova conobbe uno sviluppo urbanistico e architettonico diverso da quello della Falchera Vecchia (utilizzando per lo più sistemi di prefabbricazione); uno sviluppo che, come nel caso dell'INA-Casa per Falchera Vecchia, fu strettamente vincolato alle richieste Gescal e IACP. Già negli anni settanta il nuovo quartiere si dotò di strutture scolastiche e di servizi sociali e commerciali (lungo via degli Abeti) e nel 1976 inaugurò la Parrocchia di Gesù Salvatore.
Nell'area a nord-est della Falchera Nuova, in una porzione di territorio mai edificato, si stendono i cosiddetti laghetti della Falchera, due grandi specchi d'acqua artificiali che, assieme ai campi circostanti, costituiscono l'estremo confine nord-est del quartiere, a ridosso della Tangenziale Nord. È interessante notare che questi laghetti non sono sempre esistiti, ma come il resto della Falchera fanno parte di un processo evolutivo che ha accompagnato la storia del quartiere. Fino alla fine degli anni sessanta, in effetti, il terreno su cui essi sorgono si presentava come una grande spianata di terra in superficie; il territorio, tuttavia, è sempre stato molto acquitrinoso e ricco di acque sorgive nel sottosuolo. Al momento di costruire la Falchera Nuova, poco più a sud dell'area in questione, ci si rese conto che il terreno presentava delle difformità in fatto di livelli, cosa che rendeva difficile l'edificazione dei nuovi caseggiati. Si pensò allora di ovviare all'inconveniente estraendo terra e ghiaia da riporto dalla spianata a nord-est, così da riutilizzarla per livellare la superficie del nuovo quartiere in costruzione, portando quindi alla nascita degli odierni laghetti. La terra e la ghiaia rimossi produssero, infatti, un invaso molto grande nell'area di estrazione, facendo affiorare in superficie parte dell'acqua proveniente dal sottosuolo. Alla formazione dei laghetti, inoltre, contribuirono anche gli scavi per la costruzione della tangenziale nord, seguendo un processo simile a quello descritto per la Falchera Nuova. Nel corso degli anni, purtroppo, l'area dei laghetti è stata abbandonata all'incuria ma, così come per il resto della Falchera, è previsto nei prossimi anni un progetto di riqualificazione dell'intera zona, che dovrebbe vedere, almeno nelle intenzioni, la nascita di un parco urbano attorno ai laghi.
Fra i servizi dedicati alla cultura e all'informazione va segnalata in particolare la Biblioteca Civicadi Falchera intitolata a Don Lorenzo Milani, che un tempo aveva sede in piazza Astengo - ex piazza Falchera, e che dal 28/3/2014 - data dell'ufficiale inaugurazione – è stata trasferita in via dei Pioppi 43, in un'ala un tempo appartenuta alla scuola elementare Antonio Ambrosini ed oggi completemante ristrutturata), e il giornale Gente di Falchera, un periodico locale che, dal 1993, offre uno strumento di espressione e coinvolgimento riguardo alle vicissitudini del quartiere. Nell'ambito dei servizi sociali offerti ai giovani va ancora ricordato il Centro per il Protagonismo Giovanile El Barrio (ospitato nella vecchia scuola di Ponte Stura in Strada Cuorgnè 81), spazio di "creatività e socializzazione" dedicato a "musica, arte, creatività, solidarietà internazionale, stili di vita, sviluppo sostenibile", nato nel 2002 sulla base di un parternariato tra privato sociale e Settore Politiche Giovanili della Città di Torino. I soggetti gestori sono rappresentati dalla Cooperativa CISV Solidarietà, che dal 1994 conduce esperienze di solidarietà internazionale e di educazione allo sviluppo, e dall’Associazione M.I.A.O. Musica Internet Arte Oltre, che promuove la co-progettazione, l’aggregazione e la cultura per i giovani attraverso la musica, la gestione di una web radio (www.radiodigitale.info), l’organizzazione di eventi artistici e musicali (concerti, dj set, performance, etc.) e il lavoro in rete con altre realtà e associazioni di giovani. Grazie alla sua peculiare pianta urbanistica, la Falchera gode, poi, di molti spazi di verde pubblico, ai quali vanno aggiunti due parco giochi attrezzati, rispettivamente a Falchera Vecchia, in via delle Betulle, e Falchera Nuova, in piazzale Volgograd.
A causa della sua posizione estremamente periferica e isolata, la Falchera rimane tuttavia un territorio di poco passaggio per i non residenti, che l'attraversano principalmente da Strada Provinciale di Cuorgnè in direzione Torino o provincia. Questo, in sostanza, è dovuto allo sviluppo stesso del quartiere, che, in gran parte racchiuso nel quadrilatero ferrovia-autostrada-tangenziale-strada provinciale, è accessibile quasi esclusivamente dalla provinciale di Cuorgnè, se si esclude un accesso più indiretto che, tramite via Toce e un'appendice di via degli Ulivi, la collega a Settimo Torinese (attraverso un'area in parte agricola e in parte industriale): oggi, infatti, il quartiere si raggiunge imboccando un lungo viale fiancheggiato da tigli dalla strada provinciale per Cuorgnè, ma presto dovrebbe essere aperto un secondo accesso da corso Romania. Nel gennaio 2011 la Falchera è stata inserita dalla Città nel processo di trasformazione per la riqualificazione fisica, ambientale, funzionale e sociale dell'area Nord. Si tratta di un complesso di interventi che interessano gli spazi pubblici, gli edifici a servizio della collettività, la qualità ambientale e gli spazi verdi: nell'ambito di questo processo di trasformazione si inseriscono il risanamento dei laghetti (che prevede la sistemazione a verde pubblico attrezzato e la realizzazione di percorsi pedonali e ciclabili, aree di sosta, aree gioco) e il già citato trasferimento della biblioteca dalla piazza centrale alla nuova sede in via dei Pioppi 43, in un'area più baricentrica del territorio, facilmente raggiungibile anche da altre parti della città per la vicinanza della stazione FS TO-Stura, che in 15 minuti collega col Lingotto, e del capolinea della linea 4 GTT.
Si può fare un pasto genuino e tradizionale in zona presso la sopraccitata cascina Falchera che si trova sul lato ovest di Strada Provinciale di Cuorgnè (n° 109). In origine la cascina apparteneva alla famiglia Falchero, che a partire dalla metà del Seicento fu tra le famiglie di maggior prestigio all'interno della Parrocchia di Lucento (comprendente un ampio territorio tra la Dora e lo Stura, oltre una parte dell'Oltrestura). Gestita a lungo dai Falchero, di cui si ricordano ad esempio i fratelli Giacomo e Francesco, proprietari nel 1790, col passare dei secoli la cascina cambiò proprietà finché, fra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo, l'Ufficio Tecnico del Comune di Torino modificò pesantemente il complesso rurale, allestendo al suo interno laboratori botanici e spazi didattici (a cura dell'Assessorato all'Ambiente in collaborazione con l'Assessorato all'Istruzione). Attualmente la Cascina Falchera ospita il "Centro di Cultura per l'Educazione all'Ambiente e all'Agricoltura della Città di Torino", una fattoria didattica con un'area dedicata all'allevamento e una alla coltivazione, un laboratorio di trasformazione alimentare, spazi polifunzionali e ricreativi, e una sala riunioni. Fanno inoltre parte della struttura un ristorante "La Dispensa", aperto venerdì sera, sabato pranzo/cena e domenica a pranzo con cucina tipica piemontese alla carta e un ostello.
Ritornando, invece, verso la città è d’obbligo una sosta, in particolare sotto Natale o Pasqua, da Gilber in via Cavagnolo, 18 che produce dal 1965 biscotti, panettoni e colombe (con la caratteristica glassatura di nocciole e mandorle) a Torino; nel negozio aziendale si possono trovare biscotti di produzione propria (savoiardi, granellati, anicini, novara, amaretti, nocciolini e torcetti), cioccolato e altri prodotti tipici piemontesi di panetteria/ pasticceria artigianale che Gilber rivende.
Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro
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