lunedì 12 maggio 2014

Falchera: vecchi (e nuovi) progetti di una moderna (ma vecchia) periferia



La Falchera (Farchera in piemontese) è un quartiere della VI circoscrizione di Torino, situato nell'estrema periferia nord della città e delimitato a nord e nord-est dalla Tangenziale Nord, a est e sud-est dalla ferrovia Torino-Milano (Stazione Torino Stura), a ovest dal raccordo autostradale Torino-Caselle e a sud dalla ferrovia Torino-Milano e dal torrente Stura di Lanzo. Sorta in un territorio a vocazione originariamente agricola e pastorizia (come testimoniano le molte cascine presenti in loco), la Falchera confina con i comuni di Mappano (lato nord) e Settimo Torinese (lato est) e con i quartieri di Villaretto (lato ovest) e Pietra Alta (lato sud). Per quanto riguarda la sua urbanizzazione, la zona risulta suddivisa in tre borgate (Borgo Vecchio, Falchera Vecchia e Falchera Nuova), che da Strada Provinciale di Cuorgnè si sviluppano in direzione est. Il versante ovest, dal canto suo, ha conosciuto una minore espansione urbanistica e architettonica (per lo più lungo Strada della Barberina) e presenta ampi tratti di territorio a tutt'oggi non urbanizzati.



Prima del secondo dopoguerra, il centro abitato del quartiere si sviluppava principalmente lungo Strada Provinciale di Cuorgnè, nella zona oggi nota come Borgo Vecchio, che contava un piccolo numero di case rurali, alcuni esercizi commerciali (botteghe artigianali, negozi di generi alimentari, un'osteria), una scuola elementare (la vecchia scuola di Ponte Stura, costruita nel 1898) e alcuni vecchi cascinali, fra i quali le cascine Gli Stessi (ormai demolita per far posto alla Falchera Nuova), le Ranotte (fra viale Falchera e via Tanaro), la Taschera (lungo Strada Cuorgnè) e la Falchera (anch'essa lungo la provinciale di Cuorgnè). Proprio a quest'ultimo edificio, risalente ai primi del Settecento e di proprietà della famiglia Falchero, deve il nome l'intero quartiere. Grazie all'ubicazione lungo la strada provinciale, il Borgo Vecchio era un punto sia di transito sia di sosta per quei commercianti che, con i loro carretti, portavano le merci dal basso Canavese ai mercati della città. Lungo la provinciale, inoltre, passava l'antica Canavesana (detta anche Tramway Torino-Leinì-Volpiano a vapore) che, dal 1883 al 1929, collegava la cintura nord di Torino al resto della città.



Al di là del Borgo Vecchio, vi erano poi altri edifici siti sia ad est sia ad ovest della strada provinciale, in particolar modo nel quadrilatero formato dalla ferrovia Torino-Milano, via Cuorgnè, strada Barberina e strada dell'Antioca e, a est, nell'area circostante le cascine Ranotte e Gli Stessi. In particolare quest’ultima, anche nota come Gli Istesi o cascina della Mensa Arcivescovile di Torino, di origine settecentesca e ancora attiva alla fine degli anni sessanta, venne abbattuta nei primi anni settanta per far posto al nuovo quartiere. A pochi passi dalla cascina, invece, si stendeva un boschetto molto fitto e al suo interno un piccolo specchio d'acqua, chiamato da tutti "laghetto", dal quale spesso si attingeva l'acqua per dissetarsi; nei medesimi anni, tuttavia, al posto del laghetto venne costruito il Centro Commerciale di Falchera Nuova, ancora oggi presente lungo via degli Abeti.

All'indomani della seconda guerra mondiale, di fronte alle necessità di "incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori", il Comitato di Attuazione dell'INA-Casa acquistò l'area a nord della ferrovia, ampiamente non urbanizzata, e sotto la direzione dell'architetto e urbanista Giovanni Astengo realizzò un quartiere ex novo, a tutti noto come la Falchera (oggi Falchera Vecchia). Costruito su terreni agricoli ai bordi dei confini comunali oltre la Stura, il nuovo quartiere fu progettato per essere un’unità satellite di 1.446 alloggi, del tutto autosufficiente (condizione rafforzata dalla posizione periferica rispetto alla città): la concretizzazione delle teorie sull’unità di vicinato, in quel periodo al centro dell’ampio dibattito che occupava gran parte della pubblicistica architettonica e urbanistica italiana. 


Il piano dell’insediamento fu redatto dagli architetti Giovanni Astengo (capogruppo), Sandro Molli Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco e Aldo Rizzotti, già autori della proposta di sviluppo urbano di Torino lungo una direttrice nord-sud presentata nel 1947 nel Piano regionale piemontese. I blocchi residenziali, di altezza massima pari a tre piani fuori terra, erano disposti secondo una linea spezzata che generava una serie di corti aperte e che cercava la massima esposizione a sud delle facciate. Il piano definiva anche il tipo di muratura (laterizio a vista) e di copertura (a falde in coppi) degli edifici, richiamando i miti della tradizione locale come delle coeve esperienze nordeuropee, rielaborati in chiavi diverse dai vari professionisti, oltre agli stessi autori del piano, chiamati a progettare i singoli blocchi, tra gli architetti più riconosciuti e attivi del periodo: Ettore Sottsass Sr., Gino Becker, Augusto Romano. Tradizionali erano anche le tecniche costruttive, dettate – tra l’altro – da principi di economia di realizzazione. Il piano, consegnato nel 1951, venne successivamente fatto rientrare all’interno di un piano di ricostruzione approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1954. Il carattere autonomo del quartiere, enfatizzato nel progetto iniziale dalla presenza di negozi, bar, uffici, un cinema, scuola, chiesa, si tramutò presto però in emarginazione dalla città, di cui doveva essere avamposto nel suo sviluppo verso nord. 


Attorno alla piazza, sul lato est, venne inaugurata successivamente nel 1957 la Parrocchia di San Pio X, con annesso l'ampio oratorio a tutt'oggi esistente, e negli anni furono realizzati diversi servizi quali, ad esempio, la scuola materna e la scuola elementare Antonio Ambrosini. Culturalmente avanzato, il progetto non incontrò però il gradimento di coloro che vi si insediarano visti i problemi di collegamento con la città e l’impossibiltà (vista l'effettiva carenza di strutture e servizi) di praticare l’autosussistenza. Dal punto di vista urbanistico, i nomi delle vie furono curiosamente ispirati al mondo delle piante, escludendo rispetto a questa logica solo il viale e la piazza centrali (viale Falchera e piazza Giovanni Astengo), oltre all'area sud-est del quartiere (quella circostante le cascine Ranotte), di impianto parzialmente ante-bellico. Quest'ultima area, in effetti, non fu interessata dal Piano INA-Casa e con l'andare degli anni si è sviluppata in maniera diversa rispetto al resto della Falchera Vecchia, essendo composta, fra l'altro, anche di alcune villette a schiera e di condomini di più recente costruzione (il tratto finale di via Tanaro, ad esempio, risale ai primi anni novanta). 



Altro intervento storico architettonicamente significativo in zona fu la costruzione delle case operaie SNIA Viscosa: primo villaggio operaio di Torino, parte del grande stabilimento per la produzione di fibre sintetiche della Società Nazionale Industria Applicazioni Viscosa (SNIA Viscosa) voluto dal finanziere biellese Riccardo Gualino. La Snia, già Società Italiana di Navigazione Italo-Americana, fondata nel 1917 da Gualino con Giovanni Agnelli e diventata poi la più importante produttrice di filati sintetici in Italia, avviò nel 1924 la costruzione del nuovo insediamento produttivo alle porte di Torino, nei pressi della programmata autostrada per Milano, che comprendeva fabbriche e uffici, e le abitazioni per gli operai. 


Sintesi tra le aspirazioni paternalistiche dei villaggi operai di fine Ottocento e i principi di organizzazione scientifica del lavoro, il progetto iniziale prevedeva la costruzione di 11.000 vani, destinati ad accogliere 15.000 tra operai e dipendenti diversi, dislocati in edifici distinti, lontani dalla città. In corso d’opera il villaggio fu poi drasticamente ridimensionato: il numero di vani scese a 576, per circa 800 dipendenti secondo il progetto dell’ingegnere Vittorio Tornielli, che vide la realizzazione di sedici case disposte a scacchiera di quattro piani ciascuna, con quattro alloggi di dimensioni minime per piano. Ambizioso nei suoi intenti, nella realtà il villaggio Snia scontò duramente la mancanza di attrezzature primarie (i servizi agli abitanti consistono in una chiesa, un asilo, un lavatoio e pochi negozi per la vendita dei generi di prima necessità) e soprattutto il forte isolamento rispetto al resto della città. Una separazione comune anche al quartiere Falchera Vecchia, di qualche anno successivo.


 
Nei primi anni settanta, a seguito del costante aumento demografico in città, il quartiere della Falchera venne ampliato nei suoi confini settentrionali, realizzando così un nuovo nucleo urbano a tutti noto come Falchera 2 o Falchera Nuova. Caratterizzata da edifici parzialmente a schiera (di 4 piani) e parzialmente a torre (di 10 piani), disposti in maniera lineare e dalle facciate rosse o bianche, la Falchera Nuova conobbe uno sviluppo urbanistico e architettonico diverso da quello della Falchera Vecchia (utilizzando per lo più sistemi di prefabbricazione); uno sviluppo che, come nel caso dell'INA-Casa per Falchera Vecchia, fu strettamente vincolato alle richieste Gescal e IACP. Già negli anni settanta il nuovo quartiere si dotò di strutture scolastiche e di servizi sociali e commerciali (lungo via degli Abeti) e nel 1976 inaugurò la Parrocchia di Gesù Salvatore.



Nell'area a nord-est della Falchera Nuova, in una porzione di territorio mai edificato, si stendono i cosiddetti laghetti della Falchera, due grandi specchi d'acqua artificiali che, assieme ai campi circostanti, costituiscono l'estremo confine nord-est del quartiere, a ridosso della Tangenziale Nord. È interessante notare che questi laghetti non sono sempre esistiti, ma come il resto della Falchera fanno parte di un processo evolutivo che ha accompagnato la storia del quartiere. Fino alla fine degli anni sessanta, in effetti, il terreno su cui essi sorgono si presentava come una grande spianata di terra in superficie; il territorio, tuttavia, è sempre stato molto acquitrinoso e ricco di acque sorgive nel sottosuolo. Al momento di costruire la Falchera Nuova, poco più a sud dell'area in questione, ci si rese conto che il terreno presentava delle difformità in fatto di livelli, cosa che rendeva difficile l'edificazione dei nuovi caseggiati. Si pensò allora di ovviare all'inconveniente estraendo terra e ghiaia da riporto dalla spianata a nord-est, così da riutilizzarla per livellare la superficie del nuovo quartiere in costruzione, portando quindi alla nascita degli odierni laghetti. La terra e la ghiaia rimossi produssero, infatti, un invaso molto grande nell'area di estrazione, facendo affiorare in superficie parte dell'acqua proveniente dal sottosuolo. Alla formazione dei laghetti, inoltre, contribuirono anche gli scavi per la costruzione della tangenziale nord, seguendo un processo simile a quello descritto per la Falchera Nuova. Nel corso degli anni, purtroppo, l'area dei laghetti è stata abbandonata all'incuria ma, così come per il resto della Falchera, è previsto nei prossimi anni un progetto di riqualificazione dell'intera zona, che dovrebbe vedere, almeno nelle intenzioni, la nascita di un parco urbano attorno ai laghi.



Fra i servizi dedicati alla cultura e all'informazione va  segnalata in particolare la Biblioteca Civicadi Falchera intitolata a Don Lorenzo Milani, che un tempo aveva sede in piazza Astengo - ex piazza Falchera, e che dal 28/3/2014 - data dell'ufficiale inaugurazione – è stata trasferita in via dei Pioppi 43, in un'ala un tempo appartenuta alla scuola elementare Antonio Ambrosini ed oggi completemante ristrutturata), e il giornale Gente di Falchera, un periodico locale che, dal 1993, offre uno strumento di espressione e coinvolgimento riguardo alle vicissitudini del quartiere. Nell'ambito dei servizi sociali offerti ai giovani va ancora ricordato il Centro per il Protagonismo Giovanile El Barrio (ospitato nella vecchia scuola di Ponte Stura in Strada Cuorgnè 81), spazio di "creatività e socializzazione" dedicato a "musica, arte, creatività, solidarietà internazionale, stili di vita, sviluppo sostenibile", nato nel 2002 sulla base di un parternariato tra privato sociale e Settore Politiche Giovanili della Città di Torino. I soggetti gestori sono rappresentati dalla  Cooperativa CISV Solidarietà, che dal 1994 conduce esperienze di solidarietà internazionale e di educazione allo sviluppo, e dall’Associazione M.I.A.O. Musica Internet Arte Oltre, che promuove la co-progettazione, l’aggregazione e la cultura per i giovani attraverso la musica, la gestione di una web radio (www.radiodigitale.info), l’organizzazione di eventi artistici e musicali (concerti, dj set, performance, etc.) e il lavoro in rete con altre realtà e associazioni di giovani. Grazie alla sua peculiare pianta urbanistica, la Falchera gode, poi, di molti spazi di verde pubblico, ai quali vanno aggiunti due parco giochi attrezzati, rispettivamente a Falchera Vecchia, in via delle Betulle, e Falchera Nuova, in piazzale Volgograd.



A causa della sua posizione estremamente periferica e isolata, la Falchera rimane tuttavia un territorio di poco passaggio per i non residenti, che l'attraversano principalmente da Strada Provinciale di Cuorgnè in direzione Torino o provincia. Questo, in sostanza, è dovuto allo sviluppo stesso del quartiere, che, in gran parte racchiuso nel quadrilatero ferrovia-autostrada-tangenziale-strada provinciale, è accessibile quasi esclusivamente dalla provinciale di Cuorgnè, se si esclude un accesso più indiretto che, tramite via Toce e un'appendice di via degli Ulivi, la collega a Settimo Torinese (attraverso un'area in parte agricola e in parte industriale): oggi, infatti, il quartiere si raggiunge imboccando un lungo viale fiancheggiato da tigli dalla strada provinciale per Cuorgnè, ma presto dovrebbe essere aperto un secondo accesso da corso Romania. Nel gennaio 2011 la Falchera è stata inserita dalla Città nel processo di trasformazione per la riqualificazione fisica, ambientale, funzionale e sociale dell'area Nord. Si tratta di un complesso di interventi che interessano gli spazi pubblici, gli edifici a servizio della collettività, la qualità ambientale e gli spazi verdi: nell'ambito di questo processo di trasformazione si inseriscono il risanamento dei laghetti (che prevede la sistemazione a verde pubblico attrezzato e la realizzazione di percorsi pedonali e ciclabili, aree di sosta, aree gioco) e il già citato trasferimento della biblioteca dalla piazza centrale alla nuova sede in via dei Pioppi 43, in un'area più baricentrica del territorio, facilmente raggiungibile anche da altre parti della città per la vicinanza della stazione FS TO-Stura, che in 15 minuti collega col Lingotto, e del capolinea della linea 4 GTT.



Si può fare un pasto genuino e tradizionale in zona presso la sopraccitata cascina Falchera che si trova  sul lato ovest di Strada Provinciale di Cuorgnè (n° 109). In origine la cascina apparteneva alla famiglia Falchero, che a partire dalla metà del Seicento fu tra le famiglie di maggior prestigio all'interno della Parrocchia di Lucento (comprendente un ampio territorio tra la Dora e lo Stura, oltre una parte dell'Oltrestura). Gestita a lungo dai Falchero, di cui si ricordano ad esempio i fratelli Giacomo e Francesco, proprietari nel 1790, col passare dei secoli la cascina cambiò proprietà finché, fra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo, l'Ufficio Tecnico del Comune di Torino modificò pesantemente il complesso rurale, allestendo al suo interno laboratori botanici e spazi didattici (a cura dell'Assessorato all'Ambiente in collaborazione con l'Assessorato all'Istruzione). Attualmente la Cascina Falchera ospita il "Centro di Cultura per l'Educazione all'Ambiente e all'Agricoltura della Città di Torino", una fattoria didattica con un'area dedicata all'allevamento e una alla coltivazione, un laboratorio di trasformazione alimentare, spazi polifunzionali e ricreativi, e una sala riunioni. Fanno inoltre parte della struttura un ristorante "La Dispensa", aperto venerdì sera, sabato pranzo/cena e domenica a pranzo con cucina tipica piemontese alla carta e un ostello.


Ritornando, invece, verso la città è d’obbligo una sosta, in particolare sotto Natale o Pasqua, da Gilber in via Cavagnolo, 18 che produce dal 1965 biscotti, panettoni e colombe (con la caratteristica glassatura di nocciole e mandorle) a Torino; nel negozio aziendale si possono trovare  biscotti di produzione propria (savoiardi, granellati, anicini, novara, amaretti, nocciolini e torcetti), cioccolato e altri prodotti tipici piemontesi di panetteria/ pasticceria artigianale che Gilber rivende.

Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

mercoledì 30 aprile 2014

Le Vallette: una periferia tutta d’un pezzo

Le Vallette (Valëtte in piemontese) è un quartiere della V Circoscrizione di Torino, situato nella periferia nord-ovest della città e delimitato a nord da strada di Druento e via Traves, a est corso Cincinnato, a ovest da via delle Primule e a sud da Barriera di Pianezza.
Il nome deriva da un toponimo medievale, ossia le Vallette di Aviglio, che a sua volta si riferisce ad un insediamento romano della famiglia patrizia Aviglia; da questo toponimo deriva il nome della cascina sul cui podere furono costruite, a partire dal 1958, le case popolari del quartiere: una cascina, a corte chiusa e con pianta a “C”, di origine seicentesca che da il nome al quartiere e ancora oggi è destinata ad attività agricole con la produzione di ortaggi e di fiori grazie all’attività instancabile di Wilma Stella, presidente della sezione Coldiretti di Torino, che qui ci è nata e ha sempre vissuto dovendo però nel tempo spostare le sue coltivazioni dell’area agricola metropolitana fra Collegno e Pianezza; ma la sede dell’azienda l’ha voluta mantenere alle Vallette, come simbolo di resistenza.

Nel 1816 la cascina era di proprietà dei Savoia e viene assegnata in dote a Marianna d’Asburgo, la quale la vende poco tempo dopo a Carlo De Filippis; per tale motivo nel Catasto particellare Gatti del 1820 viene denominata “Cascina Regia”. In quel periodo la cascina risulta composta da case rustiche, cortile, orto, prati e campi. Nel 1860 passa di proprietà a Alessandro Franchi Verrey, insigne studioso, che la trasforma in cascina modello con piantagioni di gelsi, allevamento del baco da seta e apicoltura. Quando la famiglia si estingue, la cascina viene acquistata dalla contessa Rissetti. Nella prima metà del XX secolo si registra un ampliamento che sostanzialmente ne raddoppia l’estensione, come è dimostrato dalla Carta I.G.M. del 1935.
Successivamente, per far posto alle attuali costruzioni e alla strada, sono stati demoliti la stalla (che ospitava circa 200 capi di bestiame), il fienile e il porticato. Oggi rimane solo la parte nord della cascina che risulta caratterizzata da un impianto planimetrico a “C”. Particolarmente interessanti sono i casi da terra (depositi di prodotti e attrezzi agricoli) che si affacciano sulla corte interna con grandi archi su pilastri in mattoni a vista.

L’altra grande cascina del quartiere, ora in completo stato di abbandono, è la cascina Bianco, edificata probabilmente nel 1724, su una grangia cinquecentesca distrutta durante l’assedio di Torino nel 1706. Dopo diversi passaggi di proprietà, la cascina viene acquistata dall’avvocato Carlo Emanuele e da Giovanni Battista Bianco, figli del banchiere Alessandro di Torino.
Durante l’assedio di Torino la cascina fu saccheggiata e distrutta. Dopo la ricostruzione avvenuta probabilmente nel 1724 come attesta un’incisione sull’arcata del fienile, nella cascina Bianco fu impiantata, negli anni ’60 del XVIII secolo, da Domenico Rubietto, una filatura da seta.
Nella Carta topografica della caccia, datata 1762, l’edificio presenta una planimetria a “C”, con la manica lunga rivolta verso la vicina bealera.
Nel 1790 l’architetto Amedeo Grossi la rileva come «il Bianco cascina dell’Illustrissimo sig. Conte di Sandigliano sita vicino alla Chiesa parrochiale di Lucent». In quel periodo l’edificio è inserito in un paesaggio agricolo costituito da campi, prati e dal corso delle bealere Naviglio Nuovo e Vecchio.
Nella prima metà del XX secolo alle costruzioni storiche della cascina si aggiungono ulteriori corpi di fabbrica anche isolati nella corte interna e nella seconda metà dello stesso secolo si registrano significative variazioni: la cascina viene  frammentata in due unità abitative, con altrettanti proprietari, e ampliata con nuovi corpi di fabbrica. Attualmente il nucleo più antico versa in stato di abbandono e si presenta in cattivo stato di conservazione, mentre la restante parte, dopo diversi ampliamenti e ristrutturazioni, è adibita a uso residenziale.

Edificata come cascina Brucco nella prima metà del XVIII secolo, è stata eretta a villa dopo il 1740 probabilmente su progetto di un allievo dell’architetto Filippo Juvarra. Fu trasformata in casa di cura nel 1851 dal farmacista Gabriele Grosso per volere del nuovo proprietario, il banchiere Andreis. Attualmente l’edificio, di proprietà privata, è ancora adibito a casa di cura. Villa Cristina, localizzata nell’area denominata “Feudo di Lucento”, sorge intorno al 1740 sulla preesistente cascina Brucco, dal nome della famiglia che la possedeva.
Nella Carta topografica della caccia del 1762, la Cascina Brucco, viene rilevata come corpo di fabbrica a pianta rettangolare con maestosi giardini e corte chiusa. Il paesaggio d’intorno è costituito da campi, prati, strade e dal braccio della bealera (canale d’irrigazione) Putea che scorre nei pressi. La villa, probabilmente su progetto di un allievo dell’architetto Filippo Juvarra, viene costruita intorno al 1740. Al suo interno trova spazio una cappella che faceva parte della precedente cascina Brucco. Nel 1849 il banchiere Andreis, nuovo proprietario, incarica il farmacista Gabriele Grosso della trasformazione della villa in casa di cura. Il cambiamento di destinazione d’uso avviene nel 1851. Già nel decennio successivo, come attestano le mappe del Catasto Rabbini del 1866, l’impianto architettonico di villa Cristina è interessato da interventi di ampliamento con la costruzione di nuovi corpi di fabbrica. Altri ampliamenti avvengono nel corso del XX secolo, fino agli anni ’70, quando il complesso ha assunto la forma che ancora oggi vediamo. E’ di grande interesse il prospetto dal disegno barocco con paraste, finestrature, aperture ad oculo, campanile a vela, con orologio e torretta centrale. Attualmente l’edificio, di proprietà privata, è ancora adibito a casa di cura.


La precedente lottizzazione del podere della cascina Vallette permette lo sviluppo di una piccola comunità di ortolani che ha come luogo di ritrovo una bocciofila locale. Il piano urbanistico del quartiere data 1957 e si deve all'ing.Gino Levi-Montalcini, che curò anche la progettazione di vari edifici di edilizia popolare. Rispetto al progetto originale vi furono tuttavia delle variazioni che impattarano negativamente sulla socialità del quartiere: gli impianti sportivi, sanitari e culturali previsti non vennero costruiti, come anche una parte delle case; vennero costruite solo successivamente alcune scuole in più per l'alta media di bambini per famiglia.
L'assenza di strutture di servizio pubbliche fu compensata, solo in seguito, dalle strutture associative e ricreative della parrocchia, intitolata alla Sacra Famiglia, che spicca alta sulla piazza con il suo rivestimento a mattoncini di pietre grigie. Precedentemente ai primi insediamenti, una parte delle case viene utilizzata come villaggio internazionale per i giornalisti e gli sportivi arrivati a Torino in occasione dei festeggiamenti per il centenario dell'Unità d'Italia nel 1961. I primi affittamenti delle case sono della fine del 1961, e in dieci anni il numero di famiglie arriverà a essere circa 2600, per una popolazione di circa 13000 persone. Nel corso degli anni Settanta si aggiungono alcuni servizi come l'anagrafe, il consultorio e il centro d'incontro che vengono creati intorno a quello che è sempre stato il centro del quartiere e da qualche anno è piazza Montale. Negli ultimi la piazza ha subito un significativo restyling architettonico e urbanistico con la collocazione sulla stessa di 16 globi posti sulla cima di altrettante colonne di mattoni, agli estremi due globi in maggiori, in pietra, per altrettante fontane.

Sulla piazza oltre alla chiesa si trovano l’oratorio dedicato a Don Orione e un centro di incontro polifunzionale a perto nel 2003: CAOS (Officina per lo Spettacolo e l’Arte Contemporanea) gestito da Stalker Teatro.Dalla parte opposta della piazza , oltre le panchine in pieno sole, l’ufficio postale con la facciata completamente graffittata. Dietro il consultorio e l’ufficio postale, doce c’erano garage e depositi, ora resta un altro teatro, l’ARCI - Il Muretto, teatro sociale di strada, anch’esso sufficientemente graffitato.

Una parziale rivalutazione dell’area è in corso negli ultimi tempi, anche grazie alla costruzione del nuovo Juventus Stadium e di alcune aree commerciali che, unite alla volontà dei residenti di riappropriarsi di spazi e aree prima dimenticate, hanno contribuito a migliorare i servizi dell’intera zona. Di proprietà della società calcistica Juventus Football Club, è sede degli incontri interni della sua prima squadra dalla stagione 2011-2012. Ottavo stadio italiano per capienza con 41 000 spettatori, nonché il primo del Piemonte, esso sorge sulla stessa area del preesistente, e demolito, Delle Alpi – di cui riutilizza parte delle strutture. Prima struttura calcistica italiana priva di barriere architettoniche nonché primo impianto ecocompatibile al mondo, è uno dei tre stadi italiani (assieme al concittadino Olimpico, e all'altro Olimpico di Roma) a rientrare nella categoria 4 UEFA – quella con maggior livello tecnico –, in ragione della quale è stato destinato a ospitare la finale dell'Europa League 2013-2014. Si tratta, inoltre (insieme al Friuli di Udine e al Mapei Stadium di Reggio nell'Emilia), di uno dei pochi catini di Serie A di proprietà del proprio club. Ritenuto tra gl'impianti più avanzati a livello mondiale, lo Juventus Stadium è stato premiato con lo Stadium Innovation Trophy al Global Sports Forum 2012 quale scenario sportivo più innovativo d'Europa; la sua cerimonia d'inaugurazione, avvenuta l'8 settembre 2011, ha vinto il premio come miglior evento celebrativo in Italia ai Best Event Awards Italia.

L'accesso, privo di barriere architettoniche, avviene da quattro ingressi posti sugli angoli, con ampie rampe che seguono il profilo delle collinette verdi sulle quali sorge l'impianto e portano ad un anello che circoscrive lo stadio. La copertura sospesa degli spalti, realizzata in PVC, è sorretta da un sistema di stralli e da due grandi tiranti di 86 metri d'altezza, che richiamano la vecchia struttura del Delle Alpi. Studiata nella galleria del vento, la copertura è stata realizzata ispirandosi al profilo delle ali degli aerei: una struttura di grande leggerezza, realizzata in una membrana in parte trasparente ed in parte bianca, per permettere una visione ottimale del campo, sia diurna sia notturna, ed in grado di garantire il passaggio della luce tramite i lucernari, in maniera tale che sia sufficiente per la crescita dell'erba del campo. Il risultato architettonico finale è quello di un cosiddetto stadio all'inglese, ovvero un impianto comodo, moderno ed economico. Il pubblico è molto vicino al campo, e la visuale della partita risulta ottimale da ogni punto delle tribune, creando un'atmosfera di forte impatto tra i tifosi.

Poco a nord dello stadio, nell’area della Continassa, utilizzata per qualche estate per gli eventi musicali dell’Arena Rock e del Free Village, la Juventus ha intenzione di trasferire a breve la sua sede sociale e il nuovo training center della prima squadra, realizzando un grande centro sportivo che comprenda tutta l’area tra lo stadio e via Traves, rinnovando l’antica cascina per ospitarvi i propri uffici. Per ora nella zona tra via Traves e corso Ferrara rimangono il nuovo Mattatoio di Torino e il Mercato Ittico all’ingrosso, da qualche anno tradseriti in periferia dal centro città.
Il quartiere Vallette o meglio Le Vallette è celebre per i nomi delle sue vie ispirati ai fiori (Primule, Pervinche, Glicine, Ciclamini, Magnolie) e sembra essere uno dei quartieri più verdi di Torino grazie anche ai suoi molteplici viali alberati. L'area verde del quartiere, di grandi dimensioni, è costituita dalla parte nord del Parco Carrara, più comunemente chiamato Parco della Pellerina che  si estende per lo più nei quartieri limitrofi di Parella e Lucento e dal  Parco delle Vallette, recentemente uniti da una pista ciclabile bidirezionale larga 2,5 metri che ha permesso inoltre di completare il collegamento Venaria-Stupinigi attraversoil Parco Ruffini. Un primo tratto congiunge via Pianezza con il Parco della Pellerina; un altro percorso si dirama da questo per connettersi con il parco delle Vallette e da qui la Reggia di Venaria.La lunghezza totale del nuovo percorso è di 1400 metri, che si aggiungono ai 300 già esistenti. Il Parco delle Vallette, il cui accesso principale è all’angolo tra Via delle Primule e Via dei Gladioli, ma ha anche un accesso da via Pianezza, si presenta con una collinetta verde con una siepe a spirale, un anfiteatro e alcune colonne e porte “neoclassiche”: dietro fanno da quinte due ciminiere arancio arruginite, a memoria della grande industria qui presente dagli anni cinquanta agli ottanta.

Abbandonando il quartiere su Via Pianezza (n° 300), si incontra l’ultima presenza del quartiere, il carcere Lo Russo e Cutugno, comunemente noto come “Le Vallette”: presenza spesso scomoda ma non trascurabile se non per il fatto stesso dell’identificazione e la sovrapposizione di carcere e quartiere, con l’ovvio disappunto dei residenti.
La casa circondariale fu costruita nel 1978, a seguito della legge di riforma penitenziaria del 1975, entrando in funzione nel decennio successivo. Con una capienza di circa 1000 detenuti, ed una presenza effettiva superiore di centinaia di unità, comprende una sezione femminile che ospita circa 100 donne. L’intero complesso conta cinque padiglioni, su una superficie di circa 2500 mq, e circa 3500 mq di aree verdi: la destinazione nei settori varia secondo il percorso trattamentale e il regime penitenziario imposto.

La struttura comprende: una sezione “penale”, una sezione femminile, una sezione osservativa per persone affette da patologie psichiche, una sezione ospitante sia detenuti sieropositivi sia sani, in esecuzione di un programma trattamentale noto come progetto “Prometeo”, una sezione con trattamento di custodia attenuata (Arcobaleno), una sezione per collaboratori di giustizia e una sezione di alta sicurezza; inoltre vi sono strutture destinate a un progetto trattamentale di primo livello per detenuti tossicodipendti, strutture sportive, religiose e per le attività didattiche cui sono assegnate persone iscritte ai corsi scolastici istituiti dai CPT che operano all’interno, e persone iscritte ai corsi di formazione professionale, un polo universitario, promosso dalla facoltà di Scienze Politiche, un Centro Clinico e un teatro
Da come si legge sul sito internet dell’istituto: “Pur cronicamente afflitta da una grave condizione di sovraffollamento carcerario e caratterizzata da un grande turn-over, la Casa circondariale "Lorusso e Cutugno" si è da sempre contraddistinta per la sua vocazione al trattamento, dando notevole impulso agli elementi previsti dall'articolo 15 dell'ordinamento penale attraverso i quali (principalmente lavoro ed istruzione) si realizza. Qui, e' stato anche elaborato un variegato e ricco ventaglio di offerte trattamentali il più possibile mirate e aderenti ai bisogni dei ristretti, in modo da alleviare e rendere al tempo stesso proficuo il periodo di privazione della libertà personale.”

Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

http://it.wikipedia.org/wiki/Vallette

mercoledì 26 marzo 2014

Mirafiori Sud: lungo i muri (della Grande Fabbrica) verso un castello (che non c’è più)


Mirafiori Sud (Mirafior Sud in piemontese) è un quartiere della periferia sud di Torino, che ne costituisce la X Circoscrizione.
Confina a nord coi quartieri Mirafiori Nord e Lingotto, a sud con Nichelino e a ovest con Beinasco attraverso il torrente Sangone e ad est con Borgo San Pietro (frazione di Moncalieri). Mirafiori deriva dal nome di un antico castello-reggia sabaudo, andato distrutto. Il quartiere fu poi noto soprattutto per l'impianto industriale della FIAT torinese, in passato molto produttivo, tanto che rese questa zona una delle più popolose della città.

Uno dei quartieri più vasti di Torino, tanto da costituire una Circoscrizione a sé, si può dividere in alcune principali macrozone: l'area occidentale, occupata principalmente dal Cimitero Sud, detto anche Cimitero Parco, che è anche il secondo cimitero della città, e dal raccordo della A55 di corso Orbassano; area stabilimento FIAT, compresa tra corso Orbassano, corso Tazzoli, corso Giovanni Agnelli, corso Unione Sovietica e via Carlo Biscaretti di Ruffìa, via Aristide Faccioli, via Plava, e via Gian Carlo Anselmetti, ed essenzialmente occupata solo da impianti industriali; area residenziale, chiamata il Villaggio, tra Via Biscaretti di Ruffia e Via Plava, nata negli anni sessanta come "Città Giardino" (nome poi assegnato ad un rione del confinante quartiere di Mirafiori Nord), in quanto inizialmente sorta con costruzioni basse, e via via popolata da alti palazzi, durante la crescita occupazionale della Fiat Mirafiori negli anni sessanta, microquartiere delle Cime Bianche, tra via Gian Carlo Anselmetti e corso Unione Sovietica e altro microquartiere compreso tra Corso Unione Sovietica, strada delle Cacce, Via O. Vigliani, Strada Castello di Mirafiori, vasta area verde del Parco Colonnetti, che comprende gli impianti sportivi del CUS Torino e quelli scientifici del C.N.R., sorto sui resti dell'antico Aeroporto di Torino-Mirafiori, altrimenti detto "Campo di Volo Mirafiori" o "Aeroporto Gino Lisa" e infine microquartiere Basse di Mirafiori, rione costituito da case basse e compreso tra via Artom e il confine coi comuni di Moncalieri (via Sestriere) e di Nichelino (torrente Sangone).

La parte occidentale del quartiere fu inizialmente popolata da alcuni insediamenti di una piccola comunità benedettina dell'Ordine cistercense di Staffarda del XIII secolo, presso quella che, qualche decennio dopo, da semplice Grangia diventerà una fortificazione, detta Castello del Drosso, sui confini con il vicino Comune di Beinasco, oggi ancora in buone condizioni.
“Mirafiori” invece, deriva dal Castello di Miraflores, oggi inesistente, quest'ultimo sorto intorno al 1580 sulle rive settentrionali del torrente Sangone, sui resti di una pre-esistente villa detta La Pellegrina, già proprietà di tal Emanuele Filiberto Pingone e rivenduta ai Savoia. Il Castello Miraflores fu quindi donato da Carlo Emanuele I alla sposa Caterina d'Asburgo e di Spagna nel 1585, da cui il nome in spagnolo. Intorno a tale reggia, si formò quindi un piccolo borgo, detto appunto di Mirafiori che nel corso degli anni è stato come inghiottito dai palazzi moderni che qui dagli anni ’50 hanno iniziato a costruire in modo intensivo. Dopo vari momenti di confronto con gli abitanti del quartiere, il Comune di Torino e la Circoscrizione 10 hanno avviato i lavori di riqualificazione per dare da una parte un nuovo volto moderno ma che contemporaneamente mantenesse la tradizione storica di questo incrocio di vicoli a sud di Torino e segnalasse quelli che erano un tempo le attività commerciali e istituzioni educative e culturali.
 
Coeva del borgo sopravvivono  su strada Castello di Mirafiori la cascina Cassotti Balbo (al civico 22) e  la Chiesa della Visitazione di Maria Vergine e di San Barnaba costruita nel 1617, per iniziativa di Vittorio Amedeo I.

La fondazione della chiesa e dell'annesso convento avvenne nel 1617, per iniziativa del duca Vittorio Amedeo I di Savoia. La chiesa nacque come esempio di stile barocco rustico con una facciata in ammattonato senza arricciatura. La pianta è a croce greca, composta da una navata centrale e da due cappelle laterali, quella sulla destra dell'ingresso dedicata a san Bernardo, mentre quella a sinistra a san Barnaba. Presso l'altare di quest'ultima venne sepolta la contessa di Mirafiori, Rosa Vercellana detta la Bela Rosin, il cui blasone venne dipinto sul soffitto. La chiesa venne eretta a parrocchia nel 1724. Una scossa sismica durante il terremoto del 1980 fece crollare il campanile della parrocchia, danneggiando inoltre seriamente parte del convento. Ad oggi è ancora sede di funzioni religiose, anche se sul retro è stata costruita una chiesa parrocchiale più moderna sempre dedicata a San Barnaba.

I poderi più antichi e le botteghe furono costruite lungo la Strada del Castello, delle quali, ad esempio, si attesta la morte di un panettiere durante la peste del 1599. Il Castello cominciò il suo declino già durante le incursioni francesi del periodo 1646-1706, mentre i Savoia decisero di costruire le loro residenze presso le attuali reggia di Venaria e la Palazzina di caccia di Stupinigi, quest'ultima un po' più a sud di Mirafiori. In questo periodo, proprio grazie alla nascente Palazzina di Stupinigi, venne costruito un enorme viale alberato che doveva collegare con il centro città, il cosiddetto "Viale Stupinigi", che diventerà l'attuale Corso Unione Sovietica; è infatti il corso principale che taglia in lunghezza l'attuale quartiere.
Nel 1867 poi, il conte Balbo donò alla comunità parrocchiale un terreno, dove fu possibile creare un piccolo cimitero nel 1876, di cui ne restano ancor oggi tracce tra corso Unione Sovietica e il torrente Sangone. Dal 1884 circa, anche una linea tramviaria raggiunse il piccolo borgo, attraverso una vaporiera della linee per Vinovo-Piobesi, che però verrà dismessa nel secondo dopoguerra.

Il Castello di Mirafiori quindi, cadde definitivamente in rovina sul finire del XIX secolo, ai tempi di Rosa Vercellana, soprannominata la "Bela Rosin", Contessa di Mirafiori-Fontanafredda e moglie morganatica di Vittorio Emanuele II. A causa dell'incuria, e soggetto continuamente alle esondazioni del vicino torrente Sangone, le rovine del Castello furono praticamente abbattute nel 1888-1890, periodo in cui fu completato l'adiacente Mausoleo dedicato alla Bela Rosin.
L’edificio, noto come il Pantheon di Mirafiori, per lo stile neoclassico che ricorda per la forma il Pantheon di Roma, luogo di sepoltura del marito Vittorio Emanuele II, fu costruito tra il 1886 e il 1888 su progetto dell'architetto Angelo Demezzi per volere dei figli di Rosa Vercellana per accogliere le spoglie della madre, più nota come la Bela Rosin. La pianta circolare ha un diametro di circa sedici metri e altrettanti di altezza. All’esterno, il frontone riporta le insegne dei conti di Mirafiori e il motto "DIO PATRIA FAMIGLIA".
Nel 1970 il Comune di Torino acquista il sepolcreto dall'ultima discendente di Rosa Vercellana, Vittoria Guerrieri Gromis di Trana e nel 1972 il parco fu aperto al pubblico. Dopo un periodo di abbandono e atti vandalici, i resti di Rosa Vercellana e dei suoi discendenti sono trasferiti al Cimitero Monumentale di Torino. Tra il 2001 e il 2005 sono stati realizzati i lavori di restauro dell’edificio e sono state apportate alcune modifiche: l'altare è stato spostato nella parte posteriore, il mosaico originale è stato sostituito con un parquet in legno, tranne che nelle nicchie, è stato realizzato un trompe l'oeil nella parte superiore, per ricordare il soffitto a cassettoni e l'apertura al centro della cupola è stata chiusa da una copertura in vetro sormontata dalla croce, a ricordo della destinazione originaria dell'edificio.

Nel 1906, proprio a Mirafiori nacque il primo ippodromo di Torino, nell'area dell'attuale Via Guala. In quell'epoca, fu il cuore di un’ippica di rango e di spessore, diretto da nobili come il conte Giuseppe Tarino do Gropello, il conte Vittorio Balbo Bertone di Sambuy, o il conte Enrico Marone Cinzano, ed ancora Federico Tesio, fino alla lunga permanenza nei consigli d’Amministrazione della stessa famiglia Agnelli, e della prospiciente fabbrica Fiat Mirafiori. L'ippodromo fu poi definitivamente dismesso nel 1958, per lasciare spazio ad un nuovo rione di palazzi.
Nell'inverno 1910-11 nacquero, inoltre, le officine aeronautiche, quindi l'Aeroporto di Torino-Mirafiori (detto anche "Campo di Volo Mirafiori" o "Aeroporto Gino Lisa"), poi utilizzato prevalentemente a scopi militari. Verrà quindi dismesso nel secondo dopoguerra, per lasciar spazio all'attuale area verde del Parco Colonnetti, e coinciderà col passaggio dell'aviazione torinese dapprima all'Aeroporto Aeritalia di Corso Marche (Torino Ovest), poi all'Aeroporto di Torino-Caselle, a nord-ovest della città (1953). Dalla fine degli anni ‘80 su quel territorio sorge il Parco Colonnetti, un parco cittadino di 385.800 m², che, assieme ai vicini Parco Sangone-Parco Piemonte, più il Parco Boschetto di Nichelino, formano una area verde periferica pressoché contigua di oltre 600.000 metri quadrati. Il Parco fu intitolato all'ingegnere e matematico torinese Gustavo Colonnetti e oggi si presenta completamente ristrutturato e dotato di percorsi interni, aree gioco per bambini, un percorso ginnico, fontane ed una vasta area è stata lasciata "selvatica" per permettere il mantenimento della fauna locale. Il CUS Torino ha qui molti dei suoi impianti sportivi principali, inclusa una pista di atletica.

Realtà importante del Parco Colonnetti, proprio all'ingresso del parco all'incrocio tra via Artom e via Panetti, è La Casa nel Parco, una nuova struttura, realizzata da parte del Settore Urbanizzazione del Comune di Torino, nell’ambito del Programma di Recupero Urbano di Via Artom. L’edificio ha una superficie di 400 mq, è suddiviso in due parti collegate da un porticato coperto ed è dotato di ampie vetrate e di un tetto seminato a erba, calpestabile.
La Città di Torino ha affidato la struttura alla Fondazione Mirafiori che a sua volta, con un bando pubblico, ne ha assegnato una parte alla cooperativa 'Il Sogno del Cavaliere' che gestisce La Locanda nel Parco, una caffetteria-ristorante. L'altra parte, invece, è attrezzata per diventare uno spazio di lavoro, di incontro, di condivisione a disposizione di tutte le organizzazioni che lavorano per il quartiere e di coloro che sono portatori di proposte che arricchiscano e stimolino il tessuto socio culturale locale e nello spazio di pertinenza intorno alla Casa sono ospitate iniziative sociali, culturali, artistiche e formative accessibili a tutti che mirano ad accrescere la conoscenza e la frequentazione del Parco Colonnetti, non solo da parte degli abitanti del quartiere, ma di tutta la città e l'area metropolitana sud.

L’altro polmone verde della zona, verso il confine con il comune di Nichelino, è il GOLF CLUB STUPINIGI con oltre 10 mila piante presenti, di 150 specie diverse, distribuite su una superfice di quattordici ettari e molto ben attrezzato per la pratica del gioco del golf.
Il Golf Club è sorto negli anni Cinquanta come driving range, per iniziativa del carrozziere Vittorio Viotti; il sodalizio vent'anni più tardi acquisisce una sua precisa identità con l'arrivo di Lauro Beltrame, il primo presidente, ed un pugno di soci fondatori. Al campo pratica si affianca il percorso a 9 buche; nel 1973 giunge l'affiliazione con il nome di Circolo Golf Stupinigi.
Un circolo a dimensioni contenute che ha potuto contare, però, sull'opera di professionisti del calibro di Alfonso Angelini, Marius Mencagli, Pippo Calì (giocatore del Senior Tour) e Dino Canonica (che vi insegna tutt’ora ) e  che ha forgiato giocatori quali Emanuele Canonica, figlio di Dino, che su questo campo ha costruito il suo drive.

FIAT Mirafiori è il più grande complesso industriale italiano nonché la fabbrica più antica in Europa ancora in funzione. Occupa una superficie di 2.000.000 di mq e al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni. La palazzina degli uffici, che si affaccia su corso Giovanni Agnelli, è un edificio di 5 piani lungo 220 metri, ricoperto di pietra bianca di Finale. Nel suo comprensorio lavorano oggi circa 5.400 operai e l'unica vettura attualmente in produzione è l'Alfa Romeo MiTo.
Lo stabilimento fu progettato fin dal 1936 essendosi ormai rivelato insufficiente il precedente stabilimento della Fiat, quello del Lingotto.
Venne inaugurato il 15 maggio 1939 in presenza di Mussolini stesso, ma quella che doveva essere una cerimonia trionfale del regime, divenne una manifestazione di ostilità verso esso. Il Duce si trovò a parlare in un clima di freddezza dei lavoratori, segnati dal rincaro dei viveri dovuto alla politica dell'autarchia e dal timore dell'imminente guerra, che lo spazientì al punto di abbandonare il palco quando ad una sua domanda rivolta alla folla ricevette risposta solo da poche centinaia di persone sulle 50.000 presenti.
Il primo modello che sarebbe dovuto essere prodotto era la Fiat 700, un progetto rimasto incompiuto a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. La produzione automobilistica partì realmente solo nel 1947 con la seconda serie della 500 A e la rilocalizzazione delle linee della Fiat 1100, precedentemente costruita al Lingotto.

Il 5 marzo 1943 iniziò nell'officina 19 dello stabilimento lo sciopero degli operai. In pochi giorni 100.000 lavoratori incrociarono le braccia: fu la prima grande ribellione operaia che si estenderà presto in tutte le fabbriche del Nord Italia. Passati alla storia come gli "scioperi del marzo 1943", segnarono l'inizio del crollo del regime fascista e rappresentarono il primo, vero e corale episodio della Resistenza antifascista. Danneggiata seriamente dai bombardamenti aerei durante la Seconda Guerra Mondiale, la fabbrica viene ricostruita e ampliata con un progetto di sviluppo che culmina con il raddoppio, ultimato nel 1958. A partire dal dopoguerra lo stabilimento divenne il luogo del grande sviluppo industriale di Torino carico di nuovo benessere, ma anche di grandi tensioni sociali.
Nel 1956 venne inaugurato l'ampliamento chiamato "Mirafiori-Sud", dove vennero localizzate ed ampliate le attività dello stampaggio lamiere e delle lavorazioni meccaniche (motori e cambi), mentre nell'area originale (ora chiamata Mirafiori-Nord) rimasero la lastratura, la verniciatura, l'assemblaggio, le finizioni e la pista di prova, oltre a lavorazioni minori.

Nel 1969 in piena espansione economica una grande agitazione dovuta alla scadenza triennale del contratto di lavoro dei metalmeccanici diede vita all'autunno caldo. Le rivendicazioni contrattuali si unirono alle rivendicazioni degli studenti dando vita ad un movimento che scuoterà l'Italia per oltre un decennio. Nei primi anni 70 lo stabilimento viene aggiornato per accogliere le linee di produzione di un modello molto importante per la gamma Fiat: la berlina 131 che - per rendere onore allo stabilimento che raggiunse l'apice produttivo e tecnologico in quegli anni - venne battezzata dalla Fiat come 131 Mirafiori e fu il primo modello a reintrodurre una denominazione alfa numerica. La 131 venne prodotta dal 1974 al 1983 in 1.513.800 esemplari.

Nell’area industriale oggi dismessa compresa fra corso Orbassano e corso Settembrini gestita da TNE (Torino Nuova Economia) ha preso vita a partire da ottobre 2011 la nuova Cittadella del Design e della Mobilità Sostenibile del Politecnico di Torino. Si tratta di un nuovo importante progetto per il futuro della Città fortemente voluto dagli Enti locali, da TNE e dal Politecnico di Torino che hanno sottoscritto l’accordo di programma che definisce obiettivi, tempi e modalità di realizzazione dell’intera iniziativa. La Cittadella politecnica per la mobilità soddisfa due grandi obiettivi: contribuisce a riqualificare una fetta importante dell’area di Mirafiori inserendola nel più ampio progetto di sviluppo di corso Marche della Provincia di Torino e testimonia anche e soprattutto la ferma volontà degli Enti di continuare a scommettere sul futuro dell’automotive valorizzando al massimo potenzialità e punti di forza di Torino come l’alta formazione, la ricerca, la capacità di innovazione, il design. La costruzione moderna, al n° 178 di corso Settembrini, che si inserisce perfettamente nel contesto industriale preesistente, è stata progettata dallo studio Isola Architetti che hanno ben interpretato l’esigenza di conciliare modernità e funzionalità con il contesto di fabbrica in cui è inserito. Il Centro è composto da tre blocchi per complessivi 7.500 m2 con aule, laboratori e spazi per servizi (dalla mensa alle aule studio) per circa 1.000 studenti. La seconda parte del progetto relativa alla Cittadella della Mobilità prevede la creazione di un campus nel quale potranno essere insediate su una superficie di ulteriori 15.000 m2, nuove attività formative quali ingegneria dell’autoveicolo, centri di ricerca, spazi per incubatori di impresa per nuove start-up e piccole e medie imprese che sceglieranno di operare in partenariato con l’Ateneo.

Il 2 luglio 2007, in un'area riqualificata dello stabilimento di Mirafiori, in via Plava 80, viene inaugurata l'Officina 83, sede del nuovo Centro Stile di Fiat Group Automobiles (Centro Stile FGA), il polo di riferimento per tutte le attività di stile di Fiat Group. Qui vengono concepiti i nuovi modelli dei marchi FIAT, Alfa Romeo, Lancia, Abarth, Maserati, FIAT Professional, Iveco e CNH.
Il Centro Stile FGA, con all’interno 200 persone circa, è organizzato in 9 dipartimenti: FIAT e Abarth Style; Lancia, Alfa Romeo e Maserati Style; Fiat Professional, Iveco e CNH Style; Cross Style; Color & Material; CAS e Pre-Engineering; Workshop e Style Planning.
Il primo stabilimento industriale della Fiat Mirafiori fu costruito nel 1939 e dall’inizio degli anni cinquanta, Torino diventa quindi capitale indiscussa delle grandi ondate di migrazione interna, che l’espansione dell’industria automobilistica richiama soprattutto dalle regioni meridionali. Nell'arco di un decennio, agli inizi degli anni sessanta, la popolazione nel quartiere decuplicò, arrivando a circa 40.000 abitanti.
Nel 1962 il Comune deliberò l'incremento del piano "Torino Casa", con la previsione di costruire circa 800 alloggi da assegnare in locazione. Tra il 1963 e il 1971 l'intervento pubblico di società come Gescal, Iacp e Poste favorì la costruzione di quasi 17000 alloggi. Le aree più popolari-operaie furono soprattutto presso i casermoni di Strada del Drosso e le zone di Via Farinelli, Via Vigliani/Via Artom. L'area di Via Artom, prospiciente il nascente Parco Colonnetti e di proprietà del Comune e dell'Università agraria, fu quindi destinata a edilizia residenziale pubblica; i nuovi quartieri, denominati M22, M23 e M24 comprendevano anche otto edifici di nove piani, costruiti tra il 14 aprile 1965 e il 14 aprile 1966, provvisti di 780 alloggi realizzati con tecnica di prefabbricazione integrale, un brevetto francese già definito "obsoleto" nel paese d'origine. Di questi appartamenti, 87 furono assegnati a famiglie che avevano chiesto un cambio di alloggio, 321 a vincitori di concorso pubblico, 342 a persone trasferite in modo coatto dai baraccamenti delle casermette di Borgo San Paolo (1500 individui, in media 6-7 persone per 35–38 m², con punte anche di 16-17 persone, indigenti, sinistrati, alluvionati del Polesine, ex internati) e dal casermone di via Verdi (dopo la demolizione del quale fu costruito il Palazzo delle Facoltà umanistiche, Palazzo Nuovo). Gli ex baraccati erano per lo più giovani da fuori del Piemonte, immigrati con la speranza di un miglioramento sociale e economico, che con difficoltà riuscirono poi a far fronte agli affitti relativamente alti imposti dal Comune.

Negli anni settanta, le aree del quartiere più popolari-operaie, in primis Via Artom, assunsero una connotazione negativa nell’identità attribuitale dagli altri abitanti del quartiere Mirafiori e del resto della città, poiché caratterizzate da una concentrazione di persone con problematiche sociali, vere e proprie aree isolate fisicamente e socialmente dalle zone circostanti. Erano dunque nati i "quartieri-dormitorio", palazzoni privi di servizi, di scuole, di strade asfaltate, di trasporti pubblici per il collegamento con il resto della città. Tra il 1975 e il 1983, l'allora Giunta comunale torinese di Novelli cominciò a rivolgere attenzione al quartiere, realizzando in particolare spazi di aggregazione e opportunità per gli anziani (bocciofile) e per i ragazzi (campi di calcio, impianti sportivi), scuole dell’infanzia e dell’obbligo, servizi sociali e sanitari, migliori collegamenti con i trasporti pubblici. Dalla fine degli anni novanta si possono individuare rinnovati segni di attenzione dell’amministrazione comunale, attraverso un P.R.U. (Piano di Recupero Urbano) e alcuni interventi che collegano maggiormente il quartiere al territorio circostante,come la costruzione del nuovo ponte sul torrente Sangone e il potenziamento di alcune linee di trasporto pubblico.

Al momento dell’abbattimento dell’edificio di via Garrone 73 (28 dicembre 2003) e dello smantellamento di via Artom 99, 349 alloggi su 780, il 45%, erano ancora abitati dagli assegnatari originari o da un familiare o convivente, subentrato per voltura del contratto di locazione; 349 famiglie per quarant’anni hanno abitato, e molte di queste continuano ad abitare, in via Artom, in cui hanno ormai radici profonde.
Il 2006 fu l'anno di piena riqualificazione del quartiere, e di Torino in genere, grazie alle Olimpiadi Invernali e quindi allo sfruttamento degli impianti sportivi del Parco Colonnetti, di cui rimase il ricordo delle due mascotte, "Gliz e Neve", ancor oggi raffigurate sull'angolo di V. Vigliani e V. Artom. Alla riqualificazione sociale del quartiere, ha contribuito sicuramente l’apertura al n° 102 di Via Onorato Vigliani nell’ottobre 2011 del VOV 102: il primo farmers market di Torino. L'iniziativa è frutto della collaborazione tra Città di Torino - assessorato al Commercio e attività produttive -, associazione Enzo B Onlus e la Coldiretti di Torino ed è aperto dal martedì al sabato, dalle ore 15 alle 19  proponendo una vendita diretta agroalimentare locale.

A breve distanza dal VOV 102, al n° 149 (sempre di Via O.Vigliani) un altro scrigno di delizie: dal 1953 la Pasticceria Racca, una grande pasticceria con numeri di produzione quasi industriali ma con qualità artigianale. La pasticceria nota soprattutto per i suoi ottimi panettoni e colombe, quanto mai morbidi e fragranti, prepara anche ottima pasticceria secca e fresca, tra cui quelli stragionali quali Zeppole di s.Giuseppe, pastiere e cannoli.



Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

http://it.wikipedia.org/wiki/Mirafiori_Sud
 http://www.mirafiorisud.org/

giovedì 13 marzo 2014

Nizza Millefonti. Tra le acque e la Fabbrica: passato, presente e futuro (verso l’alto)

Il quartiere di Nizza Millefonti (Nissa Milafont in piemontese) fa parte, insieme ai quartieri Lingotto e Filadelfia, della IX Circoscrizione, a sud-est della città di Torino.
Compreso tra Corso Bramante a nord, Corso Maroncelli a sud ed il fiume Po a est, Nizza Millefonti è esteso essenzialmente in lunghezza; ad ovest invece, il quartiere costeggia l'adiacente zona Lingotto, con cui confina lungo il polo multifunzionale omonimo, l'impianto eno-gastronomico Eataly, l'Oval Lingotto, la stazione ferroviaria di Torino Lingotto, e il futuro comprensorio - grattacielo della Regione Piemonte, attualmente in costruzione, e con i relativi collegamenti a ovest attraverso il sottopassaggio stradale Lingotto, il ponte-cavalcavia di Via Passo Buole e la passerella olimpica pedonale del centro commerciale del Lingotto.

Il nome deriva da Nizza, per la via omonima che lo attraversa lungo tutto il lato ovest, chiamata storicamente così perché indirizzava verso le coste sud della Francia e infatti l'attuale piazza Giosué Carducci si chiamava anticamente Barriera di Nizza (Bariera 'd Nissa) , così come la parallela via Genova; Millefonti perché la zona, in tempi remoti, era appunto costituita da piccole sorgenti sotterranee a ridosso del fiume Po, in particolare in corrispondenza dell’attuale Parco Millefonti, delimitato delimitato da Corso Unità d’Italia, Corso Dogliotti, ponte Balbis, sponda sinistra del Po e il confine con Moncalieri nei pressi della confluenza del Sangone con il Po.

Storicamente va ricordato anche il nomignolo "Molinette", tramandato sia all'odierno Ospedale Maggiore San Giovanni Battista, sia alla sottozona in cui sorge (e cioè adiacente P.za Carducci), il cui nome deriverebbe o dall'esistenza di antichi mulini sulla sponda del Po (che si ricollegherebbe anche al nome Millefonti), oppure dall'esistenza di un solo ed unico mulino.
Nel XVII secolo, quando l'accesso a Torino era delimitato solo da Barriere doganali, sull'odierna Piazza Carducci sorgevano soltanto due magazzini merci di tre piani, con un ampio porticato, uno a destra e uno a sinistra dell'odierna Via Nizza: con l'ampliamento della città e l'abolizione delle dogane, i due magazzini vennero poi demoliti.
Un antico edificio di spicco fu la Villa Robilant, del 1731, simbolo tangibile della ricchezza e del prestigio del casato. Fu poi acquistata da Giovanni Agnelli all'inizio del XX secolo, divenendo prima una sede delle Commissioni Interne, quindi abbattuta per far spazio alla costruzione della Fiat Avio; insieme alla nascita del primo stabilimento industriale automobilistico della Fiat Lingotto (1915-1922) a fianco della già esistente ferrovia, tutta la zona, insieme al vicino quartiere Lingotto, fu rapidamente popolata. Oggi la storica Fiat Lingotto è dismessa da anni, e viene usata solo più per ricordo e come area congressi dell'azienda; tuttavia, il comprensorio e le palazzine satellite sono stati riqualificati in ciò che è un odierno e vasto polo multifunzionale, chiamato sempre "Lingotto", preso anche dal nome del quartiere limitrofo.

Nel corso della seconda guerra mondiale, a causa della sua estrema vicinanza alla via ferrata e alla Fiat, Nizza Millefonti fu pesantemente bombardato; solo pochi edifici rimasero in piedi, quasi tutti quelli della vecchia Piazza Carducci crollarono. Fu colpita pesantemente anche la Fiat Lingotto, che subì enormi danni. L'attuale conformazione del quartiere è piuttosto quella degli anni della ricostruzione, principalmente anni cinquanta, sessanta e settanta. Nel corso degli recenti decenni, durante gli scavi per lavori pubblici, nella zona furono ritrovate diverse bombe aeree inesplose sganciate dagli anglo-americani durante il 1944; in particolare una fu ritrovata sotto i giardini di Via Giulio Bizzozzero, poi una nel 2004 nella zona ex-Avio Fiat durante i lavori per la costruzione dell'Oval Lingotto, quindi nel 2011 durante i lavori della Metropolitana di Torino. Oltre a questi ordigni, durante degli scavi per il cambio delle tubature nel 1996, in Via Gavello venne alla luce l'antica rampa che collegava il deposito sotterraneo di tram a cavalli che si trovava sotto l'odierno deposito Gruppo Torinese Trasporti (ex ATM), a fianco della Piazza Carducci.
Inoltre su via Nizza, durante gli scavi del prolungamento della Metropolitana di Torino, nel 2005 furono rinvenuti altri reperti archeologici del VII secolo di vestigia longobarde già facenti parte della collezione rinvenuta nella stessa area intorno al 1910.

Le arterie principali del quartiere, che collegano il centro di Torino alla zona sud, sono Via Nizza, che parte proprio da Porta Nuova e a partire da Piazza Carducci, che prima è a doppio senso di marcia, diventa a senso unico in direzione Moncalieri, Via Genova (che costeggia per un lungo tratto l’Ospedfale Moluinette ed è a senso unico in direzione da Moncalieri al centro di Torino), Via Ventimiglia e Corso Unità d'Italia, entrambe quest’ultime a doppio senso di circolazione)
I nuclei abitativi storici della zona erano Borgata Millefonti, nei pressi della cinta daziaria Nizza, Tetti Frè, compreso tra le vie Tenda e, Osterietta, in corrispondenza dell’incrocio tra via Nizza, Via Vinovo e Via Passo Buole,  le quali verranno man mano  inglobate in un tessuto urbano più fitto e denso per la crescita parallela di impianti produttivi  che, da piccoli laboratori,  arrivano  a essere industrie di rilievo caratterizzanti la zona per quasi tutto il Novecento. La Riv, la Carpano, la  Fiat sono gli esempi emblematici che ancora oggi segnano il quartiere con i loro edifici quasi intatti ma,  a causa del processo di de-industrializzazione, completamente rivisitati nelle funzioni. 

La RIV nasce dall’iniziativa di Roberto Incerti, meccanico emiliano, che nel 1904 aveva cominciato a produrre cuscinetti a sfera in un piccolo laboratorio in via Marochetti. L’attività di Incerti attira l’attenzione di Giovanni Agnelli senior, che comprende il potenziale economico dei cuscinetti a sfera, che la Fiat sino ad allora era costretta a importare. Nel 1906 Incerti presenta un brevetto, il primo in Italia, concernente nuove tecniche per la realizzazione di cuscinetti a sfera che dà l’avvio   alla produzione su larga scala nello stabilimento RIV di Villar Perosa (acronimo di Roberto Incerti Villar Perosa).  Con la prima guerra mondiale la produzione viene riconvertita a fini bellici e il numero dei dipendenti arriva a sfiora le 2.000 unità.
Negli anni Venti l’espansione della produzione rende necessaria la costruzione del nuovo stabilimento in via Nizza 150 a Torino.La specializzazione nella meccanica di precisione fa della RIV un punto di riferimento per l’industria bellica e, nel secondo conflitto mondiale, diventa un obiettivo sensibile per l’aviazione alleata. Lo stabilimento di Torino subisce numerosi bombardamenti, il più grave dei quali si verificherà nel novembre del 1943, causando la morte di 70 lavoratori. Il dopoguerra è caratterizzato dalla ricostruzione degli impianti danneggiati e da una rapida ripresa produttiva. Negli anni Sessanta, problemi di competitività dei prodotti RIV rispetto ai concorrenti internazionali portano l’azienda alla fusione nel 1965 con la svedese SKF, a seguito della quale nel 1971 il sito produttivo di Torino viene dismesso e su quel terreno è stato costruito il centro direzionale bancario UniCredit (ex-CRT).

Nel 1786 Antonio Benedetto Carpano inventa il suo primo vermouth in una nota e frequentata bottega in piazza Castello, di proprietà del liquorista Luigi Marendazzo. Nel 1847 l’attività passa al nipote Giuseppe Bernardino, fondatore della Fabbrica di Liquori e Vermouth G.B. Carpano; quando la ditta passa ai figli Luigi e Ottavio, nel 1889, comprende due negozi per la vendita all’ingrosso e al minuto (nelle piazze Castello e Vittorio Emanuele, ora piazza Vittorio Veneto) e due magazzini oltre la cinta daziaria (in Barriera di Nizza e a Carmagnola). A fine Ottocento Carpano è tra i maggiori produttori di vermouth piemontesi e partecipa all’Esposizione Generale Italiana a Torino nel 1898. È a inizio Novecento che avvia la sua crescita industriale, con la costruzione di uno stabilimento produttivo in via Nizza, ampliato fino a raggiungere i 5.000 mq. Nel 1917 la società passa a Matilde Govone, moglie di Ottavio, che nel 1940 vende agli industriali torinesi Turati. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, alla Carpano lavorano 34 operai. I bombardamenti del 1943 distruggono quasi completamente la fabbrica, ma con l’appoggio delle banche i Turati riescono a ricostruirla e a far riprendere l’attività a ritmi elevati, decretandone il successo economico e commerciale. Il vermouth Carpano è conosciuto a livello mondiale e diventa l’aperitivo per eccellenza negli anni del boom economico. “Re Carpano”, creato da Armando Testa, è il protagonista della pubblicità aziendale dell’epoca, campeggiando nelle sponsorizzazioni sportive. Nel 1980 Silvio Turati e il figlio Attilio muoiono; la contessa Romilda Bollati di Saint Pierre, moglie di Attilio, prosegue l’impresa fino a quando nel 1982 cede il marchio alla società Branca, che trasferirà la produzione a Milano.

A partire dal 2005, lo stabilimento è stato completamente ristrutturato e recuperato per ospitare il nuovo grande progetto di Eataly, il più grande centro enogastronomico del mondo e uno dei luoghi di maggior richiamo a livello nazionale ed internazionale creato dalla mente geniale di  Oscar Farinetti in collaborazione con le cooperative del sistema Coop (Coop Liguria, Novacoop e Coop Adriatica) dove acquistare, degustare e studiare cibi e bevande di elevata qualità.
Esteso su una vasta area espositiva di circa 11.000 mq., non si tratta di un semplice mercato, perché ai prodotti sono associati i relativi saperi e sapori, alla portata di quanti sono interessati ad approfondire le proprie conoscenze sui prodotti buoni, ma anche puliti e giusti.

Una grande kermesse di itinerari del gusto ed aree tematiche didattiche, corsi di educazione alimentare o corsi di cucina tenuti da famosi chef del territorio regionale e nazionale, attività come degustazioni, aperitivi coi produttori, una biblioteca tematica e vari eventi dedicati ai prodotti del territorio. Inoltre nell'area ristorazione (8 ristoranti tematici, la caffetteria, l’agrigelateria e la pasticceria per gustare tutti i giorni oltre 100 piatti di cucina tradizionale) è possibile degustare cibi di notevole qualità direttamente sul posto o usufruire di un servizio di gastronomia da asporto. L’obiettivo che si pone è provare a percorrere una nuova via nel sistema della distribuzione alimentare e della commercializzazione dei migliori prodotti artigianali, ispirandosi a parole chiave quali sostenibilità, responsabilità e condivisione. Eataly vuole dimostrare che esiste la possibilità di offrire a un pubblico ampio cibi di alta qualità a prezzi sostenibili comunicando, al tempo stesso, i criteri produttivi, il volto e la storia di tanti produttori che costituiscono il meglio dell’enogastronomia italiana. A memoria del passato industriale della struttura, è stato allestito al primo piano, nelle stanze che un tempo costituivano l’archivio documenti e gli spazi dedicati all’estrazione delle erbe, alla combinazione degli ingredienti e alla conservazione degli estratti, il Museo Carpano: un percorso museale che fa rivivere i momenti salienti della storia e della produzione del vermouth Carpano.

Il Lingotto di Torino è  oggi uno dei più grandi centri multifunzionali d'Europa..
Nel corso della propria vita, lo stabilimento, chiuso tra Via Nizza (dal numero 230 al 294) ed un ramo del passante ferroviario di Torino, produsse decine di modelli di automobili, come la Torpedo, la Balilla, la Topolino, la Fiat 1100 R e la sportiva X 1/9 con la rivoluzionaria posizione centrale del motore. L'attività produttiva fu interrotta nel 1982, in seguito allo spostamento della produzione in altri impianti; l'ultimo modello in produzione è stato quello della Lancia Delta prima serie.

Lo stabilimento FIAT del Lingotto fu progettato e costruito, a partire dal 1915, dall'ingegnere Giacomo Mattè-Trucco, insieme con altri progettisti come Francesco Cartasegna e Vittorio Bonadè Bottino, il progetto strutturale fu realizzato dall'ingegner Giovanni Antonio Porcheddu, concessionario per l'Italia del brevetto per l'utilizzo del metodo Hennebique per la realizzazione di strutture in conglomerato cementizio armato sul modello degli stabilimenti della casa automobilistica statunitense Ford. I lavori durarono dal 1916 (quando fu iniziata la costruzione dell'Officina di Smistamento), al 1930, anche se l'inaugurazione avvenne nel 1922, alla presenza del re d'Italia. Nell'opera di Le Corbusier Vers une architecture (1923), dove sono esposte le sue teorie sulla nuova architettura, nel capitolo conclusivo del saggio, intitolato Architettura o Rivoluzione, sono riportati alcuni esempi di soluzioni innovativa, fra questi vi sono alcune immagini dell'edificio dove viene evidenziata la soluzione dell'autodromo sul tetto.
L'ingegnere meccanico Ugo Gobbato, esperto nella razionalizzazione delle attività produttive e chiamato alla FIAT dal senatore Agnelli nel 1918, venne affidata la responsabilità di smantellare le varie piccole officine Fiat sparse per Torino, e organizzare il trasferimento coordinato di macchinari e impianti al Lingotto, del quale ne assunse altresì la direzione, dimettendosi nel 1928, dopo aver raggiunto il pieno regime produttivo. Le officine erano formate da due lunghi corpi longitudinali, destinati alla produzione delle automobili, di oltre cinquecento metri di lunghezza, uniti da cinque traverse multipiano, dedicate a servizi per il personale. Alle estremità dei corpi lunghi furono costruite, tra il 1923 e il 1926, due rampe elicoidali, sempre su progetto di Mattè Trucco. In questo modo le automobili potevano accedere dal piano terra direttamente alla pista di collaudo, costituita da due rettilinei di oltre quattrocento metri di lunghezza, collegati da due curve sopraelevate.
Ispirata ai principi del taylorismo, che aveva come obiettivo principale la funzionalità produttiva, la struttura era costruita in cemento armato e aveva cinque piani.
La facciata esterna, presentava elementi decorativi che preannunciavano i temi del Razionalismo italiano. La palazzina uffici, costruita nel 1926, era dedicata a direzione, amministrazione, mensa e altri servizi.

Nel 1982 una società a capitale misto, guidata dalla Fiat, promosse una "consultazione" internazionale (il comune chiedeva un concorso di idee) per la ristrutturazione ed il recupero dello stabilimento, appena dismesso; ma tra i 20 progetti presentati non fu individuato un vincitore. Nel 1985 fu incaricato della ristrutturazione l'architetto genovese Renzo Piano.
Simbolo dell'archeologia industriale, la fabbrica è stata divisa attraverso un lungo processo di ristrutturazione tra diverse funzioni: terziario, abitazioni e alberghi, con la precedenza all'uso culturale. All'esterno la struttura è rimasta inalterata, ma all'interno le strutture sono state profondamente modificate per venire incontro alle nuove esigenze. Nel corso degli anni sono stati ricavati negli spazi del Lingotto un centro esposizioni (nel 1992), un centro congressi e un auditorium (nel 1994), due hotel (nel 1995), un centro servizi, vari uffici direzionali, un'area dedicata interamente allo shopping, con decine di negozi, bar e ristoranti (nel 2002), una pista di atterraggio per elicotteri.
La prima manifestazione organizzata nella fabbrica ristrutturata è stata il Salone dell'automobile, nel 1992. In pochi anni il centro esposizioni ha acquisito importanza: ospita oggi la Fiera Internazionale del Libro, il Salone del gusto, il Salone del vino, Artissima-fiera d'arte moderna e contemporanea, e molte altre manifestazioni di livello nazionale e internazionale.
All'interno dell'hotel Le Meridien è stato creato un giardino tropicale, mentre lo stesso hotel è stato collegato al centro congressi tramite un percorso pedonale sopraelevato dedicato allo shopping, chiamata "8 Gallery" (dalla parola "otto" contenuta nel nome "Lingotto"). Sopra la Torre Sud è stata costruita, sempre da Renzo Piano, la cosiddetta Bolla, una sala riunioni attrezzata e panoramica da 25 posti, realizzata in acciaio e cristallo, con vista sulle Alpi e sulla pista parabolica del Lingotto, ristrutturata ed è tuttora usata per le presentazioni di nuove automobili.
Nel Lingotto si trova oggi anche un cinema multisala con 11 sale, l'UCI Cinemas Lingotto, che per alcuni anni ha ospitato il Torino Film Festival.
Nella palazzina uffici, infine, restaurata da Roberto Gabetti e Aimaro Isola, sono stati insediati, infine, gli uffici direzionali di alcune aziende, tra cui la FIAT, tornata al Lingotto nel 1997. Sono stati collocati qui anche alcuni uffici del TOROC, il comitato organizzatore dei XX Giochi olimpici invernali.

Inaugurata nel 2002 all'ultimo piano del complesso del Lingotto, la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli raccoglie una selezione di opere tratte dalla loro collezione personale. Lo "scrigno" è stato disegnato sempre dall'architetto Renzo Piano per contenere una sorta di "tesoro" artistico: lo stile architettonico rappresenta un'astronave di cristalli che riprende simbolicamente lo stile futurista della fabbrica originaria. La collezione comprende 25 opere d'arte scelte da Giovanni e Marella Agnelli, più alcune esposizioni temporanee. Sono presenti tra gli altri dipinti di Canaletto, Matisse, Balla, Picasso, Bellotto e due opere scultoree del Canova.

Un argomento a parte di questo quartiere è la sotto-zona a ridosso del Fiume Po, storicamente chiamata Italia '61, compresa tra Piazza Polonia, Corso Maroncelli, Via Ventimiglia e via Zuretti. Fu un area riqualificata appunto nel 1961 in occasione del Centenario dell'Unità d'Italia, quando si crearono diverse infrastrutture immerse in un nuovo parco, tra le quali i padiglioni fierisitici del Palazzo del Lavoro (altrimenti detto Bureau International du Travail - B.I.T.) su progetto del 1959 dell'ingegner Pier Luigi Nervi, con la collaborazione dell'architetto Giò Ponti e di Gino Covre, ed del Palavela, progettato nel 1959 dagli arch. Franco Levi e da Annibale e Giorgio Rigotti (con il nome di Palazzo delle Mostre), e  ristrutturato e reinterpretato da Gae Aulenti per  i Giochi Olimpici del 2006 per ospitare le gare di pattinaggio artistico e short track; oltre a questi, furono realizzati i nuovi padiglioni fieristici tra il fiume Po e Corso Unità d'Italia, che dal 2005 ospitano un centro di formazione denominato "International Labour Office" (I.L.O.) come sede succursale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il cinerama o "Circarama", cinematografo su schermo circolare di 360°, di fianco al Palavela, una monorotaia (ad oggi smantellata) che attraversava l'area da Nord a Sud, il grattacielo in vetro del CTO su Corso Unità d'Italia, un laghetto artificiale, il Museo dell'Automobile e lo stesso Corso Unità d'Italia, chiamata la radiale dai torinesi, che permette un veloce penetrazione nella città di Torino.

Il Museo dell'Automobile di Torino sorge su Corso Unità d'Italia, a ridosso dell'ultimo prolungamento sud del Parco del Valentino, che prende il nome di Parco Millefonti. Il Museo Nazionale dell'Automobile di Torino (MAUTO), precedentemente intitolato a Carlo Biscaretti di Ruffia ora a Giovanni Agnelli, ed è considerato tra i più importanti e antichi musei dell'automobile del mondo.
Il Museo dell'Automobile nasce nel 1932 da un'idea di due pionieri del motorismo nazionale, Cesare Goria Gatti e Roberto Biscaretti di Ruffia (primo Presidente dell'Automobile Club di Torino e tra i fondatori della Fiat). Il museo, ospitato nella sede progettata dall'Architetto Amedeo Albertini, rappresenta uno dei pochi edifici costruiti appositamente per ospitarvi la collezione di un Museo e costituisce anche un raro esempio di architettura moderna; vanta una delle collezioni più rare ed interessanti nel suo genere, quasi 200 automobili originali, dalla metà dell'800 ai giorni nostri, di oltre ottanta marche diverse, provenienti dall'Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Spagna, Polonia e Stati Uniti.

Nel 2002 i vertici del Museo iniziano a pensare ad un'opera di rinnovamento dell'Ente, sono trascorsi quarant'anni ed il Museo è ormai datato ed obsoleto, è necessario un cambiamento che lo renda più appetibile e il vincitore del concorso internazionale del 2005 per il rinnovo del Museo è stato il raggruppamento composto dall'Architetto Cino Zucchi, la Recchi Engineering srl e la Proger spa. Il progetto vincitore articola il rapporto tra la percezione veloce da corso Unità d'Italia e la definizione di un ambito pedonale più raccolto in corrispondenza del suo innesto su via Richelmy.
In sintonia con molti esempi europei contemporanei, le funzioni propriamente espositive sono integrate da una serie di attività complementari che faranno vivere il Museo dell'Automobile a tutte le ore del giorno e della sera; diventando un elemento trainante del rinnovo urbano del quadrante sud della città.
Il progetto dell'Architetto Zucchi è valorizzato con gli allestimenti dello scenografo franco-svizzero Francois Confino. L'esperienza acquisita da Francois Confino in altri progetti simili (a Torino ha già allestito il Museo del Cinema), ha aiutato ad immaginare un concetto inedito che posizionerà il Museo di Torino all'avanguardia nel campo dell'arte di esporre le auto. Il filo conduttore è "l'auto osservata come creazione del genio e dell'immaginazione umana" e ciò, innanzitutto, al fine di far conoscere e di valorizzare l'immenso bacino di talenti, l'estro creativo, l'artigianalità e le capacità imprenditoriali esistenti a Torino ed in Piemonte.
Da segnalare la vettura a vapore Bordino, costruita a Torino nel 1854, il triciclo a vapore di Enrico Pecori (1891), la vettura Bernardi (1896), la vettura Fiat 1901 e la mitica Itala 1907, che vinse la gara Pechino-Parigi nel 1907 (16.000 km. in 44 giorni); e ancora l'autotelaio Lancia "Lambda" (1923), il coupé de ville Isotta Fraschini 8A (1929) e la Cisitalia 202 del 1948.
Per la produzione estera, ben documentata, degne di nota la Ford T (1916) e la Rolls-Royce "Silver Ghost" del 1914.

Dal 2011 è in corso una grande opera nell'area ex-Avio/ponte di Via Passo Buole al confine con la zona Lingotto, dove sorgerà il comprensorio dell'altissima torre del Grattacielo della Regione Piemonte, per ospitare la Giunta, il Consiglio e gli uffici dell’amministrazione regionale del Piemonte. Il grattacielo, su progetto dell’architetto Massimiliano Fuksas secondo per altezza in Italia dopo la Torre Unicredit a Milano alta 231m, prevede 42 piani di cui due interrati: 41 saranno destinati a ufficio mentre l’attico del 43º piano ospiterà un bosco pensile accessibile al pubblico. Il progetto ha subìto numerose modifiche che ne hanno determinato la riduzione in altezza, da quella originale di 220 m a quella definitiva di 210 m. Sulle facciate è prevista l’installazione di 1.000 m² di pannelli fotovoltaici per garantire per quanto possibile l’autosufficienza energetica, unita alla costruzione di grandi superfici vetrate per ridurre la necessità di ricorrere a luce artificiale.
La superficie complessiva sulla quale sorgerà il grattacielo è di circa 70.000 m² ma sono previsti circa 60.000 m² di spazi accessori e opere esterne che prevedono anche l’insediamento di esercizi commerciali al fine di rilanciare lo sviluppo del quartiere. Il progetto del grattacielo si inserisce in uno più ampio, che prevede la realizzazione di un nuovo quartiere residenziale capace di ospitare circa 5.000 abitanti e la nuova stazione ferroviaria Lingotto, con una struttura a ponte che collegherà l'attuale scalo esistente.



In zona è possibile inoltre visitare il Centro Storico Fiat, inaugurato nel 1963, ospitato nella sede torinese di via Chiabrera in un edificio in stile liberty che è il risultato dell’ampliamento, eseguito nel 1907, del nucleo originario dell’azienda: le officine di corso Dante. Oggi, il Centro Storico Fiat ospita una vasta collezione di automobili, cimeli, modellini e manifesti pubblicitari di artisti che ricostruiscono la storia dell’azienda. Sono diversi i pezzi esposti nelle sale: dalla prima vettura, dalla 3½ Hp, all’impressionante “Mefistofele”, che nel 1924 batté il record mondiale assoluto di velocità. Ma non mancano altri esemplari come il primo trattore, il Fiat 702 del 1919, l’autocarro 18BL, che motorizzò le truppe italiane nella prima guerra mondiale, la Littorina, protagonista del trasporto ferroviario a partire dagli anni ’30 e il velivolo disegnato da Giuseppe Gabrielli e poi adottato dalla NATO, il caccia G91.



Proprio difronte, il condominio 25 VERDE: una recentissima costruzione residenziale immersa nel verde che risponde a tutti i princìpi della bioarchitettura progettata dagli arch. Luciano Pia e Ubaldo Bossolono. Un’area di 3500 mq, che fino a qualche anno fa ospitava uffici, rasa al suolo, per ospitare abitazioni all’interno di un micro – ecosistema in cui la natura fà da filtro tra l’ambiente metropolitano e quello domestico; una superficie complessiva di 9.000 metri quadrati, divisa da una parte abitativa e da un vero e proprio parco interno, piantumato con alberi e animato dalla presenza di due laghetti artificiali attraversati da passerelle aeree. Il condominio di sei piani prevede la presenza di 50 alberi nel cortile interno e di altri 150 disseminati attorno all’edificio inframmezzati da strutture in acciaio riproducenti le forme di piante e rampicanti e  incastrati tra un terrazzo e l’altro, oppure piantati all’interno di grandi vasi di 3,5 m di diametro, dando limpressione al complesso di reggersi su un’infilata di tronchi. L’autonomia energetica dell’edificio viene in parte garantita dalla sfruttamento dell’energia geotermica e la vicinanza al fiume Po infatti consente lo sfruttamento delle falde acquifere sottostanti la zona. E’ presente un generatore elettrico a pompa di calore che consente di trasferire acqua sanitaria e acqua per il riscaldamento nel periodo invernale e aria fresca per il raffreddamento delle stanze, nel periodo estivo e inoltre la presenza di una cisterna in grado di raccogliere l’acqua piovana da riutilizzare per l’irrigazione del giardino e dei tetti verdi.



Per una sosta gastronomica durante il percorso, l’offerta è quanto mai diversificata: si può scegliere tra le specialità abruzzesi della Trattoria Da Cinzia in Via Madama Cristina, 165, quasi Piazza Carducci, dove in un ambiente d’antan (è aperta dal 1972) è possibile degustare le specialità tipiche abruzzesi (i titolari sono originari di Castiglione Messer Marino in provincia di Chieti) tra cui spaghetti alla chitarra (fatti a mano), maltagliati con cozze e ceci, sagne e ceci, arrosticini, qualche specialità di pesce (soprattutto cozze, vongole, molluschi e crostacei) e molti dolci tipici (bocconotti, ostie con miele e mandorle,  parrozzi al cacao), oppure la cucina modesta e ruspante dellla Trattoria del FIAT –Fate In Fretta a Tavola dove si segnalano in particolare la Pasta e fagioli (sempre in menù) e la Torta 500 al cioccolato, i ristorantini di Eataly restano una certezza unendo varietà e qualità e per concluedere in dolcezza ci si può affidare ai gelati della Agrigelateria Sanpe’ o alla deliziosa pasticceria di Montersino, sempre ad Eataly, oppure un ottimo gelato in uno delle gelaterie storiche di Torino (è aperta dal 1960): DaSilvano in Via Nizza, 142.

Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro

http://it.wikipedia.org/wiki/Nizza_Millefonti