lunedì 23 giugno 2014

San Salvario: multietnico con stile (e storia)


Borgo San Salvario (San Salvari in piemontese) è un quartiere storico della VIII Circoscrizione di Torino, molto vicino al centro storico cittadino, oggi noto soprattutto per la popolazione multietnica (sul suo territorio sono state contate quasi 100 nazionalità) e la vivace vita notturna,  delimitato a nord da corso Vittorio Emanuele II, a est dal fiume Po, a ovest dal tratto di ferrovia tra le stazioni Porta Nuova e Lingotto (Via Lugaro/Via Brugnone/Via Ribet, a ovest di Via Nizza) e a sud da corso Bramante.



Il toponimo deriva dal nome della chiesetta (e convento) omonima, posta su via Nizza angolo corso Marconi, a ridosso dei palazzi postali della vicina ferrovia di Stazione Porta Nuova. La chiesetta nacque col nome di San Salvatore di Campagna, o San Solutore (riferito allo stesso Cristo, quindi successivamente accorciato nel dialettale Salvari, Salvario) nel 1646, per volere di Madama Cristina, moglie del re Vittorio Amedeo I di Savoia, che desiderava un luogo di culto vicino alla loro residenza del Valentino. La chiesetta fu poi ampliata dal figlio di Carlo di Castellamonte, Amedeo, e divenne il convento dei Servi di Maria. La chiesa perse importanza quando, nel 1865, sorse un'altra importante chiesa della zona, la Santi Pietro e Paolo di Largo Saluzzo, oggi uno dei centri nevralgici, insieme a Piazza Madama Cristina, del quartiere.




L’edificio più storico ed architettonicamente più rilevante del quartiere è sicuramente il Castello del Valentino, le cui origini risalgono agli inizi del 1500. Nel 1564 Emanuele Filiberto di Savoia lo acquistò da un privato come dimora temporanea e venatoria, in ragione di una politica finalizzata alla costituzione di un sistema di residenze extraurbane della Corona. Dopo la prima ristrutturazione del 1577 e la seconda del 1590-91 diventò residenza preferita del duca e poi sede di rappresentanza della corte, oltreché luogo di loisir.Vittorio Amedeo I donò il castello a Maria Cristina di Francia (Madama Cristina), in occasione delle nozze, che lo adibì a dimora preferita soggiornandovi a lungo con la Corte, disponendo ulteriori lavori sostanziali di ampliamento. Il castello fu così completamente ristrutturato dal 1621 al 1660 da Carlo di Castellamonte e poi dal figlio Amedeo.




Oggi il castello si presenta con due facciate diverse: quella verso Torino ha le caratteristiche architettoniche dei castelli francesi del secolo XVII e del barocco italiano, mentre la facciata verso il fiume Po è lasciata in cotto. Da questa parte i sovrani e la corte scendevano al Po ed all’imbarcadero ducale. Gli ambienti al primo piano, cui si accede attraverso un doppio scalone, conservano l’antico splendore seicentesco, con ricchi stucchi ed affreschi allegorici commemorativi. L’ampio cortile è pavimentato in ciottoli chiari e scuri e conserva i suoi disegni di fine Seicento. La morte di Maria Cristina di Francia segnò un lento decadimento della dimora, alla quale vennero preferite nuove e più prestigiose residenze di “svago”.




Nel 1729 Vittorio Amedeo II adibì l’area a nord del castello ad Orto Botanico e a partire dal 1760 furono ricercate nuove destinazioni d’uso. Dopo aver ospitato durante la dominazione napoleonica la Scuola di Veterinaria, divenne la sede delle esposizioni dell’industria e dell’artigianato dal 1811. In una dépendance del castello si installarono nel 1833 la Scuola Militare di Ginnastica e nel 1837 la Società del Tiro a Segno. Il castello, in occasione dell’esposizione industriale del 1858, fu oggetto di una ristrutturazione su progetto di Domenico Ferri: furono costruiti due corridoi terrazzati collegati da una cancellata al posto dell’emiciclo d’ingresso, e fu aumentata la superficie utile, costruendo due gallerie espositive più larghe e a due piani in sostituzione dei portici che collegavano i padiglioni. L’esposizione del 1858 fu molto importante, sia per gli oltre 1500 espositori che vi parteciparono, sia perché fu la prima esposizione in Italia a carattere esclusivamente industriale. Dopo il 1860 il castello fu ceduto alla Scuola d’Ingegneria, cosicché oggi ospita le Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.




S. Salvario è uno dei quartieri centrali più verdi di Torino, poiché nella sua parte orientale, cioè quella a ridosso con la sponda sinistra del Fiume Po, è situato il noto Parco del Valentino, sviluppatosi da parco di residenza estiva dei Savoia a parco pubblico, ricco di percorsi pedonali, locali e circoli, e che ospita altresì il castello omonimo, oggi sede della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, più il pittoresco Borgo Medievale.




Adiacente al Castello del Valentino, il già citato GiardinoBotanico fondato nel 1729 dal re Vittorio Amedeo II, parte integrante del Dipartimento universitario di Biologia Vegetale dell’Università di Torino, immerso nel verde del Parco del Valentino, oggi Parco naturale del Po. Di grande importanza per l’Ateneo Torinese, già negli anni Venti del secolo XIX esisteva l’attuale edificio con aranciera, serra calda e museo-erbario; nel 1830-40 venne allestito il “Boschetto”, arboreto con numerose specie esotiche. Ulteriori ampliamenti degli edifici adibiti a laboratori ed aule ridussero gli spazi dedicati alle serre. Riaperto al pubblico nel 1997, dopo ristrutturazione e riqualificazione scientifica di alcuni settori, oggi l’Orto Botanico presenta un’importante raccolta di piante medicinali cui si aggiunge un “catalogo”, pressoché completo, della flora spontanee a che cresce sul territorio piemontese. Con un’estensione di 27.000 metri quadrati lungo le sponde del Po, informa sulle caratteristiche di alberi, fiori, cespugli oltre ad offrire un’importante collezione di piante mediterranee come il corbezzolo, il mirto e il cappero. Una collezione libraria di 64 volumi riproduce fedelmente, attraverso iconografie ad acquerello, 7500 vegetali.


Lo sviluppo urbano intorno alla storica chiesetta San Salvario fu documentato già da delle carte del 1790, quindi già prima dello sviluppo urbano dal centro cittadino torinese, partendo dall'adiacente Borgo Nuovo sulla parte dell'attuale Corso Vittorio Emanuele II, laddove nascerà la "Porta Nuova" allo sbocco della "Via Nuova" (via Roma) e dove verrà fondata l'attuale stazione ferroviaria.
Da lì, usciva la strada che conduceva sull'attuale via Nizza e sul Corso detto, appunto, del "Valentino", poi ribattezzato Corso Marconi, e che arrivava fino al Castello del Valentino, cioè la residenza estiva dei regnanti torinesi. Per uno sviluppo vero e proprio del borgo bisogna però aspettare l'abbattimento della cinta muraria torinese nel 1840: a partire da quel momento, si svilupperà un quartiere residenziale della borghesia torinese; non sono infatti presenti industrie in quantità rilevante.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, il quartiere ospitò ben due Esposizioni universali, di cui rimasero testimoni il complesso di Torino Esposizioni, più alcune palazzine sul corso Massimo d'Azeglio, che ospitano oggi parte della Facoltà di Medicina ed i corsi di laurea in Chimica e in Fisica dell'Università di Torino; in occasione dell'Esposizione Italiana del 1884 venne realizzato il cosiddetto Borgo medievale, mentre nel 1907 fu inaugurato il ponte sul Po di Corso Vittorio Emanuele II, dedicato a Umberto I, poi arricchito di statue nel 1911 per il Cinquantenario dell'Unità d'Italia. Il ponte sul Po di Corso Dante, opera dell'ingegnere Ghiotti e dedicato alla futura moglie di Tommaso di Savoia-Genova, la principessa Isabella di Baviera, è invece leggermente più antico, terminato nel 1880. Per il decennale della fine della prima guerra mondiale poi, fu decisa la costruzione di un terzo ponte sul Po di Corso Bramante, ponte terminato nel 1927 e dedicato a Vittorio Emanuele III, ma poi rinominato e dedicato al partigiano torinese Franco Balbis. Nel 1930 fu eretto un imponente Arco detto l'Arco del Valentino, dedicato all'Arma dell'Artiglieria e opera di Pietro Canonica.


Il Borgo e la Rocca medievali di Torino, realizzati fra il 1882 e 1884 da un gruppo di artisti e intellettuali coordinati dall'architetto portoghese Alfredo d'Andrade, costituiscono l'insieme di un museo, sia pure sui generis, dedicato all'architettura medievale. Le costruzioni del borgo riprendono edifici del XV sec. e sono ispirate a numerosi castelli del Piemonte e della Valle d'Aosta. Il borgo è, di fatto, più simile ad un sito archeologico-monumentale e nacque all'interno del Parco del Valentino come padiglione dell'Esposizione internazionale che si svolse a Torino dall'aprile al novembre del 1884. Destinato alla demolizione al termine dell'Esposizione Internazionale, divenne invece museo civico nel 1942. Si tratta di una riproduzione alquanto fedele di un tipico borgo tardo medievale in cui sono ricostruite vie, case, chiese, piazze, fontane e decorazioni dell'epoca circondato da mura e fortificazioni e sovrastato da una rocca. Nel borgo sono inoltre presenti sin dal 1884 botteghe artigianali: vasaio, tessitrice, speziale, falegname e fabbro. La Rocca è costituita da quattro piani: il piano interrato che ospita le prigioni; il piano terra invece l'ingresso, l'atrio, il cortile, il camerone dei soldati destinato ad ospitare i mercenari, le cucine e la sala da pranzo; il primo piano ospita la camera del guardiano che controllava l'accesso al ponte levatoio, l'antisala e la sala baronale, la camera da letto ispirata alla camera del Re di Francia del castello di Issogne, l'oratorio, la stanza della Damigella, e la cappella.

 Dell’ampio apparato di edifici costruiti per l’Esposizione Generale Italiana del 1898, organizzata a Torino per celebrare il cinquantenario dello Statuto Albertino, la Fontana dei Mesi è invece l’unico elemento architettonico ancora esistente. Secondo una vocazione che si stava consolidando dopo l’Esposizione del 1884, il luogo prescelto per ospitare la manifestazione fu il parco del Valentino e il prestigioso compito di progettare i padiglioni fu affidato a Carlo Ceppi (1829-1921). Architetto di grande importanza nell’ambiente culturale torinese, di Ceppi si ricordano il progetto dell’imponente edificio della stazione di Porta Nuova (elaborato con Alessandro Mazzucchetti) e diversi palazzi signorili del centro. Mentre gli altri edifici dell’Esposizione vennero costruiti in legno, gesso e tela, la Fontana dei Mesi ebbe una struttura permanente, costruita in “moderno” cemento. Si tratta di un’ampia fontana luminosa ornata da quattro gruppi statuari raffiguranti i fiumi torinesi (Po, Dora, Sangone, Stura) e da dodici statue femminili raffiguranti i mesi dell’anno. La critica la considera “una riuscita sintesi fra Eclettismo accademico ed apertura alle novità stilistiche e tecniche”.


Della fine del XIX secolo sono anche la Sinagoga ebraica, sita in via San Pio V, in quel tratto pedonalizzata per ragioni di sicurezza, dando così luogo alla Piazzetta Primo Levi, innalzata nel 1880-1884 dall'architetto Enrico Petitti, grazie all'allora comunità ebraica, che avevano rinunciato all'iniziale sito del loro tempio in quel che sarebbe poi diventata la futura Mole Antonelliana, e il Tempio Valdese, in c.so Vittorio Emanuele II, 23 progettato nel 1853 dall’architetto Luigi Formento con un sobrio stile neoromanico con influssi neorinascimentali particolarmente nell'interno.


La facciata del Tempio è divisa in due fasce sovrapposte da un cornicione scolpito a bassorilievo ed è affiancata da due esili campanili a pianta ottagonale, ciascuno terminante con una cuspide. Nella fascia inferiore della facciata, si trova il portale strombato con lunetta a tutto sesto; nella fascia superiore, invece, vi è una polifora composta da sette monofore intervallate da semicolonne con capitelli scolpiti e sormontata da un rosone circolare. L'interno del tempio è suddiviso in tre navate da due file di archi a tutto sesto poggianti su colonne corinzie. Sia la navata centrale che quelle laterali sono coperte con volta a crociera ed illuminate da monofore a tutto sesto. La navata maggiore termina con l'abside semicircolare, al centro della quale si trova il pregevole pulpito ligneo neogotico.


Le principali Chiese cattoliche del quartiere sono quattro: oltre alle sopraccitate chiese di San Pietro e Paolo e la prima chiesa, dedicata a San Salvario, la Parrocchia del Sacro Cuore di Maria e la Chiesa di San Giovanni Evangelista. La progettazione della Chiesa del Sacro Cuore di Maria, del 1889, è opera di Carlo Ceppi, forse il migliore degli architetti eclettici di Torino, che già aveva lavorato alle quattro cappelle neobarocche alla Consolata (1899), e che aveva costruito le chiese della Madonna degli Angeli e di San Gioacchino, nonché palazzo Ceriana. Ceppi, nell’ispirarsi all’architettura gotica, sviluppa e integra moderne tecniche costruttive e una fluente plastica decorativa, in particolare all’interno della chiesa.

Gravemente danneggiato in un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, l’edificio venne ricostruito negli anni Cinquanta in conformità con il disegno originario. La Parrocchia del Sacro Cuore di Maria è stata citata anche dalla scrittrice Natalia Ginzburg nel suo libro Lessico familiare che, affacciandosi dalla sua casa di via Pallamaglio (oggi via Morgari), descriveva il Sacro Cuore di Maria come una “una brutta e grossa chiesa”.


La chiesa di San Giovanni Evangelista, sita in corso Vittorio Emanuele II al n. 13, nell'isolato fra via Madama Cristina e via Ormea, è una delle chiese che san Giovanni Bosco fece edificare nella Torino del XIX secolo. La chiesa è chiamata "San Giovannino" per distinguerla dalla cattedrale dedicata a San Giovanni Battista, patrono della città: Don Bosco la pensò a lungo, unitamente all'istituto annesso, perché riteneva che per incidere profondamente nella zona non bastasse l'oratorio San Luigi, che aveva fondato nel 1847. Il progetto della chiesa viene affidato all’architetto conte Edoardo Arborio Mella (1808-1884) che si ispira allo stile romanico lombardo (sec. XI e XII) e realizza un edificio a pianta basilicale a tre navate che può contenere fino a 2500 persone. All’ingresso una grande statua di Pio IX opera di Francesco Gonfalonieri (1830-1925) ricorda gli stretti legami spirituali tra Don Bosco e il Papa. La facciata, arretrata, crea un piccolo sagrato ed è dominata da un alto campanile. All’interno le decorazioni sono prevalentemente del pittore Enrico Reffo (1831-1917) e della sua Scuola.


Verso zona Corso Massimo d'Azeglio, si trovano alcuni edifici architettonici sedi di alcune Facoltà universitarie, di cui alcuni in stile liberty, quali il Museo di Anatomia Luigi Rolando in Corso Massimo d'Azeglio, 52, provvisto di una bizzarra stretta torretta medioevale, e che ospita, sul retro su Via Pietro Giuria, il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso; significativa testimonianza di architettura art-déco è l'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris in Corso Massimo d'Azeglio, 44 conn la massiccia facciata, con colonnato bianco, realizzato nei primi anni Trenta come centro ricerche SIP su progetto di Vittorio Eugenio Ballatore di Rosana.


San Salvario, salvo che per le prime officine Fiat, che dalla storica sede di Corso Dante/Corso Massimo d'Azeglio furono ben presto trasferite nella nascente sede Lingotto nel 1915, non nacque come un quartiere industriale. Inizialmente, lo sviluppo economico si accentrò solo sul lavoro di scarico merci sul lato orientale dell'adiacente ferrovia di Porta Nuova e l'unica industria di un certo rilievo, dal 1929, è stata la Microtecnica, in Piazzetta Graf, nel settore aerospaziale, oggi ancora attiva, ma assorbita dalla United Technologies Corporation. Il quotidiano torinese La Stampa, uno dei maggiori a livello nazionale, ha la sua sede (subito dopo la prima sede di nascita di Via Roma) proprio in questo quartiere, dapprima per molti anni in Via Marenco, vicino al Parco del Valentino e, dal 2012, in Via Lugaro.


Il quartiere ospita due mercati rionali, quello principale in piazza MadamaCristina e l'altro, più piccolo, in piazza Nizza (che durante i lavori della Metropolitana di Torino era ospitato provvisoriamente in corso Raffaello). La prossimità del centro e di Porta Nuova favorì, già da metà a fine Ottocento, la vivacità sociale e commerciale del “quadrilatero” di San Salvario. Rilevante, per lo sviluppo della vita economica del quartiere, fu il trasferimento, nel 1876, da piazza Bodoni a piazza Madama Cristina, del secondo mercato di Torino per dimensioni dell’epoca, dov’erano venduti anche gli ortaggi della vicina collina: il suo successo fu dovuto anche al rivolgersi a una clientela mista, più elevata di quella delle barriere e anche della media cittadina. Dal 1999 al 2001 sono stati realizzati nella piazza una serie di interventi di riqualificazione, quali il parcheggio interrato con 256 posti auto, la pavimentazione e la copertura dello spazio che ancora oggi ospita un ricco mercato cittadino e di tanto in tanto manifestazioni e feste di quartiere; dall’incrocio con via Galliari e quasi a fino a via Ormea rimangono i banchetti dei contadini che arrivano qui dalla collina o la prima cintura cittadina.


Su via Madama Cristina, l’arteria centrale del quartiere in direzione corso Marconi, si incontrano due curiosità del quartiere, dal significato mai svelato, contribuendo a conferire alla zona un’anima enigmatica e misteriosa: la “casa dei pipistrelli” al 19, con un enorme pipistrello a sostegno del balcone, e poco oltre al 29 la “casa dei draghi” progettata dall’ingegner Porta nel 1874, il cui portone in legno di ciliegio è sormontato da una pensilina di vetro retta due draghi in ferro battuto. Molto più chiaro il senso degli undici busti in bassorilievo che ornano la facciata dell’edificio ad angolo tra via Principe Tommaso e via Galliari: si tratta di prostitute giovani e ammiccanti che denunciano la funzione del palazzotto, che ospitava originariamente  ragazze compiacenti e i loro clienti; prosituzione diffusa in tutto il quartiere, fin dall’ttocento, differenziandosi nell’offerta a seconda delle vie, e contribuendo a fare del quartiere il Pigalle torinese così come dimostrato anche dai due cinema a luci rosse (pressochè gli ultimi in città) di via Principe Tommaso, il Metropol e il Maffei, a breve distanza, tra l’altro, dall’edificio con i busti delle signorine.


Tra i progetti architettonici contemporanei più interessanti della zona, quello dell’arch. Luciano Pia per la Scuola di Biotecnologie in via Nizza negli spazi dove si collocava l’ex Facoltà di Medicina veterinaria, di cui mutua le originarie impostazioni ad isolato, realizzato tra il 2004 e il 2006 dall’impresa DE-GA.

L’edificio si dispone nella successione di isolati di Via Nizza fiancheggiato da edifici storici del XIX secolo, tra cui la Chiesa del Sacro Cuore in mattoni che si riflette nelle alte e ampie vetrate. Con un fronte vetrato di 15 metri di altezza, il corpo di fabbrica si apre verso strada, lasciando che verso l’interno si dispongano intorno a quattro cortili i settori didattici e di ricerca per biotecnologia, chimica e immunologia. Il cortile di ingresso fiancheggiato dalla strada, lastricato e piantumato da pini, assume il ruolo di piazza, il filtro tra università e città. L’uso di calcestruzzo autocompattante consente spazi interni molto luminosi e conferisce carattere alla struttura. “Superfici senza fughe, a vista prive di qualsiasi imperfezione e caratterizzate da spigoli e angoli taglienti che definiscono una chiara geometria del corpo di fabbrica e del vuoto, donano al visitatore l’impressione dell’astrattezza dell’intero volume.





Altre realizzazioni architettoniche interessanti in zona, come la precedente vincitrici del premio Architetture Rivelate, le costruzioni per loft e abitazioni in via Saluzzo, 29 (Saluzzo 29) e La casa tra gli alberi sempre in via Saluzzo, 49.



Innumerevoli ormai i locali in zona, tuttavia con una diversa idea di socialità di fondo è La Casa del Quartiere, ospitata negli ex bagni pubblici di via Morgari 14, realizzati al principio del Novecento in stile liberty e ristrutturati secondo un progetto promosso e realizzato dall'Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus in partnership con Città di Torino, Fondazione Vodafone, Compagnia di San Paolo, Circoscrizione 8 e con un grande numero di enti no profit. La Casa del Quartiere è un laboratorio per la progettazione e la realizzazione di attività sociali e culturali che coinvolge associazioni, cittadini, operatori artistici e culturali; è uno spazio aperto e multiculturale, luogo di incontro e scambio di attività e persone. Alla Casa del Quartiere ci sono una caffetteria, una ciclofficina, un ufficio co-working, una banca del tempo, un orto, una sala riunioni, sportelli informativi e spazi di ascolto.


Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro 



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