Santa Rita è un quartiere della zona sud-ovest della città che fa parte della Circoscrizione 2 di Torino, e che prende il nome dalla chiesa dedicata a Santa Rita da Cascia, costruita al centro del quartiere nella prima metà del XX secolo; il quartiere è delimitato a nord da corso Rosselli, a ovest da corso Siracusa, a est da corso Unione Sovietica, a sud da corso Cosenza.
È una zona storica sviluppatasi principalmente negli anni '60 e '70, con il grande afflusso di immigrazione meridionale; attualmente è una zona residenziale e ricca di esercizi pubblici.
L'attuale territorio di Santa Rita era diviso in grandi tenute agricole che subirono un frazionamento a partire dal XV secolo, periodo in cui vennero costruite numerose cascine. Gli edifici rurali, circondati da campi coltivati e dalle bealere, i canali di irrigazione, erano collegati con la città da due assi stradali: lo stradone di Stupinigi (attuale corso Unione Sovietica) e la strada di Orbassano (attuale corso Orbassano). La definitiva fisionomia agricola dell'area si stabilizzò nel XVII secolo: a quest'epoca risalgono le cascine ancora presenti come il Giaione, attuale sede della circoscrizione 2, la villa Amoretti e la Grangia. Quest'ultima , il cui nucleo originale risaliva al medioevo, risultò attiva fino agli anni '80 prima di essere demolita nel 2001.
Durante l'assedio di Torino la zona era compresa tra le due linee di controvallazione e circonvallazione dell'esercito francese. L'area fu scelta dal duca de la Feuillade, uno dei generali, come centro di comando. La cascina Olivero (in parte ancora visibile in corso Siracusa angolo via Arbe) ospitava il quartier generale vero e proprio del duca; la già citata Grangia, all'epoca ancora munita delle mura medievali, fu destinata a fureria mentre la Martiniana (sul cui sito sorge la Centrale del Latte di via Filadelfia) fu trasformata in forno per il pane. Tutti gli edifici furono uniti con opere di fortificazione (mura e valli) e collegate con un sistema di trincee.
Il tradizionale impianto agricolo rimase pressoché intatto fino ai primi del Novecento, quando furono costruiti i primi edifici al di fuori della cinta daziaria: lo sviluppo urbano venne fissato intorno alle barriere doganali di Orbassano e Stupinigi e alle relative direttrici stradali, secondo i piani regolatori del 1887, del 1901 e del 1908. Le case popolari di via Tripoli 71-75 sorsero tra il 1908 e il 1912, mentre nel 1913 sorse nelle vicinanze la scuola elementare Mazzini, in stile liberty.
A partire dal dopoguerra la popolazione cominciò a crescere rapidamente per l'immigrazione dalle campagne, dal sud Italia ma anche dalle zone centrali della città. Nel 1961 si registrò un aumento del 223% rispetto ai dieci anni precedenti: gli abitanti passarono da 23.000 a 74.000. Il ritmo costruttivo si accentuò ancora di più negli anni seguenti, anche in conseguenza della legge sulle case popolari n. 167 del 1962. Tra il 1963 e il 1968 il quartiere crebbe disordinatamente, evidenziando carenze di servizi per l'enorme popolazione residente. Nel 1970 si toccarono i 104.191 residenti, con soli tre mercati e nessun ospedale; anche scuole, servizi sociali e sanitari, aree verdi erano insufficienti. Nel 1972 sorse il primo comitato di quartiere, con funzioni consultive. Nel 1985, quando Santa Rita fu unito a Mirafiori Nord per formare la circoscrizione amministrativa 2, nel quartiere c'erano ancora 80.000 abitanti.
A gli anni ’60, quelli del boom demografico ed economico, appartengono anche le Torri Pitagora: sorte tra il 1964 e il 1965 in una zona allora periferica della città, sono frutto di un collaudato sodalizio tra l'architetto Elio Luzi e Sergio Jaretti Sodano che, dopo aver già progettato la Casa dell'Obelisco sulla prestigiosa collina torinese, realizzeranno anche la famosa Torre Mirafiori e il complesso edilizio circostante.
Realizzate su progetto del duo Luzi-Jaretti per l'impresa edile Manolino, le Torri Pitagora fanno parte delle cosiddette "residenze alte" della Torino del dopoguerra. Ubicate sull'area compresa tra i corsi Siracusa, Orbassano e Cosenza, con affaccio sull'antistante piazza Pitagora, il complesso edilizio comprende le due torri che, con i loro dieci piani, si distinguono per l'elevata altezza rispetto al contesto edilizio circostante, privo di una particolare coerenza. Complice dell'altezza è lo slancio conferito dalla scelta di basare l'edificio su alti pilotis, dove trovano posto anche degli spazi a doppia altezza per attività commerciali.
La scelta di una planimetria variegata giustifica la caratteristica struttura a moduli sovrapposti che, con un equilibrato gioco di sporgenze, sottolinea la varietà dei prospetti con un ritmo di crescente trasformazione verso l'alto, culminando con il tetto pensile. Impossibile non notare, infine, i ricorrenti elementi decorativi tipici della progettualità di Luzi e degli edifici dell'impresa Manolino, ovvero il largo impiego del mattone a vista con posa "a coltello" (atta a mostrare l'incavo volutamente lasciato vuoto) e l'ampio uso di moderne ringhiere in vetro armato.
Poco dopo Piazza Pitagora, su Corso Orbassano sorge il Parco Rignon: un parco urbano di 46.200 m², originariamente parco privato della famiglia Provana di Collegno, ultimi proprietari della Villa Amoretti presente al suo interno, attualmente è di proprietà della città di Torino. Il parco, "punto nevralgico" della città e con tre secoli di storia, è principalmente delimitato da Via Filadelfia a Nord e da Corso Orbassano ad ovest. Importante è il suo giardino liberty, ampliato da Chevalley nel 1906. Il parco, frequentato soprattutto per la Biblioteca, ospitata nella Villa, in estate è sede di eventi musicali e di altre manifestazioni di quartiere; è stata sede di lavori del Teatro Stabile e di varie importanti attività artistiche. Nel parco vi sono anche dei giochi per bambini ed una bocciofila.
Villa Amoretti, costruita nel 1760, fu acquistata dal comune il 20 ottobre 1970 insieme al parco che la circondava e trasformata in biblioteca civica. Nel 2004 è stato aggiunto un nuovo padiglione sul retro della villa per ospitare la nuova sede della biblioteca. Nel 1650 era ancora una semplice cascina, quando l'acquistò Giambattista Amoretti, giovane prete ligure divenuto poi elemosiniere e diplomatico presso la corte ducale di Carlo Emanuele II. Intorno al 1760 la commenda fu sostituita da una villa in stile neo-classico, costruita su progetto di Plantery; nel 1833 la proprietà passò al conte Paolo Luigi Rignon , da cui prese il nome. Nel 1912 il suo discendente Felice Rignon, già sindaco di Torino e senatore del Regno d'Italia, la donò al Comune di Torino. La villa attuale fu edificata dal nipote Giambattista di Osasio. Carlo, ultimo marchese di Osasio, ebbe una sola figlia, che morì nel 1807 lasciando la villa in eredità ai Guasco di Castelletto, famiglia della madre, e infine passò ai Provana di Collegno. Pochi anni dopo la villa fu acquistata dai conti Rignon. Il conte Vittorio Rignon, proprietario unico nel 1899, la fece ristrutturare: abbatté i rustici a lato della villa, fece ingrandire il parco e costruire le nuove scuderie e l'arancera.
Secondo il progetto recentemente approvato dalla Regione Piemonte, la zona sarà interessata dai lavori della Linea 2 di metropolitana, il cui secondo lotto prevede la realizzazione della fermata Parco Rignon.
La costruzione del Santuario di Santa Rita, cuore spirituale e sociale del quartiere, è legata alla figura del giovane don Giovanni Baloire, militare nel corpo di Sanità, che nel 1916 si trovava aquartierato nella scuola elementare Mazzini, presso il nuovo ospedale militare, ed ebbe modo di osservare il nuovo quartiere in espansione. Finita la guerra, fu nominato nel 1919 vice-parroco nella parrocchia di San Secondo a Torino, dove era già presente un culto di Santa Rita da Cascia, santificata da papa Leone XII meno di un ventennio prima. Baloire insistette per titolarle un santuario presso questa area, perché le allora chiese di Crocetta e di Lingotto erano troppo lontane per gli abitanti delle poche case e delle cascine della zona.
Con l'appoggio di monsignor Pinardi, parroco di S.Secondo, il sostegno e il sostanzioso aiuto dei devoti della Compagnia di Santa Rita, il progetto venne approvato dal vescovo nel 1925. Il comune di Torino concedette un'area prima di 5000 e poi di 10000 m2 prospiciente la piazza che con delibera dell'11 aprile 1928 sarà ufficialmente intitolata a Santa Rita da Cascia. I lavori cominciarono il 19 maggio 1927 e terminarono nel 1933 con la costruzione del campanile. L'intera chiesa, completa degli arredi interni e dell'organo, sarà ufficialmente consacrata solo l'11 maggio 1957. L 'autore del progetto, in stile neo-gotico francese, era l'architetto salesiano Giulio Valotti, già celebre per la progettazione della chiesa di Gesù Adolescente in Torino, il santuario del Selvaggio a Giaveno, numerosi istituti salesiani in Italia, e l'ampliamento della basilica di Maria Ausiliatrice e dell'Oratorio Valdocco di Torino. Ogni sera del 22 maggio, ricorrenza della Santa, si svolge la tradizionale processione per le vie del quartiere che attira centinaia di persone anche esterne al quartiere. La piazza del Santuario domina oggi una zona ricca di negozi, pubblici esercizi e a breve distanza il mercato rionale su Corso Sebastopoli.
Altra istituzione religiosa in zona, è l’Istituto Gesù Bambino in Via Monfalcone 28, costruito alla fine degli anni cinquanta su progetto di Giorgio Raynei in stile neo-liberty come succursale dei Pii Istituti Maria SS. Consolatrice e Gesù Bambino; la struttura, che ospita oggi una scuola elementare e materna con annessa cappella, rappresenta un significativo esempio di integrazioni di preesistenza eclettica con architetture moderne, tra le prime e più rilevanti testimonianze della corrente neo-liberty.
Il percorso finisce in corrispondenza della struttura progettata dal danese Per Kirkeby Opera di Torino che segna l'inizio del secondo percorso nel quartiere e intorno a cui ci si può riposare sulle panchine ammirandone il gioco metafisco di luci e ombre.
Mangiare a Santa Rita: etnico o pesce? Per il primo sicuramente Ristorante Indiano Jaipur in Corso Orbassano, 230 (aperto tutti i giorni a cena e la domenica a pranzo) che a differenza degli altri ristoranti indiani di Torino a cui lo paragono per la qualità del cibo (Gandhi, Shri Ganesh e Passaggio in India), è altrettanto buono ma con una gestione più familiare e una location più semplice tanto da considerarlo una trattoria, con l'accezione più positiva del termine. Il cibo è molto buono e con i sapori veri della cucina indiana; i prezzi sono contenuti con una buona scelta tra menù vegetariani, di carne, pesce o misti e le porzioni giuste. Un plauso alla gentilezza dei gestori che confermano la gradita familiarità del locale.
Per il pesce Osteria Civassa in Via Castagnavizze, 7 (chiuso la domenica e il lunedì) versione più rustica e low-cost del tempio del buon pesce - Ristorante Civassa - in Borgo S. Paolo; nel locale di Santa Rita il pesce è altrettanto buono, ma con un occhio particolare alla spesa che rimane compresa per gli antipasti e primi tra i 7 e 10 euro e i per i secondi tra gli 8 e 14 euro: pochissimo considerando che si mangia pesce… buono! Notevoli l’antipasto misto con finissima di polpo, carpaccio di spada e salmone con crostini e burro e sgombro marinato al pepe verde (10 euro), i coralli freschi ai totani, gamberi e scalogno (7 euro), i fusilli sempre freschi con asparagi e gamberi (7 euro) e la tagliata di pesce spada al ginepro (8 euro).
Rimanendo in tema gastronomico Santa Rita offre un vivace mercato rionale che a prezzi e assortimento viene subito dopo quello di Porta Palazzo e Corso Racconigi, ottime panetterie tradizionali come il Panificio Pasticceria in C.so Orbassano, 165 che sforna ogni giorno tanti pani diversi (vd. calendario settimanale) e una moltitudine di prodotti da forno dolce e salati e la Gastronomia Gallo in C.so Sebastopoli, una gioiello-gastronomia d’altri tempi per ricchezza delle proposte in termini di presentazione dei piatti e tipologie merceologiche: non bisogna guardare i prezzi (insalata di polpo a 100 euro al kg1) per concedersi un lussuoso pasto take-away.
A Santa Rita in Corso Sebastopoli, 190 ha aperto da qualche anno la prima filiale (oggi tra Torino e provincia le filiali sono ormai 5) di quella che resta a mio avviso una delle migliori gelaterie di Torino, pur non essendo nata qui ma a Rimini: La Romana. Le materie prime, a partire dal latte fresco, sono di ottima qualità e i gusti proposti davvero eccezionali: sui tutti 150 anni dell’unità d’italia(crema, nocciola e gianduja), Ricotta e fichi caramellati, Bacio di dama, Mascarpone al caffè, Pere williams. Il cono piccolo (che tanto piccolo non è) continua a costare 1,80 euro ed è servito su cialda; anche qui si usano le carapine per conservarlo e mantecare leggermente il gelato, per poterlo gustare alla giusta consistenza. Il profumo di crèpes che si sprigiona spesso dalla gelateria, fa pensare che anche queste siano molto buone ma, personalmente, non le ho mai provate; le torte gelate ottime d’aspetto e gusto completano il giudizio spassionato per questo gelato d’adozione.
Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 131 a pag. 135
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