martedì 29 luglio 2014

San Salvario: gastrotour in nome della varietà

San Salvario presenta l’offerta eno-gastronomica più ampia e diversificata dei fuori zona di Torino; da una parte conserva trattorie legate alla sua origine popolare dei primi del novecento, dall’altra la grande presenza extra-comunitaria dagli anni ottanta in poi ha portato alla nascita di molti locali di cucina etnica e internazionale; a questi si è aggiunta negli ultimi anni la creazione di una quantità incredibile di locali di destinazione non sempre così ben definita e con una qualità del cibo che spesso esula dalle priorità del locale.

Per quanto riguarda le trattorie, due sono quelle che conciliano qualità del cibo, informalità del locale e prezzi particolarmente contenuti e che, per pura coincidenza, si trovano l’una in faccia all’altra: l’Angolo dei Parin e Trattoria Bar Coco’s, enrambe in via Galliari, la prima al 29 e la seconda al 28.
L’Angolo dei Parin nasce come gastronomia e di quella conserva una vetrinetta dove fanno bella mostra gli antipasti tipici della cucina piemontese (viel tonné, insalata russa, tomini al verde), salumi e formaggi e i dolci (torte classiche e monoporzioni della tradizione al cucchiaio come bunet, panna cotta, tiramisu e zuppa inglese) che si possono consumare in loco o acquistati da asporto. Ottime soluzioni per il pranzo (primo + secondo proposti a 10 euro) con un buon mix di tradizione e innovazione e un ampia scelta giornaliera tra primi e secondi (menù di carne, pesce e vegetariano); la ristrutturazione dell’anno scorso l’ha declinato ancora maggiormente in versione bistrot francese con la possibilità di consumarvi colazioni o una fetta di torta accompagnate da te, caffè o cioccolata calda. Il locale è chiuso solo alla domenica tutto il giorno.
 A meta trà osteria e bar di paese, Coco’s è una sorta di reliquiario vivente del quartiere, dei suoi clienti e della fede torinista dei suoi gestori: sia che si venga per un bicchiere di vino, sia per un pasto al volo o di sostanza, la parola d’ordine è informalità, non a discapito però della cucina che in questi anni si è sempre mantenuta genuina e di buona qualità. Primi (buoni e spadellati al momento) a 5,50, secondi (vari tra freddi e caldi) a 6,50: il tutto servito con una buona dose di confidenza con il cliente – anche casuale – circondato da cimeli anni settanta e ottanta (tra tutti il distributore automatico di nocciole noccioline), tante fotografie, cartoline, insegne d’epoca e oggetti da mercatino delle pulci; il locale è aperto tutti i giorni tranne la domenica.

Lato pizza ben quattro le possibilità che offre il quartiere: sul podio Fratelli Pummarò (via Principe Tommaso 12/H), che propone - in spazi ridotti ma suggestivi con alti pareti di mattoni a vista – una pizza dal cornicione alto (nella migliore tradizione napoletana) con una perfetta lievitazione, morbida ma non gommosa, e superficie croccante, a cui si aggiungono una grande gentilezza ed velocità nel servizio; al secondo posto Masaniello e Turnat’ (Via Ormea, 1/B) con un locale davvero bello: molto bianco su cui spicca il rosso dei peperoncini dei centrotavola e delle cornici degli splendidi murales sulla storia di Masaniello, parquet in legno anticato, poltroncine neo-barocche retrò in velluto verde e sedie di design organico in noce scuro. Oltre ad una pizza napoletana molto buona, seppur con un cornicione un po’ sottile, panzerotti ripieni di ricotta fritti e non unti, peccato solo per il ripieno un po' freddo dei panzerottini con ricotta e sfiziosi dessert della tradizione napoletana (zeppole con nutella, babà, ricottine, …); seguendo via Ormea, verso corso Marconi, si incontra al n° 29 l’ultima arrivata del quartiere: MARFI che propone una pizza cotta al forno a legna con un impasto a metà strada tra quella tradizionale e quella napoletana; una pizza che sa di fuoco e di buono!

Un po’ fuori dalla zona della movida in direzione Nizza Millefonti, infine una delle pizzerie storiche di Torino: la Stadera (all’angolo tra via P. Giuria e corso Dante) ricorda i ristoranti degli anni 80/90 dove i camerieri non sono giovani studenti ma dipendenti che fanno quel mestiere da una vita, l'ambiente è elegante con belle tovaglie e un'illuminazione che conferisce classe e signorilità al tutto, la pizza è buona, napoletana con la crosta spessa ma croccante e le materie prime sicuramente di ottima qualità; molto invitanti sembrano anche i dolci che esulano da quelli tipici da pizzeria (panna cotta, bunet, crème caramel, ...) seppur presenti, ma offrono interessanti e golose novità (bavarese alla vaniglia con le castagne, meringata morbida con mandorle e cioccolato fuso, cheesecake con prugne). Prezzi nella media e proposte molto interessanti anche nei piatti cucinati in particolare per pesce e primi.
Ultima segnalazione in tema pizza: l’apertura di qualche mese fa di Cammafà, buonissima pizzeria napoletana con due sedi a Torino in zona Lingotto, in Via Silvio Pellico, 14.

A metà tra trattoria e ristorante, il Dausin (via Goito, 9) nasceva qualche anno fa’ come “progetto eco-gastronomico per la riduzione di emissioni di CO2”. Il nome Dausin, che in piemontese significa “vicino”, richiama infatti la filosofia dei gestori: utilizzare solo prodotti a KM0, ossia provenienti da zone limitrofe a Torino (il proposito era entro i 30 km di distanza), mantenendo un rapporto diretto con le piccole aziende. Allo scopo di limitare gli sprechi la cucina del Dausin offre una scelta limitata di piatti: 6/7 antipasti (di cui si possono scegliere anche quattro assaggi per comporre un piatto degustazione), 2/3 primi e 4/5 secondi (tra i quali sempre un’opzione vegetariana); la materia prima è acquistata su base giornaliera, non esiste un congelatore, garantendo così la freschezza e qualità dei cibi proposti. Il locale è chiuso solo alla domenica tutto il giorno.

Osteria, ma in questo caso pugliese e precisamente salentina, il Covo della Taranta propone in via Galliari 14/bis la cucina tipica pugliese: semplice, verace, a piccoli prezzi. A pranzo il menù con primo e secondo è proposto a 8,50, alla sera poco più del doppio a seconda anche se si mangia carne o pesce; pesce che qui non manca mai: sottoforma di cozze per gli spaghetti o l’impepata, fritto o insalata di mare (super fresca).
Si beve Primitivo o Malvasia, rigorosamente nelle terrecotte smaltate di Grottaglie, oppure la birra Raffo (abche lei pugliese, di Taranto).

Cibocontainer Bistrot (corso Marconi, 33/b) lo si potrebbe definire una gastronomia vintage di design post-industriale: si mangia su cassette riconvertite a tavoli scegliendo tra un menù aggiornato quotidianamento oppure scegliendo dalle vetrinette dove sono proposte ottime ricette di verdure o carne, disponibili anche per l’asporto.
Non mancano mai l’insalata Roby che propone un formaggio paglierina alla griglia con melanzate griglitate e misticanza, riso basmati profumato con uova in padella, paste della tradizione (ravioli del plin, Raviole della Val Varaita, …), risotti e dessert deliziosi; prezzi adeguati alla tipologia del locale, dai 10 ai 20 euro per un pasto completo.

Tante le gelateria, più o meno alternative, nate in questi ultimi anni: la mia preferita rimane la Cooperativa- Gelateria Naturale di S. Salvario - in via Berthollet, 13 - avviata e aperta grazie al metodo dell’azionariato popolare cooperativo (ACP e nel dettaglio la Cooperativa Sociale Articolo 4) che consiste nel finanziamento collettivo di attività commerciali e culturali che, anziché essere riservato ad un numero limitato di soci, coinvolge un numero il più elevato possibile di soggetti, soprattutto soggetti cosiddetti “non istituzionali”. Non a caso l’ambientazione è multietnica con un’equipe formata da persone di diverse nazionalità residenti in San Salvario. Pochi gusti, ma dal sapore vero delle materie prime utilizzate per prepararle provenienti dal circuito di Campagna Amica.


Parlando di street food, che ben si sposa con la giovanissima e mobile popolazione di S.Salvario, la tappa d’obligo è la Burgheria n° 3 che non è nata qui, ma vale la pena assaggiare nella sua sede di S.Salvario (le prime aperte sono in via del Carmine e via delle Orfane) quelli che restano i migliori hamburger american style di Torino: l'idea de La Burgheria è nata intorno al 2006, dai fondatori Sasha e Alessandro, incontratisi nel 1998 a San Francisco, con l’obiettivo di aprire a Torino un locale dove mangiare un buon hamburger per pranzo o per cena, appoggiandosi alla tradizione gastronomica della regione e del più elevato standard di qualità in tutti i settori alimentari.
 Per una pausa gastronomicamente al top, ma con interessanti ed economiche soluzioni per il pranzo in settimana, la scelta cade su Scannabue in largo Saluzzo, 25/H: un interno dominato dal  legno scuro a metà tra salottino inglese e bistrot parigino, gestito da tre amici: Gigi sommelier e Paolo ed Elisabetta, chef dall'estro artistico  ma con un occhio sempre attento alla tradizione culinaria regionale ed italiana. Materie prime da fornitori di prima qualità (pane di loro produzione con farine Mulino Marino, Pescheria Gallina, Macelleria Martini di Boves, Formaggi Parola di Saluzzo) e ampia e selezionata cantina (240 etichette) per un pasto di “alta qualità”

Tanti i ristoranti etnici, tanti considerato il carattere multiculturale del quartiere, il peruviano El Tambo in Via Berthollet, 37/F, che offre i piatti più tipici di quella che è considerata una delle variegate cucine del mondo, spaziando dal pesce alla carne passando per verdure, quinoa e amaranto. Tra le specialità: Empanadas (fagottini di pasta ripieni di carne e verdura), Papa rellena (Patata ripiena di manzo e verdure miste), Ceviche (Pesce persico marinato nel limone e cipolle crude), Papas a la huancaina (patate lesse con salsa di peperoncino dolce al formaggio), Lomo Saltado (carne con salsa di soia e verdure) e il Risotto Chaufa (riso saltato con un mix di carni, verdura e uova) e i dolci preparati in proprio: Alfajores (Biscotti con ripieno di dulce de leche e scaglie di cocco), Leche asada (Latte al forno), Arroz con leche (Dolce di riso al latte con cannella) e Picarones (Ciambelle di farina di zucca con zucchero caramellato).


Primo ristorante di cucina ebraica kosher in città, ALEF, proprio di fronte alla Sinagoga,  osserva la Kasherut, le regole dell'alimentazione ebraica, gli antichi dettami della Torah in cui alcuni cibi, come il maiale, il coniglio e i crostacei sono vietati, mentre le altre preparazioni culinarie seguono il principio della separazione, evitando ad esempio di mescolare carne e latticini.
Nel rispetto dei precetti della religione ebraica, il locale è chiuso di sabato, aperto di di domenica e propone una cucina che segue il ritmo delle stagioni, delle feste ebraiche con pietanze e dolci tipici della cultura ashkenazita, sefardita e italiana: il pane intrecciato, la challa per il sabato, i biscotti, le Orecchie di Amman, profumati e ripieni con semi di papavero o noci, serviti durante il carnevale di Purim e altre delizie come le melanzane con tehina, i falafel croccanti e piatti di pesce, come l'aringa con erba cipollina; tutto inaffiato da un bicchierino di vodka (assolutamente kasher).Non proprio ristorante, ma rimanendo in ambito etnico: una delle istituzioni di San Salvario multiculturale: Horas Kekab, per molti il miglior Kebab di Torino, per la maggior parte dei frequentatori del quartiere, un locale aperto (quasi) sempre dove gustare un ottimo kekab a un ottimo prezzo.
Se la passione culinaria si ferma ai cugini d’Oltralpe la tappa è alla Creperie Adonis, quasi accanto a Scannabue in largo Saluzzo, 25/E, dove assaggiare originali crepes (dolci o salate) tradizionali o nella versione galette bretonne, con farina di grano saraceno. Ottime materie prime selezionate, a metà tra gusti locali e sapori francesi, e farine provenienti dal Mulino della Riviera di Dronero (CN).

San Salvario vuol dire anche lungo Po e, perchè no, proprio come in tutte le grandi città storiche attraversate da un fiume consumare un pasto sulla riva del fiume, scegliendo ad esempio l'Imbarco del Re Perosino, che sorge al n° 53 di Viale Virgilio alle spalle del Castello del Valentino, dove si trovava un tempo l'antico approdo delle barche reali, fra le quali, la più nota era la settecentesca "Peota". Allora ormeggiava in un'apposita darsena con un passaggio sotterraneo verso il sovrastante Castello del Valentino, per eventuali vie di fuga e uscite notturne, come pare fosse in uso ai tempi di Madama Cristina, figlia del Re di Francia che il castello se l'era fatto costruire di suo gusto sul modello dei castelli della Loira. L'antica darsena ristrutturata ad inizio novecento in un gusto estetico da cottage inglese, da tre generazioni ospita il caffè ristorante e fino al 2000 ha conservato la tradizione del imbarcadero con barche in acqua per un giro sul fiume, fatto che nel dopoguerra aveva rappresentato il massimo svago estivo dei torinesi. La cucina è tipicamente piemontese, come tipicamente piemontese è il grande buffet di antipasti (freddi e caldi) presentati sul grande tavolo del locale: le candelle accese, le pareti di legno verniciato bianco, le stampe a tema caccia, la vista sul fiume contribuiscono a creare un'ottima atmosfera anche quando si consuma il pasto all'interno. Particolarmente interessante il Menù dei borghi che a 16 Euro propone il Grand Buffet di antipasti alla piemontese, bevande o dolce e acqua.

Da quartiere storicamente popolare, non possono mancare a San Salvario le botteghe alimentari storiche di qualità, in particolare le panetterie; due proprio su via Berthollet in prossimita di Piazza Madama Cristina: la storica Ubertalle, al n° 24/D, e la più moderna, Ficini, al n° 30, quasi boulangerie francese nelle luci e materiali un po’ provenzali; l’altra storica, in Via Galliari, 14 è la premiata panetteria Bertino, già fornitrice della Casa Reale, attiva a Torino dal 1854; questa panetteria è una delle poche in Europa a disporre di un forno in pietra funzionante che bisogna accendere ogni giorno, anche se non si cuocerà il pane. Oggi i Bertino riforniscono di pane la comunità ebraica e quella musulmana perché la loro produzione non fa uso di strutto.
I preferiti da Ubertalle: i grissini con gocce di cioccolato e zucchero semolato; l’eccellenza di Ficini: la focaccia genovese.
In ambito pasticcerie, si segnalano Castellino in via Principe Tommaso, 14/bis con una vasta scelta di paste fresche e secche, cioccolatini fatti a mano e torte. Tra le specialità: gli amarevoli, cialde mandorlate con cioccolato e brandy, i trifulin e i puciunin d’amur al grand marnier, il Torrone Morbidone, squisita ricetta nelle varianti al pistacchio, cioccolato, noci, caffè, limone, tradizionale bianco. Su piazza Madama Cristina, Pisapia, bar-pasticceria specializzato in dolci e specialità meridionali: mini cassatine, babà, cannoli siciliani ed una buona pastiera napoletana, oltre a sacher e fragranti brioches per la prima colazione.

lunedì 23 giugno 2014

San Salvario: multietnico con stile (e storia)


Borgo San Salvario (San Salvari in piemontese) è un quartiere storico della VIII Circoscrizione di Torino, molto vicino al centro storico cittadino, oggi noto soprattutto per la popolazione multietnica (sul suo territorio sono state contate quasi 100 nazionalità) e la vivace vita notturna,  delimitato a nord da corso Vittorio Emanuele II, a est dal fiume Po, a ovest dal tratto di ferrovia tra le stazioni Porta Nuova e Lingotto (Via Lugaro/Via Brugnone/Via Ribet, a ovest di Via Nizza) e a sud da corso Bramante.



Il toponimo deriva dal nome della chiesetta (e convento) omonima, posta su via Nizza angolo corso Marconi, a ridosso dei palazzi postali della vicina ferrovia di Stazione Porta Nuova. La chiesetta nacque col nome di San Salvatore di Campagna, o San Solutore (riferito allo stesso Cristo, quindi successivamente accorciato nel dialettale Salvari, Salvario) nel 1646, per volere di Madama Cristina, moglie del re Vittorio Amedeo I di Savoia, che desiderava un luogo di culto vicino alla loro residenza del Valentino. La chiesetta fu poi ampliata dal figlio di Carlo di Castellamonte, Amedeo, e divenne il convento dei Servi di Maria. La chiesa perse importanza quando, nel 1865, sorse un'altra importante chiesa della zona, la Santi Pietro e Paolo di Largo Saluzzo, oggi uno dei centri nevralgici, insieme a Piazza Madama Cristina, del quartiere.




L’edificio più storico ed architettonicamente più rilevante del quartiere è sicuramente il Castello del Valentino, le cui origini risalgono agli inizi del 1500. Nel 1564 Emanuele Filiberto di Savoia lo acquistò da un privato come dimora temporanea e venatoria, in ragione di una politica finalizzata alla costituzione di un sistema di residenze extraurbane della Corona. Dopo la prima ristrutturazione del 1577 e la seconda del 1590-91 diventò residenza preferita del duca e poi sede di rappresentanza della corte, oltreché luogo di loisir.Vittorio Amedeo I donò il castello a Maria Cristina di Francia (Madama Cristina), in occasione delle nozze, che lo adibì a dimora preferita soggiornandovi a lungo con la Corte, disponendo ulteriori lavori sostanziali di ampliamento. Il castello fu così completamente ristrutturato dal 1621 al 1660 da Carlo di Castellamonte e poi dal figlio Amedeo.




Oggi il castello si presenta con due facciate diverse: quella verso Torino ha le caratteristiche architettoniche dei castelli francesi del secolo XVII e del barocco italiano, mentre la facciata verso il fiume Po è lasciata in cotto. Da questa parte i sovrani e la corte scendevano al Po ed all’imbarcadero ducale. Gli ambienti al primo piano, cui si accede attraverso un doppio scalone, conservano l’antico splendore seicentesco, con ricchi stucchi ed affreschi allegorici commemorativi. L’ampio cortile è pavimentato in ciottoli chiari e scuri e conserva i suoi disegni di fine Seicento. La morte di Maria Cristina di Francia segnò un lento decadimento della dimora, alla quale vennero preferite nuove e più prestigiose residenze di “svago”.




Nel 1729 Vittorio Amedeo II adibì l’area a nord del castello ad Orto Botanico e a partire dal 1760 furono ricercate nuove destinazioni d’uso. Dopo aver ospitato durante la dominazione napoleonica la Scuola di Veterinaria, divenne la sede delle esposizioni dell’industria e dell’artigianato dal 1811. In una dépendance del castello si installarono nel 1833 la Scuola Militare di Ginnastica e nel 1837 la Società del Tiro a Segno. Il castello, in occasione dell’esposizione industriale del 1858, fu oggetto di una ristrutturazione su progetto di Domenico Ferri: furono costruiti due corridoi terrazzati collegati da una cancellata al posto dell’emiciclo d’ingresso, e fu aumentata la superficie utile, costruendo due gallerie espositive più larghe e a due piani in sostituzione dei portici che collegavano i padiglioni. L’esposizione del 1858 fu molto importante, sia per gli oltre 1500 espositori che vi parteciparono, sia perché fu la prima esposizione in Italia a carattere esclusivamente industriale. Dopo il 1860 il castello fu ceduto alla Scuola d’Ingegneria, cosicché oggi ospita le Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.




S. Salvario è uno dei quartieri centrali più verdi di Torino, poiché nella sua parte orientale, cioè quella a ridosso con la sponda sinistra del Fiume Po, è situato il noto Parco del Valentino, sviluppatosi da parco di residenza estiva dei Savoia a parco pubblico, ricco di percorsi pedonali, locali e circoli, e che ospita altresì il castello omonimo, oggi sede della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, più il pittoresco Borgo Medievale.




Adiacente al Castello del Valentino, il già citato GiardinoBotanico fondato nel 1729 dal re Vittorio Amedeo II, parte integrante del Dipartimento universitario di Biologia Vegetale dell’Università di Torino, immerso nel verde del Parco del Valentino, oggi Parco naturale del Po. Di grande importanza per l’Ateneo Torinese, già negli anni Venti del secolo XIX esisteva l’attuale edificio con aranciera, serra calda e museo-erbario; nel 1830-40 venne allestito il “Boschetto”, arboreto con numerose specie esotiche. Ulteriori ampliamenti degli edifici adibiti a laboratori ed aule ridussero gli spazi dedicati alle serre. Riaperto al pubblico nel 1997, dopo ristrutturazione e riqualificazione scientifica di alcuni settori, oggi l’Orto Botanico presenta un’importante raccolta di piante medicinali cui si aggiunge un “catalogo”, pressoché completo, della flora spontanee a che cresce sul territorio piemontese. Con un’estensione di 27.000 metri quadrati lungo le sponde del Po, informa sulle caratteristiche di alberi, fiori, cespugli oltre ad offrire un’importante collezione di piante mediterranee come il corbezzolo, il mirto e il cappero. Una collezione libraria di 64 volumi riproduce fedelmente, attraverso iconografie ad acquerello, 7500 vegetali.


Lo sviluppo urbano intorno alla storica chiesetta San Salvario fu documentato già da delle carte del 1790, quindi già prima dello sviluppo urbano dal centro cittadino torinese, partendo dall'adiacente Borgo Nuovo sulla parte dell'attuale Corso Vittorio Emanuele II, laddove nascerà la "Porta Nuova" allo sbocco della "Via Nuova" (via Roma) e dove verrà fondata l'attuale stazione ferroviaria.
Da lì, usciva la strada che conduceva sull'attuale via Nizza e sul Corso detto, appunto, del "Valentino", poi ribattezzato Corso Marconi, e che arrivava fino al Castello del Valentino, cioè la residenza estiva dei regnanti torinesi. Per uno sviluppo vero e proprio del borgo bisogna però aspettare l'abbattimento della cinta muraria torinese nel 1840: a partire da quel momento, si svilupperà un quartiere residenziale della borghesia torinese; non sono infatti presenti industrie in quantità rilevante.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, il quartiere ospitò ben due Esposizioni universali, di cui rimasero testimoni il complesso di Torino Esposizioni, più alcune palazzine sul corso Massimo d'Azeglio, che ospitano oggi parte della Facoltà di Medicina ed i corsi di laurea in Chimica e in Fisica dell'Università di Torino; in occasione dell'Esposizione Italiana del 1884 venne realizzato il cosiddetto Borgo medievale, mentre nel 1907 fu inaugurato il ponte sul Po di Corso Vittorio Emanuele II, dedicato a Umberto I, poi arricchito di statue nel 1911 per il Cinquantenario dell'Unità d'Italia. Il ponte sul Po di Corso Dante, opera dell'ingegnere Ghiotti e dedicato alla futura moglie di Tommaso di Savoia-Genova, la principessa Isabella di Baviera, è invece leggermente più antico, terminato nel 1880. Per il decennale della fine della prima guerra mondiale poi, fu decisa la costruzione di un terzo ponte sul Po di Corso Bramante, ponte terminato nel 1927 e dedicato a Vittorio Emanuele III, ma poi rinominato e dedicato al partigiano torinese Franco Balbis. Nel 1930 fu eretto un imponente Arco detto l'Arco del Valentino, dedicato all'Arma dell'Artiglieria e opera di Pietro Canonica.


Il Borgo e la Rocca medievali di Torino, realizzati fra il 1882 e 1884 da un gruppo di artisti e intellettuali coordinati dall'architetto portoghese Alfredo d'Andrade, costituiscono l'insieme di un museo, sia pure sui generis, dedicato all'architettura medievale. Le costruzioni del borgo riprendono edifici del XV sec. e sono ispirate a numerosi castelli del Piemonte e della Valle d'Aosta. Il borgo è, di fatto, più simile ad un sito archeologico-monumentale e nacque all'interno del Parco del Valentino come padiglione dell'Esposizione internazionale che si svolse a Torino dall'aprile al novembre del 1884. Destinato alla demolizione al termine dell'Esposizione Internazionale, divenne invece museo civico nel 1942. Si tratta di una riproduzione alquanto fedele di un tipico borgo tardo medievale in cui sono ricostruite vie, case, chiese, piazze, fontane e decorazioni dell'epoca circondato da mura e fortificazioni e sovrastato da una rocca. Nel borgo sono inoltre presenti sin dal 1884 botteghe artigianali: vasaio, tessitrice, speziale, falegname e fabbro. La Rocca è costituita da quattro piani: il piano interrato che ospita le prigioni; il piano terra invece l'ingresso, l'atrio, il cortile, il camerone dei soldati destinato ad ospitare i mercenari, le cucine e la sala da pranzo; il primo piano ospita la camera del guardiano che controllava l'accesso al ponte levatoio, l'antisala e la sala baronale, la camera da letto ispirata alla camera del Re di Francia del castello di Issogne, l'oratorio, la stanza della Damigella, e la cappella.

 Dell’ampio apparato di edifici costruiti per l’Esposizione Generale Italiana del 1898, organizzata a Torino per celebrare il cinquantenario dello Statuto Albertino, la Fontana dei Mesi è invece l’unico elemento architettonico ancora esistente. Secondo una vocazione che si stava consolidando dopo l’Esposizione del 1884, il luogo prescelto per ospitare la manifestazione fu il parco del Valentino e il prestigioso compito di progettare i padiglioni fu affidato a Carlo Ceppi (1829-1921). Architetto di grande importanza nell’ambiente culturale torinese, di Ceppi si ricordano il progetto dell’imponente edificio della stazione di Porta Nuova (elaborato con Alessandro Mazzucchetti) e diversi palazzi signorili del centro. Mentre gli altri edifici dell’Esposizione vennero costruiti in legno, gesso e tela, la Fontana dei Mesi ebbe una struttura permanente, costruita in “moderno” cemento. Si tratta di un’ampia fontana luminosa ornata da quattro gruppi statuari raffiguranti i fiumi torinesi (Po, Dora, Sangone, Stura) e da dodici statue femminili raffiguranti i mesi dell’anno. La critica la considera “una riuscita sintesi fra Eclettismo accademico ed apertura alle novità stilistiche e tecniche”.


Della fine del XIX secolo sono anche la Sinagoga ebraica, sita in via San Pio V, in quel tratto pedonalizzata per ragioni di sicurezza, dando così luogo alla Piazzetta Primo Levi, innalzata nel 1880-1884 dall'architetto Enrico Petitti, grazie all'allora comunità ebraica, che avevano rinunciato all'iniziale sito del loro tempio in quel che sarebbe poi diventata la futura Mole Antonelliana, e il Tempio Valdese, in c.so Vittorio Emanuele II, 23 progettato nel 1853 dall’architetto Luigi Formento con un sobrio stile neoromanico con influssi neorinascimentali particolarmente nell'interno.


La facciata del Tempio è divisa in due fasce sovrapposte da un cornicione scolpito a bassorilievo ed è affiancata da due esili campanili a pianta ottagonale, ciascuno terminante con una cuspide. Nella fascia inferiore della facciata, si trova il portale strombato con lunetta a tutto sesto; nella fascia superiore, invece, vi è una polifora composta da sette monofore intervallate da semicolonne con capitelli scolpiti e sormontata da un rosone circolare. L'interno del tempio è suddiviso in tre navate da due file di archi a tutto sesto poggianti su colonne corinzie. Sia la navata centrale che quelle laterali sono coperte con volta a crociera ed illuminate da monofore a tutto sesto. La navata maggiore termina con l'abside semicircolare, al centro della quale si trova il pregevole pulpito ligneo neogotico.


Le principali Chiese cattoliche del quartiere sono quattro: oltre alle sopraccitate chiese di San Pietro e Paolo e la prima chiesa, dedicata a San Salvario, la Parrocchia del Sacro Cuore di Maria e la Chiesa di San Giovanni Evangelista. La progettazione della Chiesa del Sacro Cuore di Maria, del 1889, è opera di Carlo Ceppi, forse il migliore degli architetti eclettici di Torino, che già aveva lavorato alle quattro cappelle neobarocche alla Consolata (1899), e che aveva costruito le chiese della Madonna degli Angeli e di San Gioacchino, nonché palazzo Ceriana. Ceppi, nell’ispirarsi all’architettura gotica, sviluppa e integra moderne tecniche costruttive e una fluente plastica decorativa, in particolare all’interno della chiesa.

Gravemente danneggiato in un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, l’edificio venne ricostruito negli anni Cinquanta in conformità con il disegno originario. La Parrocchia del Sacro Cuore di Maria è stata citata anche dalla scrittrice Natalia Ginzburg nel suo libro Lessico familiare che, affacciandosi dalla sua casa di via Pallamaglio (oggi via Morgari), descriveva il Sacro Cuore di Maria come una “una brutta e grossa chiesa”.


La chiesa di San Giovanni Evangelista, sita in corso Vittorio Emanuele II al n. 13, nell'isolato fra via Madama Cristina e via Ormea, è una delle chiese che san Giovanni Bosco fece edificare nella Torino del XIX secolo. La chiesa è chiamata "San Giovannino" per distinguerla dalla cattedrale dedicata a San Giovanni Battista, patrono della città: Don Bosco la pensò a lungo, unitamente all'istituto annesso, perché riteneva che per incidere profondamente nella zona non bastasse l'oratorio San Luigi, che aveva fondato nel 1847. Il progetto della chiesa viene affidato all’architetto conte Edoardo Arborio Mella (1808-1884) che si ispira allo stile romanico lombardo (sec. XI e XII) e realizza un edificio a pianta basilicale a tre navate che può contenere fino a 2500 persone. All’ingresso una grande statua di Pio IX opera di Francesco Gonfalonieri (1830-1925) ricorda gli stretti legami spirituali tra Don Bosco e il Papa. La facciata, arretrata, crea un piccolo sagrato ed è dominata da un alto campanile. All’interno le decorazioni sono prevalentemente del pittore Enrico Reffo (1831-1917) e della sua Scuola.


Verso zona Corso Massimo d'Azeglio, si trovano alcuni edifici architettonici sedi di alcune Facoltà universitarie, di cui alcuni in stile liberty, quali il Museo di Anatomia Luigi Rolando in Corso Massimo d'Azeglio, 52, provvisto di una bizzarra stretta torretta medioevale, e che ospita, sul retro su Via Pietro Giuria, il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso; significativa testimonianza di architettura art-déco è l'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris in Corso Massimo d'Azeglio, 44 conn la massiccia facciata, con colonnato bianco, realizzato nei primi anni Trenta come centro ricerche SIP su progetto di Vittorio Eugenio Ballatore di Rosana.


San Salvario, salvo che per le prime officine Fiat, che dalla storica sede di Corso Dante/Corso Massimo d'Azeglio furono ben presto trasferite nella nascente sede Lingotto nel 1915, non nacque come un quartiere industriale. Inizialmente, lo sviluppo economico si accentrò solo sul lavoro di scarico merci sul lato orientale dell'adiacente ferrovia di Porta Nuova e l'unica industria di un certo rilievo, dal 1929, è stata la Microtecnica, in Piazzetta Graf, nel settore aerospaziale, oggi ancora attiva, ma assorbita dalla United Technologies Corporation. Il quotidiano torinese La Stampa, uno dei maggiori a livello nazionale, ha la sua sede (subito dopo la prima sede di nascita di Via Roma) proprio in questo quartiere, dapprima per molti anni in Via Marenco, vicino al Parco del Valentino e, dal 2012, in Via Lugaro.


Il quartiere ospita due mercati rionali, quello principale in piazza MadamaCristina e l'altro, più piccolo, in piazza Nizza (che durante i lavori della Metropolitana di Torino era ospitato provvisoriamente in corso Raffaello). La prossimità del centro e di Porta Nuova favorì, già da metà a fine Ottocento, la vivacità sociale e commerciale del “quadrilatero” di San Salvario. Rilevante, per lo sviluppo della vita economica del quartiere, fu il trasferimento, nel 1876, da piazza Bodoni a piazza Madama Cristina, del secondo mercato di Torino per dimensioni dell’epoca, dov’erano venduti anche gli ortaggi della vicina collina: il suo successo fu dovuto anche al rivolgersi a una clientela mista, più elevata di quella delle barriere e anche della media cittadina. Dal 1999 al 2001 sono stati realizzati nella piazza una serie di interventi di riqualificazione, quali il parcheggio interrato con 256 posti auto, la pavimentazione e la copertura dello spazio che ancora oggi ospita un ricco mercato cittadino e di tanto in tanto manifestazioni e feste di quartiere; dall’incrocio con via Galliari e quasi a fino a via Ormea rimangono i banchetti dei contadini che arrivano qui dalla collina o la prima cintura cittadina.


Su via Madama Cristina, l’arteria centrale del quartiere in direzione corso Marconi, si incontrano due curiosità del quartiere, dal significato mai svelato, contribuendo a conferire alla zona un’anima enigmatica e misteriosa: la “casa dei pipistrelli” al 19, con un enorme pipistrello a sostegno del balcone, e poco oltre al 29 la “casa dei draghi” progettata dall’ingegner Porta nel 1874, il cui portone in legno di ciliegio è sormontato da una pensilina di vetro retta due draghi in ferro battuto. Molto più chiaro il senso degli undici busti in bassorilievo che ornano la facciata dell’edificio ad angolo tra via Principe Tommaso e via Galliari: si tratta di prostitute giovani e ammiccanti che denunciano la funzione del palazzotto, che ospitava originariamente  ragazze compiacenti e i loro clienti; prosituzione diffusa in tutto il quartiere, fin dall’ttocento, differenziandosi nell’offerta a seconda delle vie, e contribuendo a fare del quartiere il Pigalle torinese così come dimostrato anche dai due cinema a luci rosse (pressochè gli ultimi in città) di via Principe Tommaso, il Metropol e il Maffei, a breve distanza, tra l’altro, dall’edificio con i busti delle signorine.


Tra i progetti architettonici contemporanei più interessanti della zona, quello dell’arch. Luciano Pia per la Scuola di Biotecnologie in via Nizza negli spazi dove si collocava l’ex Facoltà di Medicina veterinaria, di cui mutua le originarie impostazioni ad isolato, realizzato tra il 2004 e il 2006 dall’impresa DE-GA.

L’edificio si dispone nella successione di isolati di Via Nizza fiancheggiato da edifici storici del XIX secolo, tra cui la Chiesa del Sacro Cuore in mattoni che si riflette nelle alte e ampie vetrate. Con un fronte vetrato di 15 metri di altezza, il corpo di fabbrica si apre verso strada, lasciando che verso l’interno si dispongano intorno a quattro cortili i settori didattici e di ricerca per biotecnologia, chimica e immunologia. Il cortile di ingresso fiancheggiato dalla strada, lastricato e piantumato da pini, assume il ruolo di piazza, il filtro tra università e città. L’uso di calcestruzzo autocompattante consente spazi interni molto luminosi e conferisce carattere alla struttura. “Superfici senza fughe, a vista prive di qualsiasi imperfezione e caratterizzate da spigoli e angoli taglienti che definiscono una chiara geometria del corpo di fabbrica e del vuoto, donano al visitatore l’impressione dell’astrattezza dell’intero volume.





Altre realizzazioni architettoniche interessanti in zona, come la precedente vincitrici del premio Architetture Rivelate, le costruzioni per loft e abitazioni in via Saluzzo, 29 (Saluzzo 29) e La casa tra gli alberi sempre in via Saluzzo, 49.



Innumerevoli ormai i locali in zona, tuttavia con una diversa idea di socialità di fondo è La Casa del Quartiere, ospitata negli ex bagni pubblici di via Morgari 14, realizzati al principio del Novecento in stile liberty e ristrutturati secondo un progetto promosso e realizzato dall'Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario onlus in partnership con Città di Torino, Fondazione Vodafone, Compagnia di San Paolo, Circoscrizione 8 e con un grande numero di enti no profit. La Casa del Quartiere è un laboratorio per la progettazione e la realizzazione di attività sociali e culturali che coinvolge associazioni, cittadini, operatori artistici e culturali; è uno spazio aperto e multiculturale, luogo di incontro e scambio di attività e persone. Alla Casa del Quartiere ci sono una caffetteria, una ciclofficina, un ufficio co-working, una banca del tempo, un orto, una sala riunioni, sportelli informativi e spazi di ascolto.


Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro 



martedì 10 giugno 2014

Lingotto: il borgo che diventa città


Lingotto (Lingòt in piemontese) è un quartiere della IX Circoscrizione (che comprende anche Nizza Millefonti) situato a sud-est della città di Torino.
Il quartiere Lingotto di Torino è delimitato a nord (in corrispondenza della zona Borgo Filadelfia) da Corso Bramante, a est dalla linea ferroviaria di Torino sud (con la stazione Lingotto), confinante col polo multifunzionale del Lingotto, a ovest da corso Unione Sovietica e a sud da via Onorato Vigliani.
Il Lingotto nacque intorno al XV secolo come latifondo rurale tra Torino e Moncalieri, prendendo il nome dalla cascina agricola che sorgeva lungo l'antica strada di collegamento Grugliasco-Moncalieri, l'attuale via Passo Buole, al numero 60, in quella che oggi si chiama la zona Basse (per via delle case basse), e che dà oggi accesso all'adiacente zona di Torino Mirafiori Sud. A sua volta, la cascina Lingotto prese il nome dai nobili Lingotto (o Lingotti), già signori di Moncalieri, di cui ultimo estinto della dinastia fu tal Melchiorre detto il Marchiò, sindaco moncalieriese fino al 1559.
La zona passò poi al Cav. Emanuele Filiberto Panealbo fino al 1649, che la rivendette al Conte Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Mauriziano Giovan Battista Trucchi di Levaldigi (1617-1698), così come la più grande cascina della zona, detta La Generala, oggi sede del Carcere Minorile Ferrante Aporti.


Ma fu nel XVII secolo che il borgo si ampliò, arricchendosi di artigiani e contadini protetti sia dal dominio feudale di Vittorio Amedeo II di Savoia, sia dalla diocesi cattolica del beato Sebastiano Valfré, che evangelizzò gran parte della zona sud-est di Torino; fu in questo periodo che sorse l'antica chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, successivamente distrutta dai bombardamenti del 4 giugno 1944, e sostituita dall'attuale parrocchia Immacolata Concezione e San Giovanni Battista (consacrata nel 1978). Prospicente ad essa, in via Passo Buole,73 , sorgeva l'antica villa di Emilio Borbonese (archivista storico di fine Ottocento) oggi inesistente. Nel 1765 la frazione del Lingotto passò quindi al Conte Carlo Pietro Avenati, del ramo dei nobili Rebaudengo di Mondovì, e ultimo proprietario del Lingotto. Poi, intorno al 1845-1850, l'area fu sfruttata per la costruzione del passante ferroviario della linee ferroviarie verso sud. Quando Carlo Alberto di Savoia sovvenzionò la costruzione della linea ferroviaria per Genova, la zona fu successivamente popolata da pendolari e dipendenti della stessa. A tutt'oggi, il quartiere ospita la Stazione di Torino Lingotto, ristrutturata nel 1990. Oltre a La Generala, l’unica cascina ancora oggi esistente è la "Juva", nata come cascina Lingotto e afferente al castello, che sorgeva nell’omonimo feudo sin dal ‘500. Nel corso dei secoli, il complesso ha subito diverse modifiche fino a stabilizzarsi dalla fine del ‘700. La pianta rimase invariata fino alla metà del ‘900. Attualmente l’edificio è adibito ad attività commerciali e residenziali e l’unica evidenza che si conserva è un arco portale bugnato settecentesco visibile da Via Passo Buole.



Nel periodo fascista poi, sorsero i depositi dei Mercati Generali Ortofrutticoli di Torino sud, o altrimenti detti "Magazzini di vendita Ortofrutticola all'Ingrosso" (M.O.I.), un comprensorio dominato da una piccola torretta littoria sull'allora chiamata Piazza Balilla, poi rinominata Piazza Galimberti. I mercati generali rapresentano l’unico vero progetto razionalista realizzato a Torino: un macro “tassello” destinato ai servizi, caratterizzato dalla “reiterazione ad libitum delle navate in cemento armato ad andamento parabolico, le quali vengono a rispecchiarsi nel monoritmo della struttura del Lingotto”. I nuovi Mercati Ortofrutticoli all’Ingrosso furono inaugurati il 28 ottobre 1933 a Torino e il complesso, contrariamente al progetto iniziale che prevedeva la sua localizzazione nei pressi di Porta Palazzo, sorge nella zona sud della città, a due passi dalla stazione di smistamento e dalla dogana. L’affidamento dell’incarico per la costruzione dei Mercati generali su un’area di proprietà pubblica avviene tramite il bando di un concorso-appalto, vinto dall’impresa Del Duca e Miccone con un progetto dell’architetto istriano Umberto Cuzzi (1891-1973), da dieci anni operante a Torino.


Considerato tra i migliori esempi di architettura razionalista torinese e pubblicato sulle principali riviste del periodo, il progetto sfrutta la lunghezza del lotto compreso fra la via Giordano Bruno e il tracciato ferroviario disponendo parallelamente alla via due serie simmetriche di sette gallerie in calcestruzzo armato ad archi parabolici illuminate da sheds verticali, speculari rispetto alla piazza centrale interna, sulla quale si apre l’ingresso principale dei mercati sovrastato dalla torre dell’acqua. Lungo il perimetro del lotto su via Giordano Bruno, Cuzzi chiude lo spazio interno con una cortina di corpi direzionali a due piani, simmetrici rispetto all’ingresso. Gli ambienti interni si discostano da quelli della consolidata edilizia industriale, di struttura a schemi quadrati: ai Mercati generali la leggerezza delle arcate crea spazi quasi rarefatti, che qualificano in modo nuovo la loro funzione specifica, lo smercio quotidiano di frutta e verdura. Nel 2001 il complesso viene dismesso, quindi restaurato per accogliere parte del Villaggio dei Media in occasione dei Giochi invernali di Torino 2006.


Sempre nel periodo fascista, di forte espansione fu anche la zona a nord del quartiere, detta Borgo Filadelfia, dal nome della via omonima. Nel 1922 sorse infatti l'Antica Fabbrica del Chinino, complesso destinato alla creazione di prodotti medicamentosi ricavati dalla trasformazione di solfato di chinino, costituito da dieci capannoni che si estendono su una superficie di 7.000 metri quadrati. Trasferita parzialmente a Volterra durante la seconda guerra mondiale, l’attività produttiva riprende dopo la fine del conflitto e continua fino al 1956, anno di chiusura della fabbrica, che attualmente è sede della Polizia Municipale della IX Circoscrizione.


Sempre in zona lo storico Campo (di calcio) Torino nasceva con questo nome il 17 ottobre 1926 per volere del Conte Enrico Marone di Cinzano, allora presidente del club Torino F.C. Il progetto fu affidato all'ingegnere Gamba, insegnante al Politecnico torinese, e la costruzione fu eseguita dal commendatore Filippa. Fu inaugurato alla presenza del principe ereditario Umberto e della principessa Maria Adelaide, con la benedizione dell'arcivescovo di Torino Monsignore Gamba; lo stadio fu poi ribattezzato Stadio Filadelfia e ospitò le partite casalinghe del Torino Football Club fino al termine della stagione 1962-1963.



Il Filadelfia è legato indissolubilmente alle imprese del Grande Torino. Negli anni Quaranta, uscire imbattuti dal Filadelfia è considerata una vera e propria impresa: per più di sei anni il Toro non perde mai sul proprio campo fino alla tragedia di Superga del 1949 che mette fine alla leggenda del Grande torino (vd. itinerario Madonna del Pilone). Nel campionato 1958-59 il Torino viene retrocesso per la prima volta in serie B, lo stesso anno in cui gioca allo Stadio Comunale, abbandonando temporaneamente il Filadelfia che viene utilizzato come campo d’allenamento della prima squadra e come campo ufficiale per le gare interne della Primavera. Con il ritorno in serie A, il Torino riprende a giocare nel vecchio impianto, che abbandona definitivamente nel 1963. Lo Stadio Filadelfia fu colpito durante il bombardamento diurno del 29 marzo 1944 che fece crollare il primo piano dello stadio. Dal 1963 il Filadelfia venne utilizzato come campo di allenamento, ma il cattivo stato di conservazione dell’impianto, dovuto alla scarsa manutenzione, costringe nel 1994 la società a spostarsi a Orbassano. Negli anni Novanta, la situazione economica del Torino si aggrava, e nel giro di un decennio più proprietari si avvicendano alla presidenza della società granata. Molte sono le parole spese per la ricostruzione dello storico impianto; vengono anche presentati alcuni progetti di ricostruzione, tra cui uno da trentamila posti.
Nel gennaio 2008 è stata costituita una nuova Fondazione che si è impegnata a trovare i fondi necessari per la ricostruzione dello stadio e notizia di dicembre 2013 è il progetto di ricostruzione del luogo simbolo del Torino (due campi e un museo) arrivato sul tavolo di Comune e Regione con un contributo da Palazzo Civico di un milione di euro e una data d’inaugurazione: 4 maggio 2016. 



Borgo Filadelfia ospitava, inoltre, l'area dell'antica dogana ferroviaria di Torino sud delimitata dall'inizio di Corso Sebastopoli. Ristrutturata, oggi è usata come sede di uffici amministrativi e parte della caserma della Finanza, che termina con un palazzo eclettico all'angolo con Via Giordano Bruno. Un lungo tunnel stradale detto Sottopassaggio (o sottopasso) del Lingotto, scorre da Corso Giambone sotto tutta la linea ferroviaria, fino a Via Ventimiglia nella zona Nizza Millefonti. Costruito nel 1930, fu allargato a due corsie nel 1979, quindi aggiunto di un raccordo per Corso Unità d'Italia e il polo fieristico-commerciale Lingotto nel 1997. Oggi è parzialmente interrotto, a causa lavori del prolungamento della Metropolitana di Torino e del progetto del Grattacielo della Regione Piemonte.

Una radicale ristrutturazione del quartiere avvenne per le Olimpiadi Invernali Torino 2006: nel 2001 la sede dei Mercati Generali venne infatti spostata a Grugliasco (zona SITO Interporto), e il MOI (Mercato Ortofrutticolo all’Ingrosso) dismesso. Considerata la sua importanza storico-artistica, il complesso è stato restaurato per ospitare parte del Villaggio Olimpico in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006: il progetto del gruppo coordinato dall’architetto Benedetto Camerana ha destinato l’area ai servizi per gli atleti, mentre nelle zone circostanti sono state edificate alcune palazzine da i colori accesi a contrasto a uso residenziale per gli atleti durante le Olimpiadi.


Completava la ristrutturazione generale, la costruzione della Passerella Olimpica, che doveva collegare il Villaggio Olimpico con il centro polifunzionale del Lingotto. La sua funzione simbolica invece, fu quella di struttura innovativa, rappresentante il rinnovamento urbanistico del 2006 avvenuto in occasione dei giochi olimpici. Visibile da lontano, è una delle strutture più alte della città e il suo colore rosso lo distingue dal resto dell'impianto urbano, pur rimanendo nel tema dell'adiacente ex villaggio olimpico di Via G. Bruno/Via Zini. Il progetto fu realizzato da un gruppo di architetti e ingegneri guidati dall'inglese Hugh Dutton (HDA- Hugh Dutton Associés), ideatore del grande arco di sostegno. La progettazione richiese anche prove aerodinamiche effettuate in galleria del vento per verificare la resistenza alle correnti d'aria e studi antisismici. L'arco rosso è infatti alto 69 metri e lungo 55, pesa 460 tonnellate ed è sorretto da 32 fasci di cavi (chiamati tecnicamente stralli) con una lunghezza massima di 113 metri. Il principio strutturale è lo stesso della ruota di bicicletta, dove l'arco corrisponde al cerchione, gli stralli ai raggi, e l'impalcato del ponte al pignone. L'arco ha sezione triangolare, è inclinato per favorire la geometria degli stralli, ed è asimmetrico a causa dell'andamento incurvato della passerella. Le fondazioni sono profonde 20 metri ed hanno un peso di 162 tonnellate. La passerella pedonale è lunga 368 metri, ha un'altezza massima di 11,8 metri, comprende una campata unica di 156 metri senza appoggi, sostenuta da cavi, e altre due campate lunghe complessivamente 212 metri, con appoggi. L'Arco è stato costruito dall'ATI Sermeca S.p.a. e Falcone S.r.l. (mandataria). A parte la riconversione degli edifici più a sud, in corrispondenza di Via Pio VII e via Carlo Bossoli, nella sede dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Piemonte (ARPA),  a distanza di otto anni, dopo i fasti olimpici del 2006, purtroppo anche per la passerella olimpica l’'eredità delle Olimpiadi invernali si è rivelata molto pesante da gestire e tutta la zona (Torino Olympic Park) tra via Giordano Bruno, Via Zino Zini e Via Pio VII è lasciata per lo più al degrado con le facciate colorate scrostate, scritte sui muri e ascensori vandalizzati. 

Della riqualificazione del quartiere fa parte sicuramente il PAV - Parco di Arte Vivente, uno dei primi e pochi esempi in Italia di centri di ricerca attento al dialogo tra arte, scienza e natura, realizzato secondo i principi della bioclimatica e biotecnologia, costruito sull'area dapprima occupata dallo stabilimento Framtek. Il PAV, aperto dal 2008, è stato concepito come un'architettura verde dall'artista torinese Piero Gilardi e sviluppato con il paesaggista Gianluca Cosmacini, organizzato in ambienti e progetti quali "Bioma", un'opera di Piero Gilardi in cui il pubblico può interagire con alcuni elementi naturali o con l'installazione "Trèfle", la prima opera d'arte ambientale ideata al PAV dall'artista francese Dominique Gonzales-Foerster. Accanto a queste opere permanenti, si articola l'Art Program, diretto da Piero Gilardi e curato da Claudio Cravero, che prevede mostre temporanee negli spazi interni e la messa in opera di progetti site specific nel parco di circa 23.000 mq.

I centri dell’aggregazione sportiva giovanile, particolarmente numerosi in zona, sono le storiche società calcistiche A.S.D. V. Bacigalupo in Via Bossoli, 76/b, l'ACD Lingotto in Via Passo Buole 96 e le società di baseball Juve 98 e Grizzlies Torino, che si allenano nel campo a diamante di Via Passo Buole, 96. 
Discorso a parte merita l’HIROSHIMA MON AMOUR, nato nel 1987, in zona S.Salvario (via Belfiore 24) e spostatosi qui nel 1996 (via Bossoli, 83) nei locali abbandonati dell’ex scuola elementare Achille Mario Dogliotti; un nome che racchiude l'essenza di questo luogo: il cinema, la letteratura, la musica, l’antinucleare. La sua storia, in questi anni, è stata la storia della nuova musica italiana e internazionale, dal teatro comico, dei nuovi artisti che sul palco dell’Hiroshima hanno avuto le prime opportunità e che sono tornati, raggiunta la celebrità, nelle rassegne e nei festival promossi dalla nostra organizzazione. Pur mantenendo un occhio di riguardo per l'arte e le culture giovanili, Hiroshima Mon Amour è andata molto oltre la dimensione di locale di spettacolo, diventando nel corso degli anni un punto di riferimento nazionale ed internazionale per i grandi eventi e i festival: oltre che con le istituzioni pubbliche e gli enti locali, Hiroshima Mon Amour ha avuto come partner, tra gli altri, Smemoranda, il Museo Nazionale del Cinema, il Torino Film Festival, il Teatro Stabile di Torino, la Fiera Internazionale del Libro, Sergio Bonelli Editore, il Goethe Institut. Oggi, l’attività del centro spazia dall'ideazione artistica all'organizzazione e allestimento di eventi, in prevalenza concerti con artisti di richiamo nazionale e internazionale, programmando rassegne e stagioni teatrali, nightclubbing ed eventi esclusivi di spettacolo.


Lo spazio verde più grande del quartiere, nella zona denominata "Lingotto Vecchio", nucleo originario dell'attuale quartiere, è il Parco di Vittorio comunemente noto ai torinesi come Parco del Lingotto. Sull'attuale territorio occupato dal parco, per lo meno nella sezione a sud dell'asse di via Passo Buole, sorgeva il Cimitero del Lingotto, qui costruito nel 1788 per una legge che obbligava a spostare i campisanti fuori dai centri abitati.Dismesso il cimitero prima della Seconda guerra mondiale, su pressante richiesta della cittadinanza l'area venne adibita, nei primi anni cinquanta, alla sua attuale funzione di parco pubblico. La vasta area verde è divisa dall'asse viario di via Passo Buole; la parte a sud, quella anticamente occupata dal suddetto cimitero, è la più vasta; quella a nord, confinante con le sedi istituzionali della Circoscrizione 9, è informalmente nota con il nome de "I Pizzi", tradizionalmente luogo di ritrovo dei più giovani tra i frequentatori del parco (pur se è lì installato un gioco di bocce per gli anziani).

Il giardino pubblico è coperto nella sua quasi interezza dal verde; la presenza dell'antico cimitero, di cui alcuni alberi ornano ancor oggi vari angoli del quadrilatero, ha infatti contribuito a tenere distante l'edificazione frenetica particolarmente nel boom degli anni cinquanta e sessanta e tutto il parco brilla per la quantità e la qualità delle attrezzature per i bambini, per la presenza di un percorso ginnico, di piste di pattinaggio, fontane, passeggiate e un'ampia area per i cani.
La parte sud si caratterizza invece per un ampio laghetto artificiale con fontane, sormontato da un sovrappasso pedonale, con accanto la palazzina polifunzionale (ospita il Centro d'Incontro, ma anche mostre, gruppi giovanili, feste pubbliche e private) che funge da centro dell'intero parco.


Il nucleo originario del quartiere è proprio confinante con il Parco di Vittorio in prossimità di corso Traiano, lungo il quale si estende la maggior concentrazione di attività commerciali del quartiere.Qui ci si può concedere un ottimo gelato artigianale da Dario's in corso Traiano, 93, unico punto vendita a Torino del gelato prodotto artigianalmente a partire da panna e latte secondo le ricette della tradizione e cultura lattiero-casearia delle Fattorie Osella di Caramagna (CN): Dario, non a caso, è il nome proprio del fondatore e la gelateria un Carretto dei Sogni che ha realizzato a 75 anni dopo una lunga carriera di successo imprenditoriale. A breve distanza, dall'altra parte del corso, l'altra ottima gelateria artigianale storica della zona: la Gelateria Bussolari al n° 76.
Per una sosta gastronomica in zona la soluzione è pizza (napoletana) in una delle due sedi di quella che resta una delle migliori pizzerie di Torino: Cammafà nel locale in piazza Galimberti, 23/b (recentemernte ampliato in quanto originariamente nato essenzialmente per l'asporto e con soli quattro tavoli per il consumo in loco) oppure in quello da sempre più ampio di via Pio VII, 19 in corrispondenza del Villaggio Olimpico.